In caso di fondati dubbi sulla veridicità del valore dichiarato, è onere della Dogana dimostrare di aver applicato, in sede di rettifica, i metodi immediatamente sussidiari stabiliti dal Codice doganale, secondo la rigida sequenza prevista, dovendo eventualmente dar conto delle ragioni per cui l’applicazione dei precedenti criteri non sia stata possibile. È questo il principio di diritto che emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione 16 maggio 2022, n. 15540, secondo cui deve ritenersi illegittima la rettifica dell’Ufficio fondata direttamente sul valore medio di merci similari.
Com’è noto, il criterio primario per la determinazione del valore doganale è rappresentato dal prezzo di transazione, ossia quello effettivamente pagato per i prodotti importati (art. 29 del Codice doganale comunitario, vigente ratione temporis, Reg. CE 2913/1992, ora sostituito dall’art. 70 Cdu, Reg. UE 952/2013). Solo quando non sia possibile individuare il prezzo di transazione della merce, è ammesso il ricorso ai criteri alternativi di stima dei beni importati individuati dalla normativa doganale, da utilizzarsi in rigoroso ordine gerarchico.
La normativa unionale in tema di valutazione doganale mira, infatti, a stabilire un sistema equo, uniforme e neutro, che esclude l’impiego di valori in Dogana arbitrari o fittizi (Corte di Giustizia, 20 dicembre 2017, C-529/16, Hammamatsu Photonics Deutschland GmbH). Il valore in Dogana deve pertanto riflettere il costo economico reale della merce importata, tenendo conto di tutti gli elementi che contribuiscono alla sua determinazione.
Come ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 16 maggio 2022, n. 15540, la normativa prevista dal Codice doganale impone all’Agenzia delle dogane un preciso onere procedimentale per superare il prezzo indicato dall’operatore nei documenti allegati alla dichiarazione doganale.
In primo luogo, ai sensi dell’art. 181 bis Reg. CEE 2454/1993 (ora sostituito dall’art. 140 Reg. UE 2447/2015), il valore dichiarato in sede di importazione può essere oggetto di revisione soltanto quando le Autorità doganali nutrano motivati e fondati dubbi in ordine al corrispettivo indicato, a seguito di uno speciale contraddittorio preventivo, previsto come obbligatorio.
Al riguardo, la Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha precisato che ove emergano fondati sospetti che il valore dichiarato all’importazione non corrisponda a quello effettivo dei beni, “l’autorità doganale deve chiedere informazioni complementari e sollecitare il contraddittorio prima di decidere di non determinare il valore in dogana delle merci importate in base alla regola generale” (nello stesso senso, Cass., sez. V, 17 gennaio 2019, nn. 1114 e 1115).
In particolare, secondo la Suprema Corte, per disattendere il valore di transazione della merce è necessario che: i) l’Agenzia delle dogane abbia fondati dubbi sull’attendibilità del prezzo dichiarato e ii) che tali dubbi persistano anche dopo una richiesta di ulteriori informazioni e di documentazione e dopo aver fornito all’interessato la possibilità di presentare le proprie osservazioni difensive.
L’Agenzia delle dogane, pertanto, non può limitarsi a informare il contribuente del suo diritto al contraddittorio, ma deve attivarsi per realizzare un confronto effettivo, allo scopo di rideterminare, in via “condivisa” il valore doganale dei beni importati.
Da segnalare che il mancato rispetto del diritto al contraddittorio dell’importatore comporta l’illegittimità del provvedimento impugnato, poiché, come precisato dalla Suprema Corte, “l’obbligo di sollecitare il contraddittorio ha carattere generale e deve essere sempre ottemperato” (Cass., sez. V, 13 novembre 2020, n. 25724; Cass., sez. V, 27 settembre 2018, nn. 23244, 23245, 23246).
In secondo luogo, la rettifica del valore deve rispettare non soltanto i criteri di determinazione previsti dal Codice doganale, ma anche il loro ordine di applicazione. Secondo il principio di diritto affermato dalla sentenza in commento, infatti, la Dogana, infatti, è “tenuta a dimostrare, con onere probatorio a proprio carico, di avere applicato, nella rideterminazione del valore in dogana, i metodi immediatamente sussidiari di cui agli artt. 30 e 31 del codice doganale, secondo la rigida sequenza ivi prevista in successione ovvero è tenuta a dare conto delle ragioni per cui il rispetto del detto ordine previsto dal Codice doganale comunitario non sia stato possibile” (Cass., sez. V, 16 maggio 2022, n. 15540).
Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, l’Agenzia delle dogane aveva impiegato un metodo di rideterminazione non immediatamente sussidiario rispetto a quello del prezzo di transazione, facendo ricorso al valore medio di merci similari, senza dimostrare per quale ragione non era stato possibile rispettare la precisa sequenza dei metodi individuati dal Codice doganale, utilizzando il criterio fondato sul valore di transazione di merci identiche.
Occorre rilevare, inoltre, che spesso l’Agenzia delle dogane fonda il proprio accertamento sul raffronto con banche dati a uso interno (come i sistemi M.E.R.C.E. o T.H.E.S.E.U.S.) per ricavare il valore di merci similari. Tale meccanismo è già stato dichiarato illegittimo dalla Corte di Cassazione, la quale ha chiarito che deve ritenersi illegittima la pretesa della Dogana nell’ipotesi in cui la rettifica sia avvenuta traendo dal “datawarehouse M.E.R.C.E” i valori successivamente posti a base dell’accertamento (Cass., sez. V, 17 gennaio 2019, n. 1115).
Tali banche dati, infatti, non sono riconosciute e previste da nessuna fonte normativa e non sono accessibili o conoscibili dagli operatori. Sono pertanto del tutto ignoti il numero e la tipologia delle importazioni registrate, così come le metodologie di calcolo attraverso cui è elaborato un prezzo medio statistico per le voci doganali delle merci importate, nonché le oscillazioni entro le quali tale importo può eventualmente variare.
È, pertanto, impossibile verificare la corrispondenza tra i prodotti presi a campione e i prodotti importati, anche in ragione del fatto che in ciascuna categoria merceologica sono ricomprese diverse tipologie di beni, con differenti caratteristiche qualitative e, conseguentemente, con un diverso valore unitario.
Sara Armella
Massimo Monosi
Laureata in Giurisprudenza nel 1993, con lode e la dignità di stampa, iscritta all’Ordine degli Avvocati di Genova dal 1996, conseguendo 300/300 all’esame finale, ha esercitato, dal 1993 al 2008, attività professionale con il prof. Victor Uckmar, per il quale ha svolto per diversi anni attività di ricerca e didattica in diritto tributario presso l’Università di Genova
Nel 2008 ha fondato lo Studio Armella & Associati, con sedi in Milano e Genova, indicato dalla rivista Forbes tra “Le 100 eccellenze del legal in Italia” e dalla rivista Top legal tra i migliori studi di diritto tributario. Lo Studio è tra i fondatori e unico membro italiano di Green lane, associazione internazionale di studi professionali indipendenti, specializzata in dogane e diritto del commercio internazionale
Membro della Commissione di esperti in materia doganale, nominata dal Vice Ministro delle finanze on.le Maurizio Leo per l’attuazione della riforma fiscale (decreto n. 99/2023)
Presidente della Commissione Dogane & trade facilitation della Sezione Italiana della International Chamber of Commerce e delegato italiano presso la Commission on Customs and trade facilitation della ICC di Parigi
Docente di diritto doganale presso Università Bocconi, Università Statale di Milano e La Sapienza di Roma in Master e Corsi post universitari, professore a contratto presso ICE