Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sezione III, sentenza 15/5/2025, causa C-782/23 – Pres. Lycourgos, Rel. Spineanu-Matei – “Tauritus” UAB c/ Muitinės departamentas prie Lietuvos Respublikos finansų ministerijos e altro
Codice doganale dell’Unione – Articolo 70 – Valore di transazione – Merci importate sulla base di un prezzo d’acquisto provvisorio – Prezzo finale dipendente da diversi fattori ignoti alla data di accettazione della dichiarazione in dogana – Metodo di determinazione del valore in dogana
L’articolo 70 del Codice doganale dell’Unione deve essere interpretato nel senso che qualora, nel momento in cui talune merci sono importate nel territorio doganale dell’Unione europea, sia noto solo il loro prezzo provvisorio, che figura su una fattura pro forma, e il contratto di vendita preveda che il loro prezzo finale sarà fissato successivamente, con una fattura definitiva, sulla base di taluni fattori oggettivi predeterminati il cui valore è indipendente dalla volontà delle parti e sconosciuto a queste ultime al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana, quali ad esempio una media del tasso di cambio di talune valute o del corso di taluni prodotti in un dato periodo, il valore in dogana di tali merci deve essere determinato in applicazione del metodo del valore di transazione, previsto in tale articolo, ricorrendo, in linea di principio, alla procedura di dichiarazione doganale semplificata prevista agli articoli 166 e 167 di tale regolamento.
La società Tauritus ha importato in Lituania gasolio e carburante per aerei tra l’ottobre 2015 e l’aprile 2017.
I contratti stipulati con i fornitori e le fatture proforma emesse da questi ultimi indicavano, per l’acquisto di tali merci, un prezzo provvisorio che sarebbe stato adeguato in funzione del prezzo medio del carburante di cui trattasi sul mercato per un periodo determinato e del tasso di cambio medio nel corso di tale periodo. Il prezzo finale poteva essere superiore oppure inferiore al prezzo provvisorio. Esso era stabilito in clausole aggiuntive ai contratti di acquisto e dava luogo all’emissione di fatture definitive.
Nelle dichiarazioni in dogana delle merci importate, la Tauritus menzionava il loro prezzo provvisorio a titolo di valore in dogana e indicava il codice 6 per quanto riguarda il metodo utilizzato per determinare tale valore, il che corrispondeva a un valore in dogana stabilito sulla base dei dati disponibili nel territorio doganale dell’Unione, secondo il metodo residuo del «fall – back», di cui all’art. 74, paragrafo 3, del codice doganale (“CDU”).
Una volta in possesso delle fatture definitive, tale società presentava generalmente domande di modifica del valore delle merci indicato nelle sue dichiarazioni in dogana.
In occasione di un controllo a posteriori effettuato il 26/5/2017 dalla dogana lituana emergeva tuttavia che, tra il 29/9/2016 e il 1°/2/2017, la Tauritus aveva presentato 13 dichiarazioni in dogana per le quali non aveva successivamente chiesto una modifica del valore delle merci sebbene essa avesse ricevuto, poco dopo, fatture definitive per le merci interessate, recanti un prezzo finale superiore al prezzo provvisorio e, pertanto, al valore in dogana indicato in tali dichiarazioni.
La dogana lituana decideva di rideterminare il valore doganale ai sensi dell’art. 70, paragrafo 1, del CDU, e di conseguenza, prendeva in considerazione il prezzo finale indicato nelle fatture definitive. Su tale base, essa ha chiesto alla Tauritus, tra l’altro, il pagamento degli importi integrativi dovuti a titolo dell’IVA all’importazione, maggiorati degli interessi di mora.
A fronte del ricorso della Tauritus, il giudice adito decideva di sottoporre alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale con cui ha chiesto, in sostanza, se l’articolo 70 CDU dovesse essere interpretato nel senso che qualora, nel momento in cui talune merci sono importate nel territorio doganale dell’Unione, sia noto solo il loro prezzo provvisorio, che figura su una fattura pro forma, e il contratto di vendita preveda che il loro prezzo finale sarà fissato successivamente, con una fattura definitiva, sulla base di taluni fattori oggettivi predeterminati il cui valore è indipendente dalla volontà delle parti e sconosciuto a queste ultime al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana, quali ad esempio una media del tasso di cambio di talune valute o del corso di taluni prodotti in un dato periodo, il valore in dogana di tali merci deve essere determinato in applicazione del metodo del valore di transazione, previsto in tale articolo.
