Con l’ordinanza, 3 agosto 2023, n. 23661, la Corte di Cassazione si è pronunciata su diversi e importanti aspetti delle operazioni doganali qualora lo spedizioniere doganale agisca in rappresentanza indiretta.
La fattispecie esaminata dalla Suprema Corte riguardava un’importazione di calzature dalla Cina curata da un Centro di assistenza doganale (Cad) in rappresentanza indiretta.
L’Ufficio, con provvedimento di rettifica dell’accertamento, notificato sia alla società importatrice che allo spedizioniere, ha preteso il pagamento di un presunto maggior dazio e dell’Iva all’importazione, oltre interessi maturati, ritendo non veritiero il valore dichiarato all’importazione.
Con separato atto, l’Ufficio ha altresì preteso sanzioni amministrative.
In particolare, le rettifiche dell’Ufficio risultavano basate su un controllo effettuato dall’Agenzia delle dogane presso la sede dell’importatore, dal quale sarebbero emersi dubbi in ordine al valore delle merci dichiarato all’atto dell’importazione per diverse operazioni.
La Commissione tributaria provinciale ha accolto il ricorso del Cad, mentre la Commissione tributaria regionale ha accolto l’appello dell’Ufficio; conseguentemente il Cad si è rivolto alla Suprema Corte, denunciando diversi vizi di legittimità della sentenza di secondo grado.
In particolare, nel corso dei due gradi di giudizio il Cad ha censurato il provvedimento impugnato per non aver considerato illegittima la pretesa a titolo di Iva nei confronti dello spedizioniere.
Al riguardo, occorre considerare che l’applicazione dell’imposta sul valore aggiunto deriva da norme specifiche, quali la Direttiva Iva e il Decreto Iva, che definiscono autonomamente tutti gli elementi del rapporto tributario in relazione a ciascun presupposto impositivo, tra cui le importazioni.
E invero, in applicazione della specifica normativa sull’Iva, anche a prescindere dalla qualificazione di tale imposta come diritto di confine o imposta interna, si giunge alla medesima conclusione di escludere che lo spedizioniere possa in alcun modo essere chiamato a rispondere del mancato pagamento dell’imposta.
In particolare, l’art. 201 della direttiva 2006/112 del 28 novembre 2006 (Direttiva Iva) dispone che “All’importazione l’Iva è dovuta dalla o dalle persone designate o riconosciute come debitrici dallo Stato membro d’importazione”.
Per la determinazione del soggetto debitore dell’Iva, occorre dunque fare rinvio alla normativa interna italiana e in particolare all’art. 38, comma primo, Testo unico della legge doganale, il quale prevede che “Al pagamento dell’imposta doganale sono obbligati il proprietario della merce, a norma dell’art. 56, e, solidalmente, tutti coloro per conto dei quali la merce è stata importata od esportata”.
Occorre specificare, inoltre, che l’art. 205 della Direttiva Iva stabilisce che “Nelle situazioni di cui agli articoli da 193 a 200 e agli articoli 202, 203 e 204, gli Stati membri possono stabilire che una persona diversa dal debitore dell’imposta sia responsabile in solido per l’assolvimento dell’Iva”.
In base al chiaro disposto normativo dell’art. 205 della Direttiva Iva, dunque, i casi in cui è concesso agli Stati membri di stabilire che persone diverse dal debitore d’imposta possano essere solidalmente responsabili per l’assolvimento dell’Iva non includono l’Iva all’importazione prevista dall’art. 201 della Direttiva Iva.
E’ quindi espressamente esclusa, per l’Iva all’importazione, ogni ipotesi di solidarietà passiva da parte di soggetti non considerati proprietari delle merci, ossia diversi dai soggetti titolari del corrispondente diritto alla detrazione d’imposta, in osservanza del principio di neutralità.
E invero, il diritto di detrazione è riconosciuto unicamente al proprietario della merce, titolare dei correlati obblighi di registrazione e dichiarazione, e non anche al suo rappresentante, seppure indiretto.
Risulta quindi evidente che, per consentire la detrazione in ossequio all’inderogabile principio di neutralità dell’Iva nei confronti dei soggetti passivi, l’unico individuo che può essere tenuto al versamento dell’Iva è colui che risulta dal documento che comprova l’importazione, quale destinatario o importatore della merce (artt. 168 e 178 Direttiva Iva).
Ogni altro soggetto chiamato a rispondere dell’imposta sarebbe, infatti, privo di legittimazione a esercitare il diritto di detrazione e resterebbe quindi definitivamente inciso dal tributo, in palese violazione del principio di neutralità.
Occorre altresì evidenziare che nella fattispecie all’esame della Suprema Corte la responsabilità solidale degli spedizionieri in relazione al pagamento dell’obbligazione doganale discenderebbe dall’applicazione degli artt. 201 e 202 c.d.c., vigenti ratione temporis.
