Corte di Giustizia, Sezione II, sentenza 28/4/2022, cause riunite C-415/20, 419/20 e 427/20 – Pres. Prechal, Rel. Passer – Grafendorfer GmbH e altri c/ Hauptzollamt Hamburg e altri

 

Unione doganale – Diritti al rimborso o al pagamento di importi di denaro riscossi o rifiutati da uno Stato membro in violazione del diritto dell’Unione – Dazi antidumping, dazi all’importazione, restituzioni all’esportazione e sanzioni pecuniarie – Nozione di “violazione del diritto dell’Unione” – Interpretazione o applicazione erronea di tale diritto – Accertamento, da parte di un giudice dell’Unione o da parte di un giudice nazionale, della sussistenza di una violazione di detto diritto – Pagamento di interessi – Spettanza – Periodo coperto da tale pagamento di interessi – Determinazione

 

I principi del diritto dell’Unione relativi ai diritti degli interessati di ottenere il rimborso degli importi di denaro il cui pagamento è stato loro imposto da uno Stato membro in violazione del diritto dell’Unione nonché il pagamento di interessi su tali importi devono essere interpretati nel senso che:

–  in primo luogo, essi si applicano nell’ipotesi in cui gli importi di denaro di cui trattasi corrispondano, da un lato, a restituzioni all’esportazione concesse in ritardo a un interessato, dopo essergli state rifiutate in violazione di tale diritto, e, dall’altro, ad una sanzione pecuniaria inflitta a tale interessato a causa di detta violazione;

–  in secondo luogo, essi si applicano qualora da una decisione della Corte o da una decisione di un giudice nazionale risulti che il pagamento di restituzioni all’esportazione, di una sanzione pecuniaria, di dazi antidumping o di dazi all’importazione sia stato, a seconda dei casi, rifiutato o imposto da un’autorità nazionale in base a un’interpretazione errata del diritto dell’Unione o a un’applicazione errata di tale diritto, e

– in terzo luogo, essi ostano a una normativa nazionale ai sensi della quale, quando il pagamento di restituzioni all’esportazione, di una sanzione pecuniaria, di dazi antidumping o di dazi all’importazione è stato, a seconda dei casi, rifiutato o imposto in violazione del diritto dell’Unione, gli interessi possono essere pagati solo con riferimento al periodo compreso tra la data di proposizione del ricorso giurisdizionale volto ad ottenere il pagamento o il rimborso dell’importo di denaro di cui trattasi e la data della decisione pronunciata dal giudice competente, ad esclusione del periodo anteriore. Per contro, essi non ostano, di per sé, a che tale normativa preveda che detto pagamento sia dovuto solo a condizione che sia stato proposto un ricorso di tal genere, purché ciò non finisca per rendere eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti che gli interessati traggono dal diritto dell’Unione.

 

La Corte di Giustizia è stata chiamata a chiarire, in tre fattispecie diverse, il criterio di determinazione degli interessi dovuti al contribuente che abbia maturato il diritto al rimborso di somme pagate per effetto della notifica di atti poi annullati in sede giurisdizionale.

La prima vicenda riguardava una società tedesca che aveva impugnato in sede giurisdizionale il diniego di restituzioni all’esportazione notificato dalla dogana di Amburgo unitamente ad un atto sanzionatorio; altre due società avevano invece contestato in giudizio, rispettivamente, degli avvisi di accertamento in relazione all’importazione di merci risultate di origine diversa da quella dichiarata (e pertanto soggette a dazio antidumping) e degli atti di rettifica delle dichiarazioni doganali concernenti merce che la dogana aveva classificato in una voce diversa da quella dichiarata.

In tali casi, il giudice nazionale adito aveva annullato gli atti impugnati e le autorità doganali avevano rimborsato i diritti pagati in eccesso e la sanzione ritualmente versata in pendenza della lite, rifiutando tuttavia il rimborso di interessi per il periodo intercorrente tra la data del pagamento e quella del rimborso.

La Corte di Giustizia, investita delle diverse ma simili questioni pregiudiziali poste dai giudici nazionali, ha affermato i principi indicati in massima.

La Corte ha premesso che ogni interessato al quale un’autorità nazionale abbia richiesto il pagamento di una tassa, di un dazio, di un’imposta o di un altro prelievo in violazione del diritto dell’Unione ha, in forza di quest’ultimo, il diritto di ottenere il rimborso dell’importo di denaro corrispondente; inoltre, detto interessato ha il diritto, sempre in base al diritto dell’Unione, di ottenere da parte di tale Stato membro non soltanto il rimborso dell’importo di denaro indebitamente riscosso, ma anche il pagamento di interessi volti a compensare l’indisponibilità di tale somma per un certo periodo di tempo.

Tali diritti al rimborso degli importi di denaro il cui pagamento è stato imposto da uno Stato membro ad un operatore economico in violazione del diritto dell’Unione e al pagamento di interessi su tali importi costituiscono l’espressione di un principio generale di ripetizione dell’indebito.

