Il grossista o il trader che si occupa della mera intermediazione tra fornitori e rivenditori finali di prodotti AEE non deve essere sanzionato nel caso in cui i beni siano privi delle necessarie indicazioni per il consumatore. È quanto si legge in un provvedimento di archiviazione emesso dalla Camera di Commercio di Genova, ufficio sanzioni e ricorsi amministrativi del 23 gennaio 2023. Tale decisione ha messo in evidenza le differenze tra l’attività svolta dal grossista rispetto a quella del produttore e, di conseguenza, il diverso regime di responsabilità che interessa le due figure.

I prodotti elettrici ed elettronici, (cd AEE) sono oggetto della c.d. “direttiva RAEE” (dir. UE 2012/19, in Italia recepita dal d.lgs. 49/2014) che disciplina e regola gli effetti per l’ambiente dei rifiuti di tali apparecchiature e prevede specifiche sanzioni nel caso in cui non vengano rispettati i requisiti in relazione a opportune certificazioni e accorgimenti dedicati ai consumatori. Tali requisiti sono finalizzati a garantire il corretto riciclo di prodotti potenzialmente dannosi se smaltiti con modalità errate. L’ente incaricato di effettuare le verifiche all’atto dello sdoganamento è l’Agenzia delle dogane, talvolta coadiuvata dalla Guardia di Finanza, mentre l’ultima parola sull’applicazione delle sanzioni spetta alle Città Metropolitane o, appunto, alle Camere di Commercio competenti per territorio.

Le contestazioni mosse dall’Agenzia delle dogane agli importatori di AEE sono in aumento, spesso con la prospettazione di sanzioni estremamente gravose e, talvolta, decisamente sproporzionate anche rispetto al valore della merce importata.

La direttiva UE individua nella definizione di “produttori” di AEE, non soltanto le società stabilite in Italia che fabbricano questi prodotti, ma anche coloro che li commercializzano sul mercato nazionale con il proprio nome o marchio di fabbrica.

Sono, dunque, considerati “produttori” anche i semplici importatori e i rivenditori di merci provenienti da fornitori extra-UE. Nella definizione rientrano anche i rivenditori stabiliti in un altro Stato membro dell’Unione europea o in un Paese terzo extra-UE, che effettuano operazioni di importazione sul mercato nazionale, anche in modalità e-commerce.

Tutti i soggetti che svolgono un’attività riconducibile alla definizione di “produttore” sono tenuti all’iscrizione all’apposito “Registro RAEE”  e a contribuire alla corretta raccolta e allo smaltimento dei prodotti in commercio.

Il d.lgs. 49/2014, inoltre, prevede espressamente tutta una serie di indicazioni e certificazioni di cui gli AEE devono essere dotati al momento dell’immissione in consumo degli apparecchi, ossia nel momento in cui arrivano al consumatore. Tra di esse, è sempre necessario che gli AEE immessi sul mercato rechino un marchio riconoscibile del produttore, il simbolo del cestino nero (con barra nera inferiore) che identifica i prodotti come RAEE oltre alla marcatura “CE”.

Il d.lgs. 188/2008 individua ulteriori indicazioni e certificazioni laddove gli AEE contengano anche pile o batterie.

Il provvedimento in esame, emesso dalla Camera di Commercio, ha ritenuto non responsabile un produttore (che aveva acquistato AEE dal fornitore extra UE), dal momento che lo stesso non aveva immesso i prodotti sul mercato, limitandosi a svolgere un’attività riconducibile a quella di un grossista e rivedendo le apparecchiature ad importanti rivenditori della grande distribuzione.

La decisione camerale riprende una distinzione già evidenziata dalla Corte di Giustizia nel 2019 (C- 26/18). In particolare, l’immissione sul mercato di un qualsiasi prodotto extra UE deve essere distinta dall’immissione in libera pratica dello stesso perché nel primo caso si ha la diffusione al pubblico della merce importata, mentre nel secondo, si verifica il solo sdoganamento.

Come premesso, infatti, la direttiva RAEE si ispira alla necessità di garantire che non vengano commercializzati prodotti elettrici ed elettronici potenzialmente dannosi senza le corrette indicazioni di smaltimento e stabilisce specifiche sanzioni ispirate al principio di effettività e alla necessità di punire i responsabili, secondo il principio “chi inquina paga”. Nel rispetto di quanto stabilito dalla normativa unionale, è possibile sostenere che il grossista o il trader che svolgono attività di intermediazione commerciale non immettono direttamente nel mercato beni, ma, semplicemente, si occupino dell’importazione nel territorio UE o, in alternativa, dall’acquisto dall’importatore e della consegna successiva al rivenditore. L’immissione in consumo si verifica nel caso in cui il prodotto venga inserito nel circuito economico nazionale e di conseguenza e non coincide con l’immissione in libera pratica.

In concreto, solamente l’immissione in consumo consiste nel mettere i beni nella disponibilità del consumatore finale, non anche l’immissione in libera pratica. Dal momento che l’impianto normativo e sanzionatorio RAEE presuppone, ai fini dell’applicazione delle sanzioni, la necessità che i beni elettrici ed elettronici siano stati immessi in consumo, un prodotto che non circola ancora nel mercato nazionale, come nel caso all’esame della Camera di Commercio, non potrà essere considerato dannoso o potenzialmente offensivo e quindi assoggettabile a sanzioni.

Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Genova, ha frequentato il corso di perfezionamento in Diritto Tributario presso l’Università di Genova e il Master in Diritto Tributario presso l’Università Cattolica di Milano.

Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Genova, dopo una lunga esperienza presso un noto studio legale specializzato in fiscalità indiretta, dal 2019 entra a far parte del team dello Studio Armella & Associati.

È autore di numerosi articoli e svolge attività di docenza in seminari e corsi di formazione in materia tributaria.

È membro del gruppo di lavoro Accise della Sezione Italiana della International Chamber of Commerce.