Prova dell’invio dei beni in altro Stato UE
La Corte di Cassazione con Ordinanza 27 dicembre 2021, n. 41532 ha rigettato il ricorso attivato dall’Agenzia delle Entrate nei confronti di una azienda pugliese per la mancanza della prova dell’avvenuta consegna delle merci ad un cessionario. Come è noto, infatti, le diposizioni prevedono che al fine di poter considerare non imponibile iva devono essere rispettate tre regole : cessione a titolo oneroso – scambio tra due soggetti iva e prova di consegna delle merci in altro paese comunitario e per quest’ultimo requisito i nostri operatori hanno sempre trovato difficoltà per l’utilizzo della resa franco fabbrica (EXW) che consiste nel limitarsi alla sola consegna delle merci al vettore prescritto, senza neppure preoccuparsi del carico, che risulta effettuato dal vettore. La contestazione trova motivazione sulla falsa applicazione dell’art. 41, comma 1, lett. a, del D.L. 30 agosto 1993 n. 331, convertito, con modificazioni, nella Legge 29 ottobre 1993, n. 427, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per essere stato erroneamente ritenuto dal giudice di appello che la prova del trasporto o della spedizione dei beni in altro Stato membro dell’Unione Europea fosse stata assolta in modo idoneo dalla contribuente. La risoluzione n. 477 del 15 dicembre 2008, a propria volta, precisa che il riferimento contenuto nella risoluzione n. 345 del 28 novembre 2007 relativo all’esibizione del documento di trasporto deve intendersi effettuato a titolo meramente esemplificativo e chiarisce che, nei casi in cui il cedente nazionale non abbia provveduto direttamente al trasporto delle merci e non sia in grado di esibire il predetto documento di trasporto, la prova in questione potrà essere fornita con qualsiasi altro documento idoneo a dimostrare che le merci sono state inviate in altro Stato membro. Ai fini della dimostrazione dell’inoltro dei beni in altro Stato dell’Unione Europea, può costituire prova idonea l’esibizione del documento di trasporto da cui si evince l’uscita delle merci dal territorio dello Stato per l’inoltro ad un soggetto passivo d’imposta identificato in altro Paese comunitario. Il contribuente deve conservare sia la documentazione bancaria, dalla quale risulti traccia delle somme riscosse in relazione alle cessioni intracomunitarie effettuate, sia la copia della fattura, sia degli altri documenti attestanti gli impegni contrattuali che hanno dato origine alla cessione intracomunitaria e al trasporto dei beni in altro Stato membro. In coerenza a tali principi, dunque, il giudice di appello ha correttamente respinto il gravame dell’amministrazione finanziaria sul presupposto che la contribuente avesse provato la consegna delle merci vendute agli acquirenti intracomunitari – oltre che a mezzo del documento di trasporto e l’annotazione nell’elenco delle cessioni intracomunitarie o a mezzo del bonifico bancario e l’annotazione nell’elenco delle cessioni intracomunitarie – anche a mezzo di dichiarazioni rese da questi ultimi sull’acquisto delle merci. Il contenzioso trae origine da un controllo dell’iva relativa all’ano 2009. Quindi sono passati circa tredici anni per poter inserire la parola fine a questa assurda contestazione con danni per l’azienda per i costi legati ai ricorsi posti in essere. Non mi resta che sollecitare i controllori ad una minore rigidità e per quanto sopra suggeriamo di farsi rilasciare periodicamente dai clienti comunitari una attestazione di arrivo a destino delle merci.
Fondatore e pioniere della materia doganale in ambito nazionale.
Fondatore nel 1981 dello Studio Toscano srl.
Membro degli esperti in Commissione EU a Bruxelles, consulente in varie sedi Confindustriali e docente delle migliori scuole di formazione.
Membro del Gruppo Esperti Legislazione Doganale di Confindustria Roma.
Autore di svariate pubblicazioni specialistiche in materia doganale.
Iscritto all'albo dei giornalisti ha collaborato con Il Sole 24 Ore, Italia Oggi, Il Doganalista.