Tenuto conto del carattere generale del principio di cui essi costituiscono l’espressione, la Corte ha considerato, da un lato, che tali due diritti si applicano nell’ipotesi in cui l’importo di denaro che uno Stato membro ha imposto di pagare ad un interessato costituisca una sanzione pecuniaria inflitta erroneamente in applicazione di un atto del diritto dell’Unione o di disposizioni di diritto interno adottate da tale Stato membro al fine di dare esecuzione a tale atto, di attuarlo o di garantirne il rispetto. Al pari di una tassa, di un dazio, di un’imposta o di qualsiasi altro prelievo pagato in violazione del diritto dell’Unione, una siffatta sanzione pecuniaria deve di conseguenza essere rimborsata all’interessato, al quale sono altresì dovuti interessi volti a compensare l’indisponibilità dell’importo di denaro corrispondente.

Per quanto riguarda, dall’altro lato, l’eventuale applicazione del diritto di ottenere il pagamento di interessi anche nell’ipotesi in cui delle restituzioni all’esportazione siano state pagate in ritardo all’interessato che ha chiesto che gli fossero concesse, dopo che gli erano state rifiutate dall’autorità nazionale competente in violazione del diritto dell’Unione, la Corte ha poi osservato che un’ipotesi del genere è caratterizzata dalla circostanza che l’interessato è stato privato, per un periodo di tempo determinato, dell’importo di denaro corrispondente a tali restituzioni all’esportazione a causa di detto ritardo, che è esso stesso conseguenza di una violazione del diritto dell’Unione: tale situazione è equiparabile a quella di un interessato che è stato privato, per un periodo di tempo determinato, dell’importo di denaro corrispondente a una tassa, a un dazio, a un’imposta o a un altro prelievo di cui uno Stato membro ha chiesto il pagamento in violazione del diritto dell’Unione, e che ha diritto, a tale titolo, al pagamento di interessi volti a compensare l’indisponibilità di tale importo di denaro.

In secondo luogo, la circostanza che il pagamento di una tassa, di un dazio, di un’imposta o di un altro prelievo sia stato imposto da un’autorità nazionale “in violazione del diritto dell’Unione” fonda e giustifica il diritto, per gli interessati che hanno pagato indebitamente l’importo di denaro corrispondente, di ottenerne il rimborso da parte dello Stato membro che l’ha riscosso nonché il pagamento di interessi da parte di quest’ultimo.

Infatti – ad avviso della Corte – una tale violazione può avere ad oggetto qualsiasi norma del diritto dell’Unione, indipendentemente dal fatto che si tratti di una disposizione del diritto primario o del diritto derivato.

Per quanto riguarda, poi, la natura di tale violazione, è stato rilevato che i diritti al rimborso e al pagamento degli interessi costituiscono l’espressione di un principio generale, la cui applicazione non è limitata a determinate violazioni di tale diritto o esclusa in presenza di altre.

Ne consegue che tali diritti possono essere invocati non solo nel caso in cui un’autorità nazionale abbia imposto a un interessato il pagamento di un importo di denaro, sotto forma di contributo, tassa o dazio antidumping, in base ad un atto dell’Unione che si riveli illegittimo, ma anche in altri casi: in tal senso tali diritti possono essere invocati, in particolare, nell’ipotesi in cui il pagamento di una tassa o di un’imposta sia stato richiesto a un interessato in base a una normativa nazionale che si riveli contraria a una disposizione del diritto primario o del diritto derivato dell’Unione, o ancora in quella in cui risulti che un’autorità nazionale ha imposto il pagamento di una tassa a un interessato applicando erroneamente, alla luce del diritto dell’Unione, un atto dell’Unione o una normativa nazionale che provvede all’attuazione o alla trasposizione di tale atto.

Orbene, la Corte ha rilevato che le tre situazioni giuridiche e di fatto a proposito delle quali si è pronunciata rientravano in quest’ultima ipotesi.

Infine, dalla giurisprudenza della Corte risulta che l’esistenza di una violazione del diritto dell’Unione, che dà diritto al rimborso nonché al pagamento di interessi a favore dell’interessato e che impone in relazione a ciò allo Stato membro interessato di effettuare tale rimborso e tale pagamento di interessi, può essere accertata non solo dal giudice dell’Unione, che è il solo competente ad annullare un atto dell’Unione o a dichiararne l’invalidità, ma anche da un giudice nazionale, indipendentemente dalla circostanza che quest’ultimo sia chiamato a trarre le conseguenze derivanti da una dichiarazione di illegittimità o di invalidità preliminarmente pronunciata dal giudice dell’Unione o a constatare che un atto adottato da un’autorità nazionale è viziato da un’attuazione erronea del diritto dell’Unione.

In terzo e ultimo luogo, il diritto al pagamento di interessi mira a compensare l’indisponibilità dell’importo di denaro di cui l’interessato è stato indebitamente privato.

Tale compensazione può avvenire, a seconda dei casi, in base alle modalità previste dalla normativa applicabile dell’Unione o, in mancanza di una tale normativa, conformemente a quelle che si applicano in virtù del diritto nazionale.