Nel rispondere nel senso di cui alla massima, la Corte ha premesso che il valore in dogana deve essere determinato, in via prioritaria, secondo il metodo del valore di transazione, che si presume sia il più adatto, mentre i metodi menzionati all’articolo 74 CDU devono essere considerati metodi sussidiari. Ciò vale in particolare per il metodo residuale menzionato all’articolo 74, paragrafo 3, di tale codice, che è applicabile solo se il valore in dogana non può essere determinato né mediante il metodo del valore di transazione né mediante uno dei metodi sussidiari menzionati al paragrafo 2 di tale articolo.
L’articolo 70, paragrafo 3, lettera b), CDU, prevede che il metodo del valore di transazione possa essere utilizzato solo a condizione che la vendita o il prezzo non siano subordinati a condizioni o prestazioni per le quali non possa essere determinato un valore in relazione alle merci da valutare.
Orbene, dalla decisione di rinvio alla Corte risultava che il prezzo di vendita finale delle merci di cui trattasi era determinabile sin dalla conclusione dei contratti di vendita di tali merci, tenuto conto delle modalità contrattuali di determinazione di tale prezzo finale: infatti, la rivalutazione del prezzo provvisorio delle merci importate, come prevista nei relativi contratti, dipendeva da fattori oggettivi, predeterminati ed estranei alla volontà delle parti, che erano tenute a procedere a tale rivalutazione.
Poiché dunque il prezzo finale delle merci appariva determinabile alla data dell’importazione di tali merci nel territorio doganale dell’Unione, la mera circostanza che tale prezzo non fosse determinato a tale data non può essere sufficiente ad escludere che la fissazione del valore in dogana di dette merci avesse luogo sulla base del loro valore di transazione. Infatti, dal testo stesso dell’articolo 70 CDU risulta che tale valore di transazione può corrispondere non solo al “prezzo effettivamente pagato” per le merci di cui trattasi, ma anche al “prezzo da pagare” per tali merci.
La Corte ha poi osservato che gli articoli 166 e 167 del CDU prevedono una procedura di dichiarazione in dogana semplificata che consente di tener conto di una rivalutazione contrattuale del valore di transazione delle merci, che deve avvenire dopo l’accettazione della dichiarazione in dogana di queste ultime, come la rivalutazione prevista nei contratti di cui è causa nel procedimento principale.
Infatti, conformemente all’articolo 166, paragrafo 1, di tale codice, le autorità doganali possono consentire il vincolo delle merci a un regime doganale sulla base di una dichiarazione semplificata che può omettere talune indicazioni necessarie per l’applicazione delle disposizioni che disciplinano il regime doganale per il quale sono dichiarate le merci oppure i documenti di accompagnamento richiesti, ai fini di tale applicazione, dall’articolo 167 di detto codice, prevedendo che, entro un termine specifico, il dichiarante provveda a depositare una dichiarazione complementare contenente le indicazioni necessarie per il regime doganale in questione nonché a mettere a disposizione delle autorità doganali i documenti di accompagnamento necessari.
Nell’ambito di tale procedura, può essere effettuata una dichiarazione semplificata che menzioni un valore in dogana corrispondente al prezzo provvisorio indicato sulla fattura pro forma, seguito da una dichiarazione complementare, che indichi un valore in dogana corrispondente al prezzo finale indicato nella fattura definitiva.
In circostanze come quelle esaminate dalla Corte, il ricorso alla procedura di dichiarazione in dogana semplificata prevista agli articoli 166 e 167 del codice doganale dell’Unione avrebbe consentito, da un lato, di dichiarare un valore in dogana che, conformemente al metodo prioritario del valore di transazione, riflettesse il valore economico reale delle merci importate, vale a dire il prezzo effettivamente pagato o da pagare per l’acquisto di queste ultime, e, dall’altro, di soddisfare l’obbligo di esattezza e di completezza imposto dall’articolo 15, paragrafo 2, lettera a), di tale codice, in particolare indicando da subito alle autorità doganali che alcune merci importate erano dichiarate, in via provvisoria, per un valore che non corrispondeva al loro valore di transazione.
La Corte ha dunque concluso che, in tali circostanze, il valore delle merci importate deve essere determinato sulla base del metodo del valore di transazione, ricorrendo alla procedura di dichiarazione in dogana semplificata di cui agli articoli 166 e 167 del codice doganale dell’Unione.
Corte di Giustizia dell’Unione Europea, Sezione VII, sentenza 30/4/2025, causa C-330/24 – Pres. Gavalec, Rel. Schalin – Celní jednatelství Zelinka s. r. o. c/ Generální ředitelství cel
Codice doganale dell’Unione – Articolo 116, paragrafo 7 – Ripristino dell’obbligazione doganale – Nozione di rimborso concesso “per errore” – Classificazione tariffaria errata
L’articolo 116, paragrafo 7, del codice doganale dell’Unione, deve essere interpretato nel senso che esso non riguarda unicamente le situazioni in cui i dazi doganali sono stati oggetto di rimborso a seguito di un errore non intenzionale delle autorità doganali, ma anche le situazioni in cui tali autorità hanno deliberatamente proceduto a una classificazione tariffaria che si è successivamente rivelata errata.
