La tematica del punto di infiammabilità (“flash point”) assume un rilievo cruciale all’interno del comparto della distribuzione carburanti, un settore caratterizzato da una complessa rete di soggetti e processi che necessitano di controlli stringenti per garantire la sicurezza, la conformità normativa e la tutela della qualità del prodotto. Le verifiche effettuate congiuntamente dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) e dalla Guardia di Finanza (GdF) sono divenute nel tempo sempre più approfondite e mirate, con particolare attenzione alle proprietà fisico-chimiche del carburante, tra cui spicca il punto di infiammabilità.

Il punto di infiammabilità: definizione tecnica e importanza pratica

Il punto di infiammabilità rappresenta la temperatura minima alla quale un liquido emette vapori in quantità sufficiente a formare con l’aria una miscela infiammabile che può incendiarsi in presenza di una fonte di ignizione esterna. Tale parametro è fondamentale per la classificazione del rischio associato al carburante durante tutte le fasi della sua movimentazione e utilizzo.

Nel caso del gasolio, il punto di infiammabilità deve essere almeno pari a 55°C, limite stabilito per evitare che il carburante produca vapori infiammabili a temperature ordinarie di stoccaggio o trasporto. Questo requisito non è soltanto una misura di sicurezza, ma rappresenta anche un criterio normativo imprescindibile, allineato con le disposizioni europee sul trasporto di merci pericolose e le normative tecniche EN590, specifica che definisce le caratteristiche del gasolio per uso stradale.

Intensificazione dei controlli e conseguenze della non conformità: profili legali e aziendali

Nel passato, le attività di controllo dell’ADM sugli impianti di distribuzione si focalizzavano prevalentemente sugli aspetti amministrativi, come la regolare tenuta dei registri di carico e scarico e la verifica delle rimanenze contabili. Tuttavia, negli ultimi anni si è assistito a un’evoluzione dei controlli verso una dimensione qualitativa, con particolare riguardo alla verifica del punto di infiammabilità.

Questi controlli si concretizzano nel prelievo di campioni di carburante presso i punti vendita, eseguiti in conformità all’art. 18 del D.lgs. 504/1995, il quale disciplina i poteri e le modalità con la quale i funzionari dell’amministrazione finanziaria effettuano le verifiche necessarie per assicurare la gestione dei tributi. L’obiettivo è accertare che il carburante erogato rispetti le specifiche tecniche previste dalla legge, assicurando così la sicurezza degli utenti e la regolarità del mercato.

L’eventuale riscontro di una non conformità nel punto di infiammabilità comporta l’attivazione di procedure sanzionatorie di natura penale nei confronti dei legali rappresentanti degli operatori distributivi. Le accuse più comuni includono la frode nell’esercizio del commercio (art. 515 c.p.) e la detenzione o uso di prodotti ottenuti da fabbricazioni clandestine o miscelazioni non autorizzate (art. 40 D.lgs. 504/1995).

Oltre al profilo giudiziario, tali procedure determinano effetti significativi anche sul piano aziendale: la reputazione dell’impresa viene compromessa, si rischia il sequestro immediato delle autocisterne interessate e si generano conseguenze economiche rilevanti dovute alla sospensione delle attività e alle eventuali sanzioni.

È da sottolineare che, a seguito di numerosi accertamenti, le anomalie riscontrate si limitano in genere al solo parametro del punto di infiammabilità, mentre altri indicatori quali contenuto di zolfo, indice di cetano e presenza di aromatici risultano conformi, evidenziando come la problematica sia specifica e circoscritta.

 

Cause e dinamiche della contaminazione lungo la filiera distributiva

Le cause più frequenti di alterazione del punto di infiammabilità sono legate a contaminazioni accidentali da benzina, che possono verificarsi durante varie fasi della filiera distributiva. Tali contaminazioni sono spesso involontarie e imputabili alla natura complessa e variegata della movimentazione dei carburanti. Ad esempio, i trasferimenti di prodotto dai depositi fiscali a quelli commerciali, nonché il trasporto su strada mediante autobotti, espongono il gasolio a rischi di miscelazione accidentale. Questo perché nella maggior parte dei casi le autobotti e le manichette utilizzate per il travaso non sono dedicate esclusivamente a un singolo tipo di carburante ma sono impiegate in modo promiscuo per benzina, gasolio e talvolta HVO (olio vegetale idrogenato).

La circolare del Ministero delle Finanze n. 160/D dell’11 agosto 2000 definisce chiaramente i limiti di contaminazione consentiti, fissando una soglia massima dello 0,2% di benzina presente nel gasolio. Tale limite rappresenta la quantità minima capace di modificare in modo significativo il punto di infiammabilità, ponendo il carburante fuori norma. La stessa circolare prevede la possibilità di interventi correttivi, come la diluizione del prodotto contaminato, per riportarlo entro i parametri previsti dalla legge. Questa disposizione intende bilanciare la tutela della sicurezza e della qualità con la realtà operativa della filiera, evitando sanzioni penali quando le non conformità sono gestite correttamente e tempestivamente.

Tuttavia, gli operatori della filiera, pur essendo consapevoli di tali criticità, non dispongono di strumenti tecnici o di dati tempestivi per monitorare il punto di infiammabilità ad ogni passaggio, rendendo difficile il controllo preventivo e la gestione delle contaminazioni.

Implicazioni fiscali e qualità del carburante, le richieste del settore per un’evoluzione normativa

Da un punto di vista fiscale, la miscelazione accidentale di benzina nel gasolio non configura necessariamente un illecito, considerato che la benzina è soggetta a un’accisa superiore (€ 713,40 per mille litri contro € 632,40 per mille litri del gasolio).

Proprio per tale ragione il settore distributivo ha più volte evidenziato la necessità di un aggiornamento normativo che tenga conto delle peculiarità e complessità della filiera, chiedendo un approccio più equilibrato alla verifica della qualità del carburante.

Le associazioni di categoria propongono di sostituire l’applicazione immediata di sanzioni penali con misure di natura amministrativa, in grado di supportare gli operatori nel raggiungimento della conformità e di favorire pratiche di autocontrollo più efficaci, senza compromettere la tutela dei consumatori e la sicurezza.

Raccomandazioni per gli operatori

In un contesto caratterizzato da rischi di contaminazione difficilmente eliminabili, gli operatori sono invitati a implementare sistemi di controllo qualità più rigorosi, mediante l’effettuazione di analisi periodiche del punto di infiammabilità e l’adozione di clausole contrattuali che definiscano chiaramente responsabilità e obblighi lungo tutta la filiera.

Tali misure non solo consentono di ridurre l’esposizione a rischi sanzionatori, ma contribuiscono anche a migliorare la gestione operativa e a garantire la qualità del prodotto finale, tutelando al contempo la reputazione aziendale e la sicurezza degli utenti.

Consultant, Global Trade Advisory, Excise duties & Customs presso STS Deloitte