… a proposito di dazi …… a proposito di dazi …

Roma è nata per esigenze doganali: il Campidoglio, primo nucleo abitato, dominava l’Isola Tiberina che rappresentava il guado più agevole per il superamento del Tevere da parte dei mercanti nord-sud; questa linea di traffico si incrociava con i battelli che risalivano il Tevere. Quale luogo migliore per fondare una dogana e, quindi, una città?

… E la storia continua…

I Romani furono i primi ad elaborare un primo complesso organico di norme doganale; esse sono riscontrabili nel Digesto Romano.

Essi sono i germi della legislazione doganale contengono i principi del Dazio ad valorem, un elenco completo delle merci soggette alla vectigal o portorium, le norme sulle responsabilità dei pubblicani, i diritti dei delatori, i privilegi del fisco.

In materia di multe era posta la duplice distinzione tra “crimina” (delitti pubblici) e “delicta o maleficia” (delitti privati), comportanti i primi una pena corporale e, i secondi, una pena pecuniaria. di carattere strettamente civile, perseguibile su azione dell’offeso, in simplum, in duplum, in triplum.

Un riferimento al criterio della maggiore punibilità dell’azione dolosa in contrabbando si ha anche nella “actio legis Aquiliae”, dove è stabilito che l’actio è applicato “in simplum” e cioè per il solo risarcimento, pagamento dei diritti contro colui che confessi e “in duplum”, contro colui che neghi.

Alcuni di questi principi sono ancora oggi recepiti nell’attuale ordinamento doganale, come l’equiparazione del reato tentato a quello consumato, la commisurazione della pena alla lesione tentata o commessa.

Nel diritto romano il contrabbando, detto “commissum”, formulato in quattro casi principali, con metodo non diverso dal nostro, era punito con la sola confisca, e si diceva “commissum” la stessa confisca che era concepita soprattutto come mezzo di acquisto da parte del fisco.

Nel Basso Impero, tutta la costruzione amministrativa impiantata nei secoli precedenti fu gravemente intaccata e resa oppressiva per i contribuenti e sostanzialmente inefficace per l’erario.

A ciò contribuì la grande inflazione del III secolo, quando le entrate derivanti dalle vecchie tasse scesero fino a divenire una somma trascurabile e costrinse lo Stato a requisizioni di beni in natura per far fronte ai bisogni più urgenti.

La condizione di crisi dell’autorità statale era poi causa ed effetto di una dilagante corruzione.

La prima conseguenza fu l’abbandono dell’esazione diretta dei tributi doganali da parte dello Stato e la rinascita del sistema dell’appalto.

Gli appalti erano concessi per un periodo non inferiore ai tre anni, al più alto offerente.

Nei casi in cui l’offerta non era abbastanza alta da soddisfare le necessità, la raccolta dei tributi doganali era imposta forzosamente.

In alcune province, come ad esempio l’Egitto, quel compito era affidato ai decurioni delle città.

Il dazio doganale era la già accennata “octava”, pari a 12,5%, che veniva raccolta ai confini dell’Impero, mentre all’interno esistevano vari dazi interdiocesani del 2 o del 2,5%.

L’Imperatore Costantino, inoltre, rese governativi alcuni dazi precedentemente raccolti dalle città dell’Impero; responsabili di questi ultimi erano i “largitionales urbium singularum”, che si trovano citati dal IV secolo.

I dazi non potevano essere pagati con monete di rame, ma d’oro o d’argento e, dal V secolo, solo d’oro.

Va rilevato che il commercio estero dell’Impero aveva scarsa rilevanza: dalle regioni nordiche erano importati solo schiavi; dall’Armenia, Persia e Caucaso si importavano eunuchi; dall’Oriente venivano beni di lusso, quali incenso dallo Yemen, pepe da Malabar, seta dalla Cina, spezie e profumi dall’India.

Tali prodotti pervenivano dai confini dell’Impero romano via mare o via terra attraverso strade carovaniere. Il trasporto marittimo era nelle mani degli arabi e dei trasportatori marittimi d’Alessandria, città che rappresentava il punto d’ingresso nel territorio doganale dell’impero dei prodotti trasportati via mare; le merci che arrivavano via terra erano acquistate alla frontiera con la Persia.

Il commercio con l’estero era strettamente controllato e veniva permesso in un limitato numero di luoghi: Clysma (Suez) e Iotabe (Aqaba) per il commercio proveniente dall’Oriente via mare; Hieron, sul Bosforo, per il mar Nero; Nisibi e Callinicum per il commercio terrestre con la Persia e due o tre centri abitati sul Danubio per il commercio con il Nord.

Tali limitazioni non avevano tanti scopi fiscali quanto economici.

Oltre alla percezione della octava, che, come già detto, era riscossa tramite appaltatori di imposta privati, lo Stato esercitava un controllo del commercio estero attraverso funzionari statali chiamati “commerciarii” la cui funzione di controllori del commercio estero li rende simili ai doganali dei nostri giorni.

Costoro avevano il compito di impedire l’esportazione di merci vietate per ragioni di sicurezza – ferro, bronzo, armi, armature, di intercettare i beni in importazione di cui lo Stato aveva il monopolio, di controllare l’esportazione della valuta di metallo pregiato.

Tratto da

“La Dogana nella storia” profili storici di politica doganale e commerciale in Europa e nel mondo.