La Dogana non può contestare l’origine dichiarata all’importazione, se l’avviso di accertamento si fonda su un’indagine europea, apparentemente corposa e ricca di dettagli, ma senza elementi di prova concreti.

È questo il principio stabilito dalle Corti di Giustizia tributaria di primo grado di Bari (sentenza 2 gennaio 2024, n. 13) e di Venezia (sentenza 4 dicembre 2023, n. 530), intervenute su alcuni dei sempre più frequenti casi di applicazione dei dazi antidumping, pretesi a seguito di un’indagine Olaf.

La contestazione è la medesima: la Dogana contesta la veridicità dell’origine dichiarata, sulla base delle indagini svolte dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf), applicando un dazio antidumping molto elevato e sanzioni spesso del tutto sproporzionate.

Com’è noto, l’Olaf è un organo della Commissione europea che ha la facoltà di svolgere, in piena indipendenza, indagini interne o esterne, nei confronti di altri Paesi terzi. L’obiettivo perseguito dall’Organismo antifrode europeo è quello di individuare eventuali attività illecite come casi di frode e corruzione che rappresentano una minaccia agli interessi finanziari dell’Unione. In ambito doganale, assumono particolare importanza le indagini sull’origine dei prodotti, finalizzate ad accertare possibili elusioni o evasioni dei dazi antidumping.

Per quanto autorevoli, tali indagini possono fondare un accertamento doganale, in base al principio dell’onere della prova, soltanto se si riferiscono alle specifiche operazioni contestate dall’Agenzia delle dogane. È necessario pertanto verificare, caso per caso, se le conclusioni dell’Olaf siano sufficienti a giustificare una rettifica dell’origine dei prodotti importati.

La Corte di Bari e la Corte di Venezia hanno, pertanto, chiarito che è illegittima la rettifica dell’origine doganale se la riclassificazione come prodotto cinese, e la conseguente applicazione di pesanti dazi antidumping, si fonda su un’indagine Olaf priva di riferimenti al caso concreto.

Si tratta di due precedenti importanti, destinati a influenzare anche numerosi altri casi analoghi, instaurati presso diverse Corti tributarie.

In particolare, la vicenda esaminata dal giudice barese trae origine da un’indagine dell’Ufficio antifrode europeo sulle e-bike importate dalla Turchia. Secondo l’Olaf, il fornitore turco, avrebbe acquistato biciclette smontate dalla Cina, limitandosi poi ad assemblarle senza realizzare una lavorazione sostanziale. L’Agenzia delle dogane ha pertanto concluso che le e-bike, dichiarate di origine turca, avrebbero avuto invece di origine cinese, con conseguente applicazione di un dazio antidumping pari al 62,10% del valore della merce e di un dazio compensativo del 17,20%.

La Corte di Bari ha accertato che l’indagine Olaf non è in grado di dimostrare la presunta frode, da parte del fornitore turco. Né l’Olaf né la Dogana, infatti, sono riusciti a dimostrare che il produttore turco si sia limitato ad assemblare componenti di origine cinese.

La Corte di Bari ha pertanto dichiarato illegittimo l’accertamento, rilevando che la rettifica dell’origine doganale non può basarsi su un’indagine europea nella quale siano assenti riferimenti al caso concreto.

I beni importati erano scortati, inoltre, da regolari certificati di origine emessi dalla Camera di Commercio turca. Tali certificati, come ricordato dal giudice, rappresentano piena prova dell’origine doganale della merce.

Il caso esaminato dal giudice veneto ha ad oggetto, invece, un report dell’Olaf relativo ai tubi senza saldatura di ferro (derivanti dalla ghisa) o di acciaio (diversi dall’acciaio inossidabile) importati dalla Thailandia.

Si tratta della prima pronuncia relativa a questo filone d’indagine, avviato dall’Olaf (Organismo antifrode UE) nel novembre 2020 e portato a termine nel 2022, che ha coinvolto molte imprese, italiane e di altri sei Paesi europei, interessate da un accertamento. Sulla base delle conclusioni dell’Olaf, secondo la Dogana, i prodotti importati, dichiarati di origine thailandese, avrebbero avuto invece origine cinese, con conseguente applicazione di un dazio antidumping pari al 54,9% del valore della merce. Si tratta di un filone molto ampio, considerato che, secondo l’Olaf, il totale dei dazi antidumping evasi ammonterebbe a oltre sette milioni e mezzo di euro.

