Alla Procura europea devono essere riconosciuti i medesimi poteri attribuiti alla procura nazionale. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione con la sentenza 1° marzo 2023, n. 8963.

Com’è noto, la Procura europea è un organismo indipendente operativo dal 1° giugno 2021. Ideato nel 2017 (Reg. UE 2017/1939) al fine di perseguire, davanti ai Tribunali degli Stati membri, i reati che danneggiano gli interessi finanziari dell’Unione europea e resa operativa dalla decisione della Commissione 2021/856, l’European Public Prosecutor’s Office (c.d. Eppo) coinvolge, a oggi, 22 Stati membri dell’Unione.

La Procura europea, prevista dall’art. 86 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue), rappresenta una novità senza precedenti: un organo giudiziario Ue indivisibile e indipendente rispetto agli Stati membri, alle istituzioni e agli organi, agenzie e uffici unionali. Tale organismo risponde della propria attività unicamente al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione, a cui è obbligata a presentare relazioni annuali (art. 6, Reg. UE 2017/1939).

L’Eppo si inserisce in un contesto di cooperazione internazionale in materia di sicurezza e polizia, affiancandosi ad altri organismi europei impiegati nella lotta antifrode, come, per esempio l’Olaf. Sempre più spesso, infatti, la Procura europea dà vita a un’indagine penale nei confronti degli operatori che ricevono una contestazione doganale sulla base di un’indagine dell’Organo europeo antifrode.

L’obiettivo di Eppo è svolgere indagini e avviare azioni penali per tutti quei reati che possono arrecare un danno al bilancio dell’Unione. Si tratta, infatti, di una procura sovranazionale, incaricata di indagare e perseguire le frodi, il riciclaggio di beni derivanti da frodi al bilancio Ue, i reati di corruzione attiva o passiva, l’appropriazione indebita, nonché l’eventuale partecipazione a un’organizzazione criminale che abbia come obiettivo quello di commettere reati contro gli interessi finanziari dell’Unione. Il Procuratore europeo ha, inoltre, il potere di perseguire qualsiasi altro reato che risulti indissolubilmente connesso a una condotta criminosa a danno del bilancio unionale.

La Procura europea ha competenza esclusiva per le indagini amministrative relative a casi di frode ai danni dell’Unione europea e di altri reati lesivi delle entrate o delle uscite del bilancio comunitario. L’azione criminale internazionale può consistere nell’utilizzo o nella presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti, o nella mancata comunicazione di un’informazione relativa all’Iva in violazione di un obbligo specifico, cui consegua la diminuzione di risorse del bilancio dell’Ue.

La Procura europea ha competenza, pertanto, in relazione ai reati tributari in materia di Iva disciplinati dal d.lgs. 74/2020, con particolare riferimento alla dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2), alla dichiarazione fraudolenza mediante altri artifici (art. 3), alla dichiarazione infedele (art. 4), all’omessa dichiarazione (art. 5), all’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8), all’indebita compensazione (art. 10-quater) e alla sottrazione fraudolenta al pagamento di imposta (art. 11). Di particolare interesse, nel settore doganale, sono le indagini in materia di contrabbando (artt. 282 e ss. d.p.r. 43/1973, Tuld).

Ne deriva che la competenza generale della Procura europea delegata riguarda le indagini su tutti i reati “che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di cui alla direttiva (UE) 2017/1371, quale attuata dal diritto nazionale, indipendentemente dall’eventualità che la stessa condotta criminosa possa essere qualificata come un altro tipo di reato ai sensi del diritto nazionale”, nonché per i reati ad essi “indissolubilmente connessi”.

La vicenda esaminata dalla Corte di Cassazione aveva come protagonista un imprenditore che aveva presentato istanza di finanziamento agevolato e di contributo a sostegno degli imprenditori in difficoltà a causa dell’emergenza Covid. Come rilevato anche dai giudici di merito, l’imprenditore aveva dichiarato di essere in regola con la normativa antimafia, omettendo di indicare di essere stato condannato per il reato di cui all’art. 416-bis c.p.

Il procuratore europeo, pertanto, aveva avanzato una richiesta di sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato di “Indebita percezione di erogazioni pubbliche” previsto dall’art. 316-ter, per aver indebitamente beneficiato dei contributi comunitari durante l’emergenza pandemica.

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittima la richiesta di sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto del reato da parte della Procura europea, ribaltando quanto statuito dai giudici di merito. La Suprema Corte ha riconosciuto, infatti, che alla Procura europea spettano gli stessi identici poteri attribuiti a ogni Pubblico ministero.

La questione di diritto esaminata dalla Corte riguardava l’interpretazione dell’art. 30, Reg. Ue 1939/2017, secondo il quale il Procuratore europeo può disporre misure di investigazione “almeno nelle indagini per i reati puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni di reclusione”. Secondo la soluzione prospettata dalla Suprema Corte, tale norma lascia intendere che gli ordinamenti nazionali possono prevedere l’operatività di una o di parte di quelle misure anche per reati puniti meno severamente, tenendo fermo l’obbligo di assicurarne l’applicazione per i reati più gravi.  La Procura europea può intervenire, pertanto, anche in relazione al reato di cui all’art. 316-ter del codice penale, anche se prevede una pena inferiore rispetto a quella prevista dalla normativa UE.

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione ha, pertanto, riformato la sentenza emessa dai giudici di merito, che avevano considerato il procuratore europeo come soggetto non legittimato ad avanzare la richiesta di applicazione del sequestro. Tale soluzione si basava su una erronea interpretazione dell’art. 30, Reg. UE 1939/2017: secondo i giudici di merito dovrebbero essere esclusi dalla competenza del Procuratore europeo reati di minore entità, così come quello previsto dall’art. 316-ter del codice penale, rilevato nel caso di specie.

Come rilevato dalla Suprema Corte, tale soluzione contrasta sia con l’art. 25 del Reg. UE 1939/2017, sia con l’art. 9, co. 1 e 2, d.lgs. 9/2021, in cui si afferma che: “In relazione ai procedimenti per i quali la Procura europea ha assunto la decisione di avviare o avocare un’indagine, i procuratori europei delegati esercitano, in via esclusiva e nell’interesse della Procura europea, conformemente alle disposizioni del regolamento, le funzioni e i poteri spettanti ai pubblici ministeri nazionali” e “sull’intero territorio nazionale, indipendentemente alla sede di assegnazione”.

Laureato presso l’Università di Parma, ha conseguito un Master in Diritto Tributario e un Master di specializzazione dall’accertamento al processo tributario presso la Scuola di Formazione Ipsoa. È iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano dal 2009. Nel 2011 entra nel team dello Studio Armella & Associati, di cui è socio dal gennaio 2020.

Settori di attività: contenzioso doganale, diritto tributario e commercio internazionale. Esperto di diritto doganale, con particolare riferimento alle tecniche di commercio internazionale, assiste grandi aziende e multinazionali con particolare riferimento alla consulenza e alla pianificazione doganale, all’implementazione delle procedure relative al commercio internazionale e alle certificazioni AEO.

È autore di numerosi articoli e pubblicazioni e collabora con associazioni di categoria in attività seminariali e congressuali.