Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza 18/10/2021, n. 28582 – Pres. Bruschetta, Rel. Catallozzi – Agenzia Dogane c/ XY

Doganalista agente in rappresentanza diretta – Responsabilità solidale per l’obbligazione doganale – Sussistenza – Condizioni – Onere della prova – Grava sull’Agenzia delle Dogane

Il doganalista che opera come rappresentante diretto dell’importatore non è obbligato, in solido con quest’ultimo, al pagamento dei dazi doganali dovuti a seguito della rettifica dell’accertamento, qualora si sia limitato a depositare la dichiarazione predisposta dall’importatore, allegando i documenti da quest’ultimo consegnatigli, potendosi configurare una sua responsabilità solidale, per violazione degli obblighi professionali su di lui gravanti, soltanto qualora egli stesso abbia fornito dati dei quali conosceva o avrebbe dovuto conoscere l’irregolarità, l’incompletezza e la non veridicità ovvero abbia allegato dei documenti dei quali conosceva o avrebbe dovuto conoscere l’inidoneità o l’invalidità, dati e documenti necessari alla redazione della dichiarazione poi rettificata, circostanze della cui prova è onerata l’Amministrazione.

La vicenda decisa dalla Corte di Cassazione riguarda un doganalista cui un Ufficio delle Dogane aveva notificato un avviso di accertamento quale obbligato in solido con l’importatore rappresentato in forma diretta, per il recupero di diritti doganali relativi a due operazioni di importazione, in relazione alla dichiarazione di un valore delle merci inferiore rispetto a quello effettivo.

La Commissione Tributaria provinciale aveva respinto il ricorso introduttivo ritenendo, nel merito, che il ricorrente non avesse dimostrato di essere estraneo alla frode doganale, né di aver usato la diligenza professionale esigibile.

Il Giudice d’appello aveva invece accolto l’impugnazione proposta, evidenziando che, in realtà, non era stata raggiunta la prova della riferibilità al rappresentante diretto della erronea dichiarazione doganale o, comunque, della conoscenza da parte di quest’ultimo di tale erroneità.

Nel respingere il ricorso proposto dall’Agenzia delle Dogane contro la sentenza d’appello, la Corte di Cassazione ha osservato che, in tema di diritti di confine e in caso di dichiarazione della merce regolarmente presentata presso gli uffici doganali ai sensi dell’art. 201 del codice doganale comunitario (vigente all’epoca delle importazioni contestate), il doganalista che opera come rappresentante diretto dell’importatore non è obbligato, in solido con quest’ultimo, al pagamento dei dazi doganali dovuti a seguito della rettifica dell’accertamento, laddove si sia limitato a depositare la dichiarazione predisposta dall’importatore, allegando i documenti da quest’ultimo consegnatigli; si configura una sua responsabilità solidale, per violazione degli obblighi professionali su di lui gravanti, soltanto qualora l’Amministrazione doganale dimostri che egli stesso abbia fornito dati dei quali conosceva o avrebbe dovuto conoscere l’irregolarità, l’incompletezza e la non veridicità ovvero abbia allegato dei documenti dei quali conosceva o avrebbe dovuto conoscere l’inidoneità o l’invalidità, dati e documenti necessari alla redazione della dichiarazione poi rettificata.

La Corte ha dunque condiviso la decisione della Commissione Tributaria regionale, che era giunta all’affermazione dell’assenza di responsabilità del doganalista a seguito dell’accertamento della “correttezza formale dell’attività svolta dallo spedizioniere” e del fatto che “nulla autorizza a ritenere che la sottofatturazione sia riferibile a X, o da questi conosciuta“.

Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, sentenza 29/7/2021, n. 21659 – Pres. Virgilio, Rel. Nonno – Agenzia delle Dogane e dei Monopoli c/ XY

Oro da investimento – Importazione – IVA – Esenzione – Spettanza

Il d.P.R. n. 633/1972, art. 10, comma 1, n. 11, deve essere interpretato, in conformità all’art. 346 della Direttiva n. 2006/112/CE, nel senso che l’importazione di oro da investimento è sempre esentata dal pagamento dell’IVA, indipendentemente dal rispetto dei requisiti formali posti dall’art. 68, lett. c), del medesimo decreto presidenziale, come modificato dall’art. 3 della legge n. 7/2000.

La decisione della Corte ha riguardato una persona che era stata fermata alla dogana con la Svizzera mentre dall’Italia trasportava con la propria autovettura sette chili d’oro in lingotti, introdotti in Italia per conto di una società svizzera al fine di venderli ad un investitore, che tuttavia non aveva poi proceduto all’acquisto. Poiché i lingotti erano privi di documentazione/ autorizzazione dell’Ufficio italiano cambi, il venditore era stato denunciato per abusivo esercizio del commercio dell’oro. Pur a fronte dell’assoluzione in sede penale, poiché il trasporto dell’oro in Italia e la sua successiva esportazione in Svizzera non erano accompagnati da alcuna autorizzazione idonea a consentire il transito doganale, la dogana italiana emetteva un invito al pagamento dei diritti doganali evasi all’importazione (IVA) e contestava la violazione dell’art. 303, commi 1 e 3, del d.P.R. n. 43/1973.

