Roma eterna, Roma meta, Roma universale! Sembrano slogan, ma sono definizioni fungibili con tante altre, ormai classiche, quali: Roma «caput mundi», «cattolica»… tanto le stesse son dense di contenuto e tanto è incontrovertibile l’unicità di questa città, che, sola al mondo, è viva ed operante da circa tre millenni, registrando ed evidenziando sul suo territorio testimonianze storico-artistiche mirabili, in una sequenza pressoché ininterrotta, che va dall’evo antico ai giorni nostri.

In tale sequenza la Roma di  Virgilio e di Orazio, dei Cesari e dei Papi, d’Italia e del mondo è e resta perennemente ed essenzialmente se stessa, quasi astraendosi dal tempo e dallo spazio, per farsi semplicemente e mirabilmente metafora. E in quanto metafora, non solo come meta dell’umanità in cammino, ma, anche, e soprattutto, quale luogo di incontro della storia con la metastoria, assume e rivela capacità e valenza uniche e straordinarie. Se peraltro lo stesso pellegrinaggio è metafora della vita, intesa, questa, quale viaggio dell’umanità, che in esso vive la propria tensione etico-religiosa, la propria ansia escatologica e la propria speranza di incontro con se stesso e con Dio, Roma, meta del pellegrinaggio, è metafora di quel privilegiato «terminale» del percorso disegnato dal desiderio e annunciato dalla profezia: centro sacrale del «disvelamento», promesso dalla fede ed approntato dalla storia. In essa, infatti, non solo è il compimento celebrativo del mito che si è fallo rito, bensì, anche, è l’epifania della grazia, che schiude l’orizzonte metafisico, obbligando l’infinito e l’eterno a farsi spazio e tempo nel rinnovantesi «scandalo» dell’Incarnazione.

Vero è che Roma, centro e meta di potere e di cultura nel mondo antico, una volta segnata dal Verbo, col sangue dei Martiri di Cristo, si fa approdo sicuro del viaggio cristiano, tant’è che ad essa giungono da ogni parte del mondo quei «viatores», in cerca di Dio, che proprio perché qui diretti si chiaman «romei», come «romee» son dette le vie che a Roma conducono. Ed è tale la gioia che Roma suscita all’apparire quale fulgida meta dalla ribalta di Monte Mario, che i pellegrini, che quel Monte ribattezzano in «Mons Gaudii», giunti al compimento della faticosa quanto affascinante avventura, allo scioglier del voto sacro, così giubilanti salutano Roma.

E quando nella notte di Natale del 1299, per disegno di provvidenza, quel pellegrinaggio si «canonizza nel giubileo, proclamato, prima ancora che dal Papa, dalla vox populi di romei e romani, Roma sarà inscindibilmente connessa con gli anni santi.

Tratto dalla prefazione di Francesco Sisinni, del libro “Roma dei giubilei” a cura di Willy Pocino.