Il mero controllo sulla qualità dei prodotti non è determinante ai fini della daziabilità delle royalties. È quanto affermato dalla sentenza 22 febbraio 2022, n. 52 della Commissione tributaria provinciale di La Spezia, la quale, aderendo al recente orientamento della Corte di Cassazione, ha ribadito che i diritti di licenza non devono essere inclusi nel valore doganale se il controllo della licenziante riguarda unicamente la qualità dei prodotti, al solo fine di proteggere l’immagine del marchio.
Com’è noto, la fiscalità doganale ha per oggetto l’importazione di beni e, soltanto in casi eccezionali, può interessare anche le prestazioni di servizi, quali il diritto all’utilizzo di una licenza o di un marchio. Trattandosi di corrispettivi dovuti per beni tipicamente immateriali, il pagamento di royalties, in sé, non ne comporta l’automatica tassazione doganale, giacché esse rappresentano componenti del valore in Dogana soltanto se integrano specifiche condizioni.
Il Codice doganale dell’Unione (c.d. Cdu, Reg. UE 952/2013) prevede che le royalties devono essere incluse nel valore doganale dei prodotti importati soltanto se il compratore è tenuto a pagarle, direttamente o indirettamente, come “condizione della vendita”, nella misura in cui le stesse non siano già state incluse nel prezzo effettivamente pagato o da pagare e purché si riferiscano alle merci oggetto di valutazione (art. 71 Cdu).
Secondo la normativa unionale, il requisito della “condizione di vendita” si realizza quando il titolare del diritto di licenza esercita un controllo sul produttore, ossia quando il licenziante è in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un “potere di costrizione o di orientamento” sul fornitore.
Negli ultimi anni, il tema della daziabilità delle royalties è stato oggetto di un ampio dibattito giurisprudenziale, sia a livello unionale che nazionale, che ha fornito diverse interpretazioni sulla definizione di “controllo” sul produttore.
Inizialmente la Corte di Cassazione aveva aderito a una nozione particolarmente ampia del requisito del “controllo”, sino a ricomprendervi anche alcune clausole del contratto di licenza, legate unicamente alla tutela del marchio commerciale. Secondo tale orientamento, il controllo sul fornitore estero si realizzerebbe anche nelle situazioni in cui la licenziante impone alcune regole di produzione, al solo fine di tutelare la qualità dei prodotti contraddistinti dal marchio oggetto di licenza o di garantire il rispetto dei codici etici.
Tali previsioni non rappresentano un indice del controllo del licenziante sul fornitore, ma sono normalmente inserite nei contratti di licenza con l’obiettivo di assicurare che il produttore rispetti gli standard di sicurezza e non incorra in una violazione dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente, a tutela della reputazione commerciale, assicurata oggi anche dal profilo etico del marchio.
Come riconosciuto da un più recente indirizzo interpretativo espresso dalla Corte di Cassazione (sentenze 21 gennaio 2021, n. 1041, 9 ottobre 2020, n. 21775 e 16 ottobre 2020, n. 22480), occorre pertanto tenere distinti il “controllo sul produttore”, indice della condizione di vendita richiesta dalla normativa UE, dal semplice “controllo sul prodotto”, che, al contrario, non determina la daziabilità delle royalties. La linea di confine non è vaga e indeterminata, ma si fonda sulla presenza di una serie di indici oggettivi, rivelatori di un concreto potere di “controllo” e di orientamento del licenziante sui fornitori esteri.
In particolare, la Corte di Cassazione ha riconosciuto che non sussiste un controllo della licenziante sui fornitori, nell’ipotesi in cui questi ultimi non siano imposti dall’impresa titolare del marchio, non siano legati a essa da un rapporto contrattuale e non siano soggetti a controlli di fatto sulla produzione, sulla logistica o sulla consegna delle merci. Analogamente, tale controllo non può ritenersi sussistente quando al licenziante non venga riconosciuto un potere di interdizione sulla produzione o sulla consegna dei beni all’importatore (Cass., sez. V, 9 ottobre 2020, n. 21775; Cass., sez. V, 5 giugno 2020, n. 10687).
Aderendo al più recente orientamento della Corte di Cassazione, anche la Commissione tributaria provinciale di La Spezia, con la sentenza 22 febbraio 2022, n. 52, ha chiarito che se il controllo del licenziante riguarda unicamente la qualità del prodotto, le royalties non devono essere incluse nel valore doganale. Ad avviso dei giudici spezzini, infatti, le verifiche di qualità non sono idonee a integrare un legame, tra il licenziante e i fornitori extra-UE, non configurando, pertanto, un “controllo sul produttore”.
La Commissione tributaria provinciale di La Spezia ribadisce il principio, più volte espresso anche dalla giurisprudenza di merito, secondo cui le royalties non sono daziabili in assenza di un reale e concreto controllo da parte del licenziante sui produttori esteri (Comm. trib. reg. Venezia, 22 dicembre 2020, n. 804; Comm. trib. reg. Milano, 27 marzo 2019, n. 1396; Comm. trib. reg. Genova, 2 maggio 2017, n. 652).
Non operando nessun automatismo in ordine alla daziabilità delle royalties, è pertanto necessario verificare, volta per volta, se ricorrono i presupposti individuati dal Cdu, valutando quando e a quali condizioni i diritti di licenza devono essere inclusi nel valore in Dogana. Tale operazione richiede un accurato esame dei rapporti contrattuali intercorsi tra le parti, in particolare delle clausole dell’accordo di licenza e del contratto di fornitura stipulati. Come chiarito anche dalla Corte di Giustizia nella sentenza 9 luglio 2020, C-76/19, Curtis Balkan, occorre, pertanto, svolgere un’attenta interpretazione dei contratti in essere, al fine di verificare se sussiste la condizione del “controllo sul produttore”.
Tale controllo, secondo i giudici liguri, non può ravvisarsi nel caso in cui la fattispecie presenti due rapporti contrattuali