Ai fini Iva, l’esportazione non può essere provata mediante documentazione di origine privata. Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 8 novembre 2022 n. 32771, che ha fornito chiarimenti in merito all’onere della prova relativo alle cessioni all’esportazione di merce dall’Italia verso un territorio extra-Ue.

La prova dell’esportazione è un argomento di estremo interesse per le imprese, principalmente per le conseguenze derivanti dal mancato riconoscimento del regime di non imponibilità Iva, proprio di tali operazioni, ai sensi dell’art. 8, d.pr. 633 del 1972. L’uscita della merce dal territorio doganale costituisce, infatti, l’essenziale presupposto per l’applicazione di tale regime di detassazione e per la corretta costituzione del plafond, con la conseguenza che la prova dell’export assume centralità assoluta ai fini dell’applicazione del regime Iva di non imponibilità dell’operazione.

Occorre, inoltre, ricordare che l’omessa prova dell’esportazione comporta sia la ripresa a tassazione, da parte dell’Ufficio, dell’Iva non addebitata in via di rivalsa e versata che l’irrogazione di sanzioni.

In merito all’onere della prova relativa all’esportazione, già la Corte di Cassazione[1] ha affermato che l’onere di provare l’esistenza dei presupposti di fatto che legittimano la deroga al normale regime impositivo è a carico di chi invoca l’agevolazione, l’esenzione o il trattamento fiscale preferenziale[2].

Di conseguenza, spetta all’operatore, e non all’Agenzia delle dogane, fornire la prova dell’avvenuta esportazione delle merci al fine di godere del regime di non imponibilità Iva dell’operazione.

Nel caso in oggetto, esaminato dalla Suprema Corte, una società aveva invocato la non imponibilità Iva di alcune esportazioni, fornendo come strumento di prova una scrittura privata autenticata da un notaio. Tale documento attestava la regolare spedizione negli Stati Uniti dei prodotti esportati e, secondo il ricorrente, era sufficiente a rendere irrilevanti eventuali errori formali compiuti, in fase di esportazione, nella compilazione delle dichiarazioni doganali.

Al riguardo, la Corte di Cassazione ha invece chiarito che non è possibile dimostrare la destinazione dei beni tramite documenti di origine privata, quali, appunto, scritture private autenticate[3].

Da ricordare, sul punto, anche quanto espresso con la sentenza 28 gennaio 2020, n. 1864, con cui la Suprema Corte ha anche chiarito che, nell’ipotesi in cui si producano documenti di origine privata in sostituzione di quelli ufficiali accettati, l’operazione va equiparata ad una cessione nel territorio nazionale.

Nella sentenza in esame si precisa, con riferimento alla fattispecie oggetto della pronuncia, risalente all’anno d’imposta 2007, che, per poter usufruire della non imponibilità Iva, è essenziale che l’uscita delle merci dal territorio doganale sia provata da apposita vidimazione della Dogana o dell’Autorità pubblica dello Stato estero di importazione.

I giudici della Suprema Corte hanno, inoltre, stabilito che, in caso di esportazioni c.d. “indirette”, ossia quelle in cui è l’acquirente non residente in Italia che provvede a trasportare o a far trasportare, entro 90 giorni,  i beni fuori dal territorio dell’Unione, tale prova dev’essere fornita dal cedente mediante il DAU recante il timbro e il visto dell’Ufficio doganale di uscita o esibendo la fattura di vendita, che riporti gli estremi identificativi della bolletta doganale e il visto della dogana di uscita dal territorio.

È evidente che tale decisione si riferisce a un regime antecedente a quello vigente.

Come è noto, infatti, tali adempimenti, ad oggi, risultano totalmente digitalizzati, grazie all’avvenuta informatizzazione del visto d’uscita.

Attualmente, infatti, costituisce prova dell’uscita della merce dal territorio doganale dell’Unione europea il messaggio elettronico trasmesso dall’Ufficio doganale di uscita all’Ufficio di esportazione tramite il sistema informatico doganale AIDA. Lo stato dell’esportazione e la presenza di tale messaggio sono consultabili digitando il MRN (movement reference number) sul sito dell’Agenzia delle dogane alla sezione “Tracciamento di movimenti di esportazione o di transito (MRN)”.

La digitalizzazione, dunque, rende certamente più immediata e fruibile (ma anche meno “fungibile”) la prova dell’avvenuta cessione all’esportazione.

[1] Cass., sez. V, 5 giugno 2013, n. 14186; Cass., sez. trib., 26 maggio 2006, n. 12608; Cass., sez. V., 3 maggio 2002, n. 6351.

[2] In senso conforme, con riferimento ad altri tipi di operazioni internazionali, si vedano S. Armella, M. Monosi, Contingentamenti e limiti alle importazioni in Russia: come si tutela l’operatore?, in L’Iva, 2015; S. Armella, S. Comisi, La prova della non imponibilità delle operazioni intracomunitarie tra giurisprudenza e riforma 2020 – La prova della vendita intra-UE per il cedente, in GT, 2019.

[3] In tal senso Cass., sez.  V, nn. 28330/2018, 3193/2015 e 19750/2013.

Laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Genova, ha frequentato il corso di perfezionamento in Diritto Tributario presso l’Università di Genova e il Master in Diritto Tributario presso l’Università Cattolica di Milano.

Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Genova, dopo una lunga esperienza presso un noto studio legale specializzato in fiscalità indiretta, dal 2019 entra a far parte del team dello Studio Armella & Associati.

È autore di numerosi articoli e svolge attività di docenza in seminari e corsi di formazione in materia tributaria.

È membro del gruppo di lavoro Accise della Sezione Italiana della International Chamber of Commerce.