La regola di origine stabilita dalla Commissione europea può essere annullata dalla Corte di Giustizia, se non è coerente con il principio di parità di trattamento di situazioni analoghe. È questo il principio stabilito dalla sentenza 21 settembre 2023, C-210, destinata a riflettersi anche sulle numerose contestazioni sorte a seguito di un’indagine Olaf sui tubi di acciaio importati dall’India.

L’origine doganale di un articolo individua il Paese in cui il bene è stato creato o prodotto e rappresenta, quindi, una caratteristica intrinseca della merce, essendo strettamente legata al luogo e al metodo di produzione utilizzato. Secondo la normativa doganale, un prodotto realizzato con componenti aventi origine diverse si considera di “origine non preferenziale” del Paese in cui ha subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione (art. 60, par. 2, Cdu).

Le regole di origine sono stabilite dalla Commissione europea mediante l’allegato 22-01 del Regolamento delegato al Codice doganale europeo (Reg. UE 2446/2015). Tale norma, direttamente applicabile, associa a ogni voce doganale una regola di origine specifica, che prevede le condizioni in presenza delle quali le lavorazioni avvenute in uno Stato estero sono considerate idonee per determinare l’origine del prodotto.

La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha chiarito che nella previsione di queste regole, la Commissione è tenuta a rispettare il principio fondamentale, previsto dal codice, approvato dal Parlamento e dal Consiglio, che stabilisce il concetto di lavorazione sostanziale. L’origine deve essere stabilita esclusivamente in base all’elemento discriminante costituito dall’ultima trasformazione di rilevanza sostanziale.

In particolare, il giudice europeo ha censurato la previsione di condizioni diverse in circostanze simili, sottolineando l’importanza di un trattamento uniforme in situazioni analoghe.

La voce doganale sottoposta all’esame della Corte di Giustizia è la 7304 41, relativa ai tubi di acciaio inossidabile laminati a freddo. Per tali prodotti, la regola di origine prevista dall’allegato 22-01 stabilisce che la merce può dirsi originaria di un determinato Paese soltanto se: i) tutti i materiali utilizzati hanno subito un cambiamento di voce tariffaria (a livello delle prime 4 cifre della classificazione), o, in alternativa, ii) se i prodotti sono stati realizzati a partire da profilati cavi di cui alla voce 7304 49.

Con tale pronuncia, la Corte di giustizia europea ha ritenuto illegittima la regola di origine stabilita dalla Commissione Ue per un duplice ordine di ragioni. Da un lato, occorre considerare che è possibile che vi sia una lavorazione sostanziale, idonea a determinare l’origine della merce, anche in assenza di un cambiamento di voce tariffaria. Inoltre, secondo il giudice europeo, il criterio relativo ai profilati cavi determina una differenza di trattamento ingiustificata rispetto alle lavorazioni realizzate a partire da un tubo sbozzato. Contrasta con il principio di parità di trattamento la previsione di una regola di origine che distingua tra una lavorazione effettuata a partire da profilati cavi, rispetto a una trasformazione realizzata a partire da prodotti assolutamente analoghi, come i tubi sbozzati.

Si tratta di un principio destinato ad avere un impatto significativo sui numerosi contenziosi che coinvolgono alcune imprese italiane. La sentenza della Corte di Giustizia smentisce, infatti, la tesi espressa dall’Olaf in un’indagine che ha interessato le importazioni di tubi di acciaio originari dell’India.

Com’è noto, l’Olaf (Ufficio europeo per la lotta antifrode) è un organo indipendente della Commissione europea, che ha il potere di svolgere indagini nei confronti di operatori e autorità in Paesi extra-UE, con l’obiettivo di rilevare eventuali casi di frode o di elusione dei dazi doganali.
In ambito doganale, assumono particolare rilievo le indagini sull’origine delle merci, finalizzate a rilevare una possibile evasione delle misure di salvaguardia applicate dall’Unione europea, come i dazi antidumping. Tali misure assolvono una funzione non propriamente fiscale, bensì sanzionatoria e di tutela del mercato, mediante un riequilibrio del prezzo del prodotto, con l’intento specifico di equiparare il prezzo del bene estero a quello nel mercato di produzione, mediante un dazio specifico, di importo equivalente al margine di dumping praticato.