Dalla giurisprudenza della Corte risulta che il rimborso dei dazi doganali non dovuti, come previsto all’articolo 236, paragrafo 1, del codice doganale comunitario, applicabile ratione temporis, deve dar luogo al pagamento di interessi. Inoltre, l’eccezione a tale principio generale prevista all’articolo 241 di detto codice non è applicabile nell’ipotesi in cui, come nei casi di specie, la ragione per la quale tali dazi non sono dovuti è che essi sono stati riscossi in violazione del diritto dell’Unione. Lo stesso vale per quanto riguarda l’eccezione prevista all’articolo 116, paragrafo 6, del codice doganale dell’Unione, che riprende ormai, in sostanza, il tenore letterale dell’articolo 241 del codice doganale comunitario.

In tali condizioni, la Corte ha rilevato, per quanto riguarda tanto i dazi doganali di cui alle cause C‑419/20 e C‑427/20, quanto la sanzione pecuniaria oggetto della causa C‑415/20, che, in mancanza di una normativa dell’Unione, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro stabilire le modalità in base alle quali gli interessi devono essere pagati in caso di rimborso di importi di denaro riscossi in violazione del diritto dell’Unione. Tuttavia, tali modalità devono rispettare i principi di equivalenza e di effettività, requisito che implica, in particolare, che esse non siano congegnate in modo da rendere eccessivamente difficile o praticamente impossibile l’esercizio del diritto al pagamento degli interessi garantito dal diritto dell’Unione. Requisiti analoghi si impongono anche in caso di pagamento tardivo di un importo di denaro dovuto ai sensi del diritto dell’Unione, come quello corrispondente alle restituzioni all’esportazione oggetto della causa C‑415/20.

In particolare, tali modalità di pagamento degli interessi non devono finire per privare l’interessato di un rimborso adeguato della perdita causatagli, il ché presuppone, in particolare, che gli interessi che gli sono corrisposti coprano l’intero periodo compreso, a seconda dei casi, tra la data in cui ha pagato o avrebbe dovuto essergli corrisposto l’importo di denaro di cui trattasi e la data in cui quest’ultimo gli è stato rimborsato o pagato. Ne consegue che il diritto dell’Unione osta a un meccanismo giuridico che non soddisfa tale requisito e che, di conseguenza, non consente l’esercizio effettivo dei diritti al rimborso e al pagamento degli interessi garantiti da tale diritto.

Corte di Cassazione, sezione VI – Tributaria, ordinanza 11/5/2022, n. 14908 – Pres. Mocci, Rel. Delli Priscoli – Agenzia delle Dogane e dei Monopoli c/ XY S.p.a.

 

Sanzioni doganali – Articolo 303 del d.P.R. n. 43/1973 – Principio di proporzionalità della sanzione – Violazione – Conseguenze

 

Dal principio unionale di proporzionalità della sanzione discende la possibilità per il giudice nazionale di disapplicare l’art. 303 del d.P.R. n. 43/1973 in tema di sanzioni amministrative pecuniarie per l’errata dichiarazione in dogana, giacchè tale disposizione, prevedendo una sanzione irragionevolmente alta e rigida nel minimo, senza possibilità di una graduazione in ragione delle circostanze del caso concreto, si pone in contrasto con il diritto dell’Unione, eccedendo il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare l’evasione.

 

Importante decisione della Corte di Cassazione, che ha confermato la sentenza d’appello con cui è stata rideterminata la sanzione amministrativa di cui all’art. 303 del d.P.R. n. 43/1973 per un importatore che aveva erroneamente classificato delle calzature con tomaia in materia tessile. La dogana aveva emesso un atto di accertamento con cui modificava la voce di classificazione e recuperava 9.098,62 euro di diritti doganali, irrogando la sanzione da 30.000 euro (maggiorata del 10% in considerazione dei precedenti fiscali della società).

Il Giudice di primo grado annullava la sola maggiorazione, mentre quello di appello, facendo applicazione dei principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea in tema di proporzionalità della sanzione, disapplicava la norma e rideterminava la sanzione in misura pari ai diritti di confine accertati.

La Corte di Cassazione, respingendo il ricorso dell’Agenzia delle Dogane, ha affermato il principio di cui in massima, già presente in numerose sentenze di merito.

Alessandro Fruscione

Studio legale Fruscione

Già partner per oltre 12 anni in altro prestigioso studio legale tributario italiano, si occupa di diritto doganale e delle accise e di IVA, fornendo consulenza alle imprese ed assistenza innanzi alle autorità giudiziarie italiane e dell’Unione europea in caso di contenziosi.
E’ docente in corsi di formazione in materia doganale e processuale tributaria e dal 2008 al 2016 ha insegnato, quale aggiunto della materia “Legislazione e servizi in materia di dogane”, presso l’Accademia della Guardia di Finanza. Già docente a contratto di “Diritto doganale” presso alcune Università italiane, è autore di articoli, note a sentenze e monografie.