Premessa

Con sentenza del 21 novembre 2024, resa nella causa C-297/23, la Corte di Giustizia dell’UE si è pronunciata in merito al noto caso Harley-Davidson. I giudici unionali, in particolare, hanno sposato la posizione sfavorevole alla contribuente già adottata dal Tribunale dell’Unione europea[1], ritenendo prive di giustificazione economica le operazioni di delocalizzazione della produzione poste in essere dalla Società al fine precipuo di evitare il pagamento dei dazi all’importazione, a prescindere dalla loro effettività.

Tale decisione solleva, tuttavia, non pochi interrogativi su come bilanciare la pianificazione doganale aziendale con il rischio di incorrere in contestazioni relative all’origine delle merci e nel conseguente recupero daziario. A maggior ragione, nello scenario economico globale attuale, dove il pericolo di una guerra commerciale è sempre dietro l’angolo, come dimostra l’annuncio del Presidente degli Stati Uniti Trump di voler introdurre nuovi dazi USA sui prodotti europei, in risposta ai quali non sarebbero da escludere misure di ritorsione da parte dell’Unione. La storia si ripete?

Il caso

La vicenda in esame trae origine dalla decisione della Società americana di trasferire dagli Stati Uniti alla Thailandia la produzione di alcuni moto-veicoli destinati al mercato dell’Unione, a fronte dei dazi supplementari[2] introdotti dalla Commissione europea per le importazioni di prodotti provenienti dagli Stati Uniti, tra cui anche i motocicli, quale risposta all’istituzione dei dazi sull’acciaio e sull’alluminio imposti dall’allora Amministrazione repubblicana.

In ragione di ciò, al fine di avere certezza in ordine all’origine dei motocicli realizzati in tale Paese, Harley-Davidson ha presentato due richieste di Informazione vincolante in materia di origine (IVO) alle autorità doganali belghe, le quali hanno confermato l’origine thailandese delle moto in questione.

La Commissione europea, tuttavia, ha ritenuto che le operazioni di montaggio effettuate in Thailandia avessero l’obiettivo di eludere l’applicazione dei dazi supplementari imposti dall’UE e, pertanto, non fossero economicamente giustificate.

Tale decisione si è basata sull’interpretazione delle norme unionali che stabiliscono le regole per l’attribuzione dell’origine doganale ai prodotti commercializzati e, in particolare, sull’art. 33 del Regolamento delegato UE 2015/2446 (RD).

E invero, com’è noto, l’art. 60 del Reg. Ue 952 del 2013 (CDU), disciplina l’origine delle merci ai fini dell’attribuzione della tariffa doganale, stabilendo al comma 1 che, per essere originarie di un determinato paese o territorio, le stesse devono essere ivi interamente ottenute o sostanzialmente trasformate. Ai sensi del successivo comma 2, se alla produzione delle merci contribuiscono due o più paesi o territori, queste sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione.

In chiave antielusiva, l’art. 33 del Regolamento delegato UE 2015/2446 (RD) precisa, poi, che la trasformazione o la lavorazione non può considerarsi economicamente giustificata ai sensi dell’art. 60, comma 2, CDU ove espressamente finalizzata a evitare l’applicazione di oneri doganali.

Sulla base di tale norma, la Commissione ha imposto la revoca delle IVO rilasciate dalle autorità belghe e il disconoscimento dell’origine non preferenziale thailandese delle motociclette ivi prodotte.

Le conclusioni (illuminate) dell’Avvocata generale

Harley-Davidson ha proposto ricorso avverso la decisione di esecuzione della Commissione europea davanti al Tribunale dell’UE, il quale ha respinto l’azione legale intentata dalla Società, confermando l’impostazione della Commissione.

Nell’ambito del giudizio di impugnazione instauratosi davanti la Corte di Giustizia dell’Unione europea, l’Avvocata generale ha depositato le proprie conclusioni, con le quali ha proposto alla Corte di Giustizia l’annullamento della decisione adottata dall’organo esecutivo dell’UE.