La Celní jednatelství Zelinka importa nell’Unione europea prodotti elettronici. Nella sua dichiarazione in dogana, essa aveva inizialmente classificato tali prodotti nella voce 8521 90 00 90 della nomenclatura combinata contenuta nell’allegato I del regolamento (CEE) n. 2658/87 del Consiglio, del 23 luglio 1987. A tale voce corrisponde un’aliquota di dazi doganali dell’8,7%. Sulla base di tale dichiarazione, la dogana di Praga imponeva dazi doganali pari a 1 541 018 corone ceche (CZK) (circa EUR 60 000).
La Celní jednatelství Zelinka successivamente presentava a tale ufficio una domanda di riclassificazione delle merci di cui trattasi e di rimborso dei dazi doganali versati avvalendosi di un’informazione tariffaria vincolante (ITV) rilasciata a un altro operatore economico dal Celní úřad pro Olomoucký kraj (ufficio doganale della regione di Olomouc, Repubblica ceca), che classificava merci identiche nella voce 8517 62 00 00 della NC, con aliquota di dazio doganale dello 0%. La dogana di Praga accoglieva tale domanda.
L’8/6/2021, l’Ufficio doganale della regione della Moravia meridionale, in Repubblica ceca, avviava presso la Celní jednatelství Zelinka un controllo diretto a verificare la classificazione tariffaria delle merci di cui trattasi, concludendo che esse avrebbero dovuto essere classificate nella voce 8521 90 00 90 della NC, come inizialmente lo erano state e come risultava ormai espressamente dalla NC, nella sua versione risultante dal regolamento di esecuzione (UE) 2021/532 della Commissione, del 22 marzo 2021.
Il 17/3/2022 l’ufficio doganale di Praga decideva, in applicazione dell’articolo 116, paragrafo 7, CDU, di imporre alla Celní jednatelství Zelinka una rettifica per un importo totale di CZK 1 541 018 (circa EUR 60 000), a titolo di ripristino dell’obbligazione doganale. Esso motivava tale decisione con la considerazione che i dazi doganali erano stati rimborsati a causa di un errore dell’autorità doganale, che aveva classificato le merci di cui trattasi in una voce doganale non corretta.
A fronte del ricorso della società, il Giudice adito decideva di sottoporre alla Corte di Giustizia una questione pregiudiziale con cui chiedeva, in sostanza, se l’articolo 116, paragrafo 7, del codice doganale dell’Unione dovesse essere interpretato nel senso che esso riguarda unicamente le situazioni in cui i dazi doganali sono stati oggetto di rimborso a seguito di un errore non intenzionale delle autorità doganali o se esso riguardi anche le situazioni in cui tali autorità hanno deliberatamente proceduto a una classificazione tariffaria che si è successivamente rivelata errata.
Nel dare la risposta di cui alla massima la Corte, premesso che il codice doganale dell’Unione non contiene alcuna definizione dell’espressione “per errore” né dell’espressione “concess[o] (…) per errore”, ha osservato che, alla luce delle differenze nelle varie versioni linguistiche dell’articolo 116, paragrafo 7, CDU, la disposizione di cui trattasi deve essere interpretata in funzione dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa fa parte.
Per quanto riguarda l’economia generale della normativa di cui fa parte l’articolo 116, paragrafo 7, CDU, la Corte ha osservato che tale disposizione figura nella sezione 3, dedicata al “Rimborso e sgravio”, del capo 3, intitolato “Riscossione, pagamento, rimborso e sgravio dell’importo dei dazi all’importazione o all’esportazione”, a sua volta contenuto nel titolo III, intitolato “Obbligazione doganale e garanzie”. Detta disposizione si inserisce quindi in un insieme di disposizioni relative allo sgravio e al rimborso dell’obbligazione doganale, che fanno a loro volta parte di un insieme più ampio di disposizioni di tale codice relative alla riscossione dei dazi all’importazione o all’esportazione.
Orbene, lo sgravio dei dazi, costituendo, in forza dell’articolo 124, paragrafo 1, lettera c), CDU, una causa di estinzione dell’obbligazione doganale, deve essere interpretato restrittivamente. Infatti, tale articolo risponde alla necessità di tutelare le risorse proprie dell’Unione.