Il soggetto in questione proponeva appello alla Commissione Tributaria regionale dopo che quella provinciale aveva respinto il ricorso. Il Giudice di secondo grado riformava la sentenza evidenziando che: a) l’Ufficio era decaduto dal potere di accertamento e notifica dei provvedimenti impositivi in quanto “il mancato rispetto delle formalità relative all’introduzione dell’oro in Italia ben poteva essere contestato nell’immediatezza dei fatti e, comunque, entro il termine di tre anni previsto“; b) l’oro in questione era “risultato dagli atti “oro da investimento” trasportato da un operatore occasionale”, con conseguente esenzione fiscale dell’operazione; c) inoltre, il transito dell’oro dalla Svizzera all’Italia era stato meramente temporaneo e durato solo qualche ora, con la conseguenza che “l’attraversamento della linea doganale nel caso de quo non può essere ritenuta attività cosciente e volontaria di importazione dell’oro“.

A fronte del ricorso dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, la Corte di Cassazione ha premesso che sono soggette ad IVA tutte le importazioni da chiunque effettuate (art. 1, seconda proposizione, del d.P.R. n. 633/1972), sicché non ha alcuna rilevanza, ai fini dell’esenzione, la circostanza che il soggetto che nel caso specifico ha introdotto la merce in Italia sia un operatore occasionale (avendo peraltro agito per conto di una società svizzera).

Tuttavia, con riguardo alle importazioni di oro, il “considerando” 53 della Direttiva n. 2006/112/CE del 28/11/2006 dispone che “le cessioni di oro da investimento sono per natura analoghe ad altri investimenti finanziari che sono esenti dall’imposta. L’esenzione da imposta sembra pertanto essere il trattamento fiscale più appropriato per le cessioni di oro da investimento“.

Di conseguenza, l’art. 346 della citata Direttiva afferma che “gli Stati membri esentano dall’IVA la cessione, l’acquisto intracomunitario e l’importazione di oro da investimento, compreso l’oro da investimento rappresentato da certificati in oro, allocato o inallocato, oppure scambiato su conti metallo e inclusi, in particolare, i prestiti e gli “swap” sull’oro che comportano un diritto di proprietà o un credito in riferimento ad oro da investimento, nonché le operazioni aventi ad oggetto l’oro da investimento consistenti in contratti “future” e contratti “forward” che comportano il trasferimento di un diritto di proprietà o di un credito in riferimento ad oro da investimento“.

La disposizione – ha rilevato la Corte di Cassazione – è ripresa pressoché integralmente dall’art. 10, comma 1, n. 11, del d.P.R. n. 633/1972, che esenta in via generale dall’imposta l’oro da investimento.

Tuttavia, il menzionato D.P.R., art. 68, lett. c), come modificato dalla legge n. 7/2000, articolo 3, afferma che, con riferimento all’oro da investimento, l’esenzione trova applicazione solo nel caso in cui i relativi requisiti “risultino da conforme attestazione resa, in sede di dichiarazione doganale, dal soggetto che effettua l’operazione”, circostanza evidenziata dall’Agenzia delle Dogane per giustificare la legittimità del proprio operato, non avendo l’importatore presentato alcuna dichiarazione doganale.

La Corte ha però rilevato che l’esenzione va intesa in senso ampio, essendo evidente l’intento del legislatore di riservare il predetto regime a tutte le operazioni riguardanti oro grezzo, cioè oro puro inutilizzabile come tale e che per la relativa commercializzazione necessita di complessi processi di lavorazione industriale ed artigianale. Tale interpretazione dell’art. 10, comma 1, n. 11, del d.P.R. n. 633/1972 è pienamente conforme alla disciplina unionale, che prevede un’esenzione incondizionata dall’imposta dell’oro da investimento, sicché delle indicazioni contenute nell’art. 68, lett. c), del medesimo decreto – che fa riferimento a requisiti formali, quale l’attestazione resa in sede di dichiarazione doganale – va data un’interpretazione conforme a quanto previsto dall’art. 346 della Direttiva n. 2006/112/CE, dovendo ritenersi che la predetta disposizione risponda unicamente ad esigenze di controllo dei traffici doganali.

In ossequio al principio di prevalenza dei requisiti sostanziali su quelli formali, cui è informata a livello unionale tutta la disciplina dell’IVA, la Corte di Cassazione ha dunque concluso che l’oro da investimento debba ritenersi sempre esentato dal pagamento dell’imposta, indipendentemente dal rispetto dei requisiti formali previsti dall’articolo 68, lettera c, del d.P.R. n. 633/1972, la cui inosservanza potrebbe, se del caso, comportare l’applicazione di una sanzione.

 

Alessandro Fruscione

Studio legale Fruscione

Già partner per oltre 12 anni in altro prestigioso studio legale tributario italiano, si occupa di diritto doganale e delle accise e di IVA, fornendo consulenza alle imprese ed assistenza innanzi alle autorità giudiziarie italiane e dell’Unione europea in caso di contenziosi.
E’ docente in corsi di formazione in materia doganale e processuale tributaria e dal 2008 al 2016 ha insegnato, quale aggiunto della materia “Legislazione e servizi in materia di dogane”, presso l’Accademia della Guardia di Finanza. Già docente a contratto di “Diritto doganale” presso alcune Università italiane, è autore di articoli, note a sentenze e monografie.