La tesi dell’Olaf, secondo cui alcune società indiane avrebbero importato dalla Cina tubi di acciaio, per poi riesportarli senza effettuare lavorazioni sostanziali, è già stata ritenuta “non sufficiente” per contestare l’origine doganale dei tubi importati dalla Cina.

La Corte di giustizia di II grado della Lombardia, con la sentenza 22 agosto 2023, n. 2557 ha chiarito che l’Agenzia delle dogane non può contestare l’origine delle merci importate soltanto sulla base di un’indagine “a tavolino” dell’Olaf.

Tale pronuncia recepisce il già consolidato orientamento della Corte di Cassazione, che da tempo ha chiarito come il mero riferimento a un operatore estero, nell’ambito di un report Olaf, non rappresenta una prova sufficiente per contestare l’origine dei beni importati, essendo necessaria una connessione diretta tra le importazioni contestate e i prodotti oggetto dell’indagine internazionale (Cass., sez. V, 31 luglio 2020, n. 16469; Cass., sez. V, 24 luglio 2020, n. 15864; Cass., sez. V, 29 aprile 2020, n. 8337). Come affermato anche da numerose sentenze di merito, non è sufficiente un report Olaf per contestare l’origine della merce essendo necessario un accertamento puntuale sulle operazioni contestate (Corte Giust. trib. II grado del Veneto, 23 novembre 2022, n. 1361; Corte Giust. trib. II grado della Lombardia, 9 giugno 2022, n. 2422).

Occorre, pertanto, verificare, caso per caso, se le conclusioni dell’Olaf siano sufficienti a giustificare una rettifica dell’origine dei prodotti importati.

Come chiarito dai giudici milanesi, l’Olaf ha svolto un’analisi “a tavolino” sulla base di dati generali, inerenti tutte le importazioni di tubi di acciaio dalla Cina all’India, senza tuttavia confrontare i dati statistici elaborati con i dati reali. Secondo quanto rilevato dalla giurisprudenza, l’assenza di una verifica fisica presso lo stabilimento del produttore non consente di accertare, nel concreto, l’origine della merce contestata.

Le sentenze in commento affermano che l’Amministrazione doganale deve fornire una prova adeguata, riferita alle specifiche operazioni contestate, alle imprese, ai luoghi di produzione e ai flussi delle merci oggetto di importazione.

Occorre rilevare, infine, che anche la Commissione europea ha avviato un’inchiesta sulle imprese indiane produttrici di tubi esaminate dall’Olaf, svolgendo una specifica attività di controllo in loco presso gli stabilimenti, per accertare le attività concretamente svolte e il livello di lavorazione del prodotto. A differenza dell’Olaf, che in tale caso non ha effettuato ispezioni presso le aziende esportatrici, la Commissione UE, a seguito di un’approfondita e attenta indagine, ha confermato l’origine indiana dei prodotti oggetto di contestazione (Reg. di esecuzione Ue n. 2017/2093).

L’indagine sul singolo caso concreto è stata ritenuta più attendibile rispetto alla verifica “a tavolino”, che in questo caso si è limitata a un incrocio di dati statistici, senza nessun accertamento diretto sui dati reali.

Sara Armella

Laureata in Giurisprudenza nel 1993, con lode e la dignità di stampa, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Genova dal 1996, conseguendo 300/300 all’esame finale, ha esercitato, dal 1993 al 2008, attività professionale con il prof. Victor Uckmar, per il quale ha svolto per diversi anni attività di ricerca e didattica in diritto tributario presso l’Università di Genova

Nel 2008 ha fondato lo Studio Armella & Associati, con sedi in Milano e Genova, indicato dalla rivista Forbes tra “Le 100 eccellenze del legal in Italia” e dalla rivista Top legal tra i migliori studi di diritto tributario. Lo Studio è tra i fondatori e unico membro italiano di Green lane, associazione internazionale di studi professionali indipendenti, specializzata in dogane e diritto del commercio internazionale

Membro della Commissione di esperti in materia doganale, nominata dal Vice Ministro delle finanze on.le Maurizio Leo per l’attuazione della riforma fiscale (decreto n. 99/2023)

Presidente della Commissione Dogane & trade facilitation della Sezione Italiana della International Chamber of Commerce e delegato italiano presso la Commission on Customs and trade facilitation della ICC di Parigi

Docente di diritto doganale presso Università Bocconi, Università Statale di Milano e La Sapienza di Roma in Master e Corsi post universitari, professore a contratto presso ICE