Come rilevato dai giudici veneti, il report Olaf si riferiva a moltissime operazioni e presentava elementi di incertezza, non sufficienti a superare le prove dell’origine fornite invece dall’importatore. I prodotti importati, infatti, erano scortati da validi e regolari certificati di origine, rilasciati dalla Camera di Commercio thailandese, i quali rappresentano, anche dal punto di vista giuridico, validi elementi di prova.

Le sentenze in commento recepiscono il già consolidato orientamento della Corte di Cassazione, che da tempo ha chiarito come il mero riferimento a un operatore estero, nell’ambito di un report Olaf, non rappresenta una prova sufficiente per contestare l’origine dei beni importati, essendo necessaria una connessione diretta tra le importazioni contestate e i prodotti oggetto dell’indagine internazionale (Cass., 31 luglio 2020, n. 16469).

Di fronte a questo genere di contestazioni, occorre considerare attentamente tutti gli elementi di prova a supporto del dichiarante doganale. In particolare, assume fondamentale rilievo il certificato di origine non preferenziale rilasciato dalle autorità competenti del Paese terzo da cui provengono i prodotti, in genere dalla Camera di Commercio. Nei casi in cui il fornitore abbia regolarmente richiesto, dando piena garanzia dell’origine della merce da esportare, e ottenuto, all’esito positivo delle verifiche previste dalla normativa vigente, regolari certificati di origine della merce dalla Camera di Commercio, la pretesa dell’Agenzia delle dogane è stata ritenuta illegittima (Cassazione, sez. V, 29 aprile 2020, n. 8337; Cassazione, sez. V, 28 febbraio2019, nn. 5931, 5932, 5933, 5934; Corte di Giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, 23 novembre 2022, n. 1361).

È, infatti, compito della Dogana dimostrare l’invalidità del certificato di origine non preferenziale, come chiaramente espresso dalla fondamentale sentenza della Corte di Giustizia 9 marzo 2006, C-293/04, Beemsterboer Coldstore Services BV. Secondo la Corte di Cassazione, l’onere probatorio in merito alla diversa origine non può ritenersi assolto nell’ipotesi in cui l’Amministrazione doganale si limiti a richiamare un report Olaf, se tale segnalazione non è supportata da ulteriori elementi che dimostrino l’irregolarità dell’operazione, poiché spetta all’Agenzia delle dogane dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggior pretesa tributaria (Cassazione, sez. V, 31 luglio 2020, n. 16469; Cassazione, sez. V, ord. 24 luglio 2020, n. 15864; Cassazione, sez. V, ord. 29 aprile 2020, n. 8337).

Secondo la giurisprudenza, pertanto, al fine di contestare l’origine documentata nel certificato estero, la Dogana deve porre in essere una puntuale e completa istruttoria per confutarne la veridicità e per dimostrare la diversa origine dello specifico prodotto oggetto di contestazione.

Laureata in Giurisprudenza nel 1993, con lode e la dignità di stampa, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Genova dal 1996, conseguendo 300/300 all’esame finale, ha esercitato, dal 1993 al 2008, attività professionale con il prof. Victor Uckmar, per il quale ha svolto per diversi anni attività di ricerca e didattica in diritto tributario presso l’Università di Genova

Nel 2008 ha fondato lo Studio Armella & Associati, con sedi in Milano e Genova, indicato dalla rivista Forbes tra “Le 100 eccellenze del legal in Italia” e dalla rivista Top legal tra i migliori studi di diritto tributario. Lo Studio è tra i fondatori e unico membro italiano di Green lane, associazione internazionale di studi professionali indipendenti, specializzata in dogane e diritto del commercio internazionale

Membro della Commissione di esperti in materia doganale, nominata dal Vice Ministro delle finanze on.le Maurizio Leo per l’attuazione della riforma fiscale (decreto n. 99/2023)

Presidente della Commissione Dogane & trade facilitation della Sezione Italiana della International Chamber of Commerce e delegato italiano presso la Commission on Customs and trade facilitation della ICC di Parigi

Docente di diritto doganale presso Università Bocconi, Università Statale di Milano e La Sapienza di Roma in Master e Corsi post universitari, professore a contratto presso ICE