Muovendo dall’interpretazione letterale dell’art. 33 RD[3] e dalla nozione di giustificazione economica, l’Avvocata generale ha evidenziato come la ratio della norma antielusiva sia quella di far venire meno la giustificazione economica di un’operazione soltanto quando il suo fine sia eludere l’applicazione dei dazi mediante una manipolazione dell’origine.

La nozione di giustificazione economica, infatti, implica l’esistenza di un interesse giuridicamente riconosciuto, il quale manca nel caso di misure illegittime o di elusione non conforme allo scopo di normative. Al contrario, il semplice fatto di evitare l’applicazione di oneri doganali non sarebbe, in quanto tale, né illegittimo né censurabile per altri motivi.

Declinando tali principi nel caso di specie, l’Avvocata ha sottolineato come il divieto di evitare i dazi configuri un’ingerenza significativa nella posizione concorrenziale della Harley-Davidson.

Inoltre, dalla lettura del Considerando 21 del medesimo Regolamento delegato UE 2015/2446, l’art. 33 RD risulta finalizzato a evitare manipolazioni dell’origine delle merci importate al fine di evitare l’applicazione di misure di politica commerciale. Tali “manipolazioni”, alla luce di altre normative unionali, devono intendersi come utilizzo di artifici, inganni o raggiri.

Il Considerando 21 dimostra, pertanto, che l’art. 33 RD non si prefigge di escludere la giustificazione economica dell’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale in ogni caso in cui si eviti semplicemente l’applicazione di dazi, ma soltanto quando ciò avvenga mediante una manipolazione dell’origine. A tal fine, occorre verificare se le operazioni di trasformazione o lavorazione sostanziale svolte in un determinato paese (i.e. Thailandia) siano finalizzate a trarre in inganno riguardo alla circostanza che il prodotto in questione sia in realtà originario del paese nei confronti del quale l’UE ha imposto un dazio supplementare (i.e. Stati Uniti).

Per di più, anche l’obiettivo dei dazi supplementari, ossia arrecare uno svantaggio a un altro paese per peggiorare la posizione concorrenziale dei prodotti ivi fabbricati, depone per un’interpretazione dell’art. 33 RD quale disposizione limitata a un divieto di elusione.

Alla luce di tale ragionamento, l’Avvocata Generale ha rilevato come Harley-Davidson, trasferendo la produzione dagli Stati Uniti in Thailandia, abbia fatto esattamente ciò che i dazi supplementari intendevano ottenere. La rilocalizzazione in Thailandia della fase finale del processo produttivo dei motocicli non sarebbe pertanto idonea a giustificare il raggiro delle misure restrittive, non essendo da sola elemento sufficiente a escludere la giustificazione economica dell’ultima lavorazione o trasformazione sostanziale.

La sentenza della Corte di Giustizia

Sebbene le conclusioni dell’Avvocata generale abbiano segnato uno sviluppo nell’interpretazione del concetto di lavorazione “economicamente giustificata”, i giudici unionali hanno confermato la decisione del Tribunale dell’UE, asserendo come il fine principale delle operazioni di rilocalizzazione produttiva adottate dalla Società fosse quello di evitare il pagamento dei dazi all’importazione.

Con la pronuncia in commento, la Corte di Giustizia, per la prima volta, ha chiarito che, per essere considerata economicamente giustificata, un’operazione di delocalizzazione deve avere motivazioni essenziali diverse dall’elusione daziaria, da valutarsi sulla base di elementi oggettivi.

In particolare, secondo i giudici unionali, il criterio dirimente ai fini dell’applicazione dell’art. 33 RD deve essere individuato nello scopo principale o prevalente dell’operazione posta in essere, non rilevando a tal proposito la circostanza che la delocalizzazione persegua anche altri obiettivi di carattere secondario; argomentare diversamente, infatti, priverebbe la norma della sua efficacia.