Tali norme prevedono che obbligato al versamento dei dazi non sia solo l’importatore, direttamente o in qualità di soggetto per conto del quale è resa la dichiarazione, ma anche il suo rappresentante indiretto e ogni altro soggetto che partecipi alle formalità doganali, purchè conoscesse, o dovesse conoscere, l’irregolarità dei dati versati nella dichiarazione doganale.
Ebbene, tali norme del codice doganale comunitario, vigenti ratione temporis, riguardavano esclusivamente l’obbligazione doganale e erano, quindi, completamente estranee alla disciplina dell’Iva all’importazione, essendo il suo ambito di operatività limitato alla fiscalità interna.
Tale motivo di ricorso è stato accolto dai giudici di legittimità, i quali hanno affermato che “in materia, è pur vero che secondo un consolidato orientamento interpretativo il rappresentante indiretto risponde solidalmente con l’importatore del pagamento dell’Iva all’importazione, avendo presentato a suo nome la dichiarazione doganale e dovendo ricomprendersi tale obbligazione tra gli oneri doganali, ancorchè non classificabile come diritto di confine, sicchè va accertata e riscossa nel momento in cui si verifica il fatto dell’importazione, che ne è il presupposto impositivo. (…) Tuttavia, una recente ricostruzione della fattispecie giuridica ha rilevato la contrarietà delle suddette conclusioni rispetto alla giurisprudenza unionale (Cass., 27 luglio 2022, n. 23526), in particolare evidenziando nel riconoscimento della responsabilità dello spedizioniere operante nella veste di rappresentante indiretto, che la Corte di legittimità ha tenuto fermo per oltre 8 anni, si fonda su di una interpretazione messa in discussione da una recentissima sentenza della Corte di giustizia europea 12 maggio 2022, C-714/20. (…) A conclusione dello sviluppo argomentativo della pronuncia che qui si richiama e a cui si rinvia, si è affermato che l’Iva all’importazione non fa parte dell’obbligazione doganale definita dall’art. 5 del Reg. Ue, 9 ottobre 2013, n. 952 e pertanto del suo mancato pagamento risponde unicamente l’importatore e non anche il suo rappresentante indiretto, in assenza di specifiche e inequivoche disposizioni nazionali che ne prevedano la responsabilità solidale”.
Tale sentenza è in linea con l’orientamento oramai prevalente in materia (Cass., 21 agosto 2023, n. 24899; Cass., 10 agosto 2023, n. 24343; Cass., 26 giugno 2023, n. 18144).
Degno di nota è anche l’accoglimento del motivo relativo all’illegittimità degli interessi di mora calcolati dalla data delle singole importazioni, giacchè secondo il codice vigente ratione temporis, la Dogana era legittimata a riscuoterli esclusivamente per il periodo successivo alla contabilizzazione dell’obbligazione doganale.
In particolare, la Suprema Corte ha affermato che “come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza 31 marzo 2011, C-546/09, gli interessi di mora relativi all’importo dei dazi doganali che devono ancora essere percepiti possono essere riscossi ai sensi dell’art. 232 c.d.c. solo per il periodo successivo alla scadenza del termine di pagamento, sicchè non possono essere addebitati al contribuente interessi compensativi in relazione al periodo intercorso tra il momento dell’originaria dichiarazione doganale e quello della contabilizzazione a posteriori di tale obbligazione (…) Al di là del richiamo alla categoria degli interessi compensativi, il principio per le ragioni per cui sottende l’interpretazione giurisprudenziale si attaglia correttamente agli interessi moratori”.
Al riguardo, si evidenzia che attualmente tale principio è stato superato, giacchè la normativa vigente ha disciplinato puntualmente gli interessi di mora, affermando all’art. 114, secondo comma, c.d.u. che “se l’obbligazione doganale è sorta sulla base dell’art. 79 o dell’art. 82 o se la notifica dell’obbligazione doganale avviene in seguito a un controllo ex post, oltre all’importo dei dazi all’importazione o all’esportazione, viene applicato un interesse di mora dalla data in cui è sorta l’obbligazione doganale fino alla data della notifica”.
Nella medesima sentenza la Suprema Corte si è infine pronunciata sul principio di proporzionalità delle sanzioni amministrative, in relazione alle sanzioni dettate dal terzo comma dell’art 303 Tuld.
In particolare, i Giudici di legittimità, pur dando atto che l’Ufficio ha applicato la sanzione minima prevista dallo scaglione di riferimento, riconoscono che “sebbene la sanzione applicabile al caso di specie contenga già di suo una graduazione assicurata da scaglioni, è indubitabile che a fronte dell’imposta accertata, la sanzione applicata è in sé sproporzionata, superando addirittura il 300% della maggior imposta dovuta”.
Tale sentenza ha confermato l’orientamento che si sta consolidando su tre aspetti ampiamente discussi che dovrebbe condurre gli Uffici a valutare le fattispecie concrete prima di emettere gli atti impositivi.
Valentina Picco
Cristina Zunino