Di conseguenza, l’articolo 116, paragrafo 7, primo comma, CDU, in forza del quale, quando il rimborso o lo sgravio sono stati concessi dalle autorità doganali per errore si ripristina l’obbligazione doganale originaria, deve essere interpretato estensivamente.
Per quanto riguarda la finalità della normativa di cui la disposizione di cui trattasi costituisce un elemento, occorre rilevare che è nell’interesse sia degli operatori economici sia delle autorità doganali che le decisioni relative all’obbligazione doganale siano materialmente corrette, purché siano rispettate le esigenze derivanti dai principi di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento. Orbene, il codice doganale dell’Unione mira, come risulta dal suo considerando 26, a garantire una corretta applicazione dei dazi doganali.
Infatti, nell’ambito del titolo I del codice doganale dell’Unione, relativo alle disposizioni generali di quest’ultimo, l’articolo 28, paragrafo 1, lettera a), prevede che una decisione favorevole è revocata o modificata se non erano o non sono più soddisfatte una o più delle condizioni previste per la sua adozione. Alla luce di tale disposizione, la Corte ha osservato – richiamando la propria giurisprudenza in materia di informazioni tariffarie vincolanti – che, qualora un’interpretazione da parte delle autorità doganali delle disposizioni di legge applicabili alla classificazione tariffaria delle merci di cui trattasi risulti errata, tali autorità hanno il diritto di revocare la loro decisione modificando la classificazione tariffaria. Ciò vale a seguito sia di un errore di valutazione sia di un’evoluzione delle nozioni in materia di classificazione tariffaria.
Tali considerazioni militano a favore di un’interpretazione dell’articolo 116, paragrafo 7, del codice doganale dell’Unione secondo la quale sarebbe possibile, per le autorità doganali, ripristinare l’obbligazione doganale iniziale nel caso in cui esse abbiano, in un primo tempo, concesso un rimborso di tale obbligazione sulla base di una classificazione tariffaria delle merci che, in un secondo tempo, si sia rivelata errata.
Una siffatta interpretazione è altresì corroborata dalla giurisprudenza relativa all’articolo 78 dell’abrogato codice doganale comunitario: in forza di tale disposizione, quando da una revisione della dichiarazione in dogana o da un controllo a posteriori effettuato dall’autorità doganale risultava che i dazi erano stati calcolati in base ad elementi inesatti o incompleti, tale autorità doveva adottare i provvedimenti necessari per regolarizzare la situazione tenendo conto dei nuovi elementi di cui essa disponeva. A tal riguardo, la Corte ha dichiarato che detta disposizione doveva essere interpretata nel senso che essa consentiva in particolare alle autorità doganali di reiterare una revisione o un controllo a posteriori di una dichiarazione in dogana e di trarne le conseguenze fissando una nuova obbligazione doganale. In tale contesto, essa ha tenuto conto della logica specifica sottesa a tale disposizione, diretta a far coincidere la procedura doganale con la situazione reale correggendo gli errori o le omissioni materiali nonché gli errori di interpretazione del diritto applicabile. Poiché l’articolo 116, paragrafo 7, del codice doganale dell’Unione si fonda sulla stessa logica, esso deve, pertanto, consentire alle autorità doganali di ripristinare l’obbligazione doganale iniziale qualora risulti che il rimborso di quest’ultima è stato effettuato sulla base di una classificazione tariffaria errata.
La Corte ha poi rilevato, circa il rispetto del principio della certezza del diritto, che il ripristino dell’obbligazione doganale iniziale è subordinato alla condizione che tale obbligazione non sia prescritta ai sensi dell’articolo 103 CDU e, dunque, che non siano trascorsi, di norma, tre anni dalla data in cui è sorta l’obbligazione stessa; per quanto riguarda il rispetto del principio della tutela del legittimo affidamento, invece, la Corte ha osservato che, prima della scadenza del termine di prescrizione, un debitore deve, in quanto operatore economico, accettare il rischio che le autorità doganali rivedano la decisione relativa all’obbligazione doganale tenendo conto dei nuovi elementi di cui dispongono.
Già partner per oltre 12 anni in altro prestigioso studio legale tributario italiano, si occupa di diritto doganale e delle accise e di IVA, fornendo consulenza alle imprese ed assistenza innanzi alle autorità giudiziarie italiane e dell’Unione europea in caso di contenziosi.
E’ docente in corsi di formazione in materia doganale e processuale tributaria e dal 2008 al 2016 ha insegnato, quale aggiunto della materia “Legislazione e servizi in materia di dogane”, presso l’Accademia della Guardia di Finanza. Già docente a contratto di “Diritto doganale” presso alcune Università italiane, è autore di articoli, note a sentenze e monografie.