Al fine di valutare lo scopo principale delle operazioni realizzate dalla Società, la Corte di Giustizia ha fatto ricorso agli elementi disponibili della vicenda sottoposta alla sua attenzione. In particolare, i giudici europei hanno concluso che la delocalizzazione fosse volta principalmente a ottenere un vantaggio fiscale dalla “coincidenza temporale” tra l’annuncio di Harley Davidson agli azionisti e l’entrata in vigore del Regolamento unionale.

La Corte di Giustizia è altresì intervenuta in tema di onere della prova, precisando che spetta all’operatore economico interessato dimostrare, attraverso elementi concreti o indizi sufficientemente affidabili e precisi, che le operazioni di fabbricazione nel Paese in cui la produzione è delocalizzata non hanno come obiettivo principale il conseguimento di un indebito vantaggio daziario. In assenza di tale prova, la delocalizzazione della produzione non può considerarsi economicamente giustificata ex art. 33 RD, con conseguente disconoscimento dell’origine del luogo in cui le operazioni di produzione sono svolte, anche in assenza di qualsivoglia manipolazione.

Ciò è quanto è avvenuto nel caso che ci occupa, in cui non è stato oggetto di contestazione l’effettivo, reale e sostanziale svolgimento in Thailandia di operazioni di produzione.

Infine, con riferimento alla nozione di “manipolazioni” riportata nel Considerando 21 RD, i giudici europei hanno affermato che quest’ultimo ricomprende un’ampia gamma di azioni volontarie che comportano un cambiamento di origine delle merci importate, tra le quali devono essere impedite quelle realizzate allo scopo di evitare l’applicazione delle misure tariffarie.

La menzione di tale scopo, pertanto, sarebbe superflua e priva di effetto se il termine “manipolazioni” non fosse interpretato nel senso di riferirsi alle azioni che hanno quale scopo primario l’elusione delle misure di politica commerciale. Inoltre, poiché tale espressione non figura nell’art. 33 RD, non può essere consentita una lettura di tale norma incompatibile con la sua formulazione e con il suo sistema.

La sentenza, pertanto, propone un’interpretazione molto rigida del criterio antielusivo di cui all’art. 33 RD: tale norma, infatti, mira a evitare che operazioni marginali siano poste in essere con il solo fine di attribuire al prodotto finito un’origine diversa da quella applicabile in base alle regole unionali.

Alla luce della pronuncia in commento, per evitare di incorrere nel rischio di una contestazione di condotta elusiva ex art. 33 RD e di gravose misure daziarie, eventuali spostamenti strategici della produzione dovranno essere supportati da motivazioni idonee a dimostrare la sussistenza di ragioni diverse dall’ottenimento di un mero beneficio fiscale.

[1] V. sentenza del 1° marzo 2023.

[2] Dapprima del 25% e successivamente del 50%.

[3] L’art. 33 RD prevede che “Un’operazione di trasformazione o lavorazione effettuata in un altro paese o territorio non è considerata economicamente giustificata se, sulla base degli elementi disponibili, risulta che lo scopo di tale operazione era quello di evitare l’applicazione delle misure di cui all’articolo 59 del codice”.

Laureata con lode all’Università di Genova e diplomata alla Scuola di specializzazione per le Professioni legali, è iscritta all’Ordine degli avvocati dal 2007.
Dopo aver collaborato con studi legali specializzati in diritto penale e aver maturato un’importante esperienza nel diritto tributario e doganale presso un rinomato studio con sedi a Genova e a Milano, nel 2018 ha fondato lo Studio legale associato UBFP.
Fornisce assistenza nel contenzioso e consulenza specialistica in materia di diritto tributario nazionale e internazionale; diritto doganale; Iva; fiscalità dirette e accise.
Svolge attività difensiva nei procedimenti penali instaurati a seguito di contestazioni doganali e fiscali.
È autore di numerose pubblicazioni sulle più autorevoli riviste specialistiche e collabora con associazioni di categoria, svolgendo attività formative e di aggiornamento professionale.

Trainee Lawyer at LCA Studio Legale