Un’irregolarità formale nella documentazione tecnica del prodotto non integra il reato di frode in commercio. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con la sentenza 14 luglio 2023, n. 30754, la quale ha chiarito che l’assenza di una valida dichiarazione di conformità dà origine soltanto a un illecito amministrativo.

La frode in commercio è da ritenersi integrata quando il bene venduto sia immesso sul mercato con caratteristiche diverse per origine, provenienza, qualità o quantità rispetto a quanto stabilito o dichiarato (art. 515 codice penale). Tale presupposto, quindi, si realizza nel caso in cui il venditore effettui la consegna di un bene diverso, per caratteristiche essenziali, rispetto a quello pattuito. Occorre precisare che, per poter essere incriminato del reato di frode in commercio, il soggetto agente del reato di frode in commercio deve esercitare un’attività commerciale, industriale e, pertanto, tale illecito penale deve ritenersi un reato proprio, anche se non è necessaria la qualifica di imprenditore.

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’obiettivo della norma è quello di tutelare e salvaguardare la lealtà e la correttezza negli scambi commerciali, ma non la liceità del commercio dei prodotti destinati alla vendita (Cass., 4 dicembre 2018, n. 14017). Di conseguenza, le ipotesi di “non conformità” formali, relative alle procedure amministrative, quali ad esempio la compilazione della dichiarazione di conformità UE, l’incompletezza della documentazione tecnica, l’irregolare apposizione del marchio possono comportare l’applicazione della sanzione amministrativa prevista dall’art. 14, comma 7, d. lgs. 19 maggio 2016, n. 86, ma non configurano un’ipotesi di frode in commercio, sanzionata penalmente.

È stato precisato, infatti, che la dichiarazione di conformità e la documentazione tecnica non hanno nulla a che vedere con i requisiti di sicurezza che condizionano l’immissione nel mercato di un prodotto.

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte, non vi è accenno a difetti relativi a caratteristiche essenziali del prodotto, a difetti di sicurezza del prodotto o a lamentati malfunzionamenti, pertanto, il reato di frode in commercio non può ritenersi integrato. Come rilevato dalla sentenza in commento, nel caso oggetto di trattazione non vi è stata alcuna indagine in ordine ai requisiti di sicurezza del bene e l’indagine peritale ha riguardato esclusivamente l’analisi della documentazione tecnica relativa all’apparecchiatura oggetto della compravendita.

Come stabilito dai giudici di merito, inoltre, le risultanze dibattimentali avevano dato conto della consegna del manuale d’uso in accompagnamento all’apparecchio, considerato sufficientemente informativo dallo stesso consulente tecnico del Pubblico Ministero. La stessa consulenza del Pubblico ministero aveva rilevato l’assenza di contestazioni da parte dell’acquirente, circa la corrispondenza delle caratteristiche tecniche dell’apparecchio a quanto riportato nel manuale d’uso.

L’acquirente, dunque, avrebbe evidenziato un malfunzionamento ricorrente dell’apparecchio, circostanza che non era stata possibile verificare, data la mancata disponibilità materiale dell’apparecchiatura.

Risulta pacifico, dunque, che l’apparecchio non sia mai stato esaminato, e che l’indagine peritale abbia riguardato invece la sola analisi della documentazione tecnica relativa all’apparecchiatura. Come rilevato dal giudice di merito, inoltre, il consulente dell’accusa non ha potuto disporre dell’apparecchiatura commercializzata dalla società dell’odierno ricorrente, in quanto erano stati formulati rilievi solamente sulla documentazione presentata a supporto della dichiarazione di conformità e mai sulla funzionalità del prodotto

Occorre rammentare, inoltre, che il suddetto d. lgs. 19 maggio 2016, n. 86, è entrato in vigore il 26 maggio 2016, ossia pochissimi giorni prima dell’ultima consegna del materiale all’acquirente e che tale disciplina previgente non recava alcuna clausola di salvaguardia circa l’eventualità di commissione di reato nell’ipotesi di incompletezza formale della documentazione di conformità.

Com’è noto, le clausole di salvaguardia sono precetti normativi che prevedono un aumento futuro e automatico di entrate tributarie al fine di salvaguardare i vincoli Ue di bilancio delle spese previste e per tutelare i saldi di finanza pubblica.

In conclusione, occorre distinguere la disamina della documentazione tecnica e dichiarazione di conformità del prodotto, rispetto a quella dei requisiti di sicurezza strumentali alla commercializzazione del prodotto.

Massimo Monosi

Laureato presso l’Università di Parma, ha conseguito un Master in Diritto Tributario e un Master di specializzazione dall’accertamento al processo tributario presso la Scuola di Formazione Ipsoa. È iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano dal 2009. Nel 2011 entra nel team dello Studio Armella & Associati, di cui è socio dal gennaio 2020.

Settori di attività: contenzioso doganale, diritto tributario e commercio internazionale. Esperto di diritto doganale, con particolare riferimento alle tecniche di commercio internazionale, assiste grandi aziende e multinazionali con particolare riferimento alla consulenza e alla pianificazione doganale, all’implementazione delle procedure relative al commercio internazionale e alle certificazioni AEO.

È autore di numerosi articoli e pubblicazioni e collabora con associazioni di categoria in attività seminariali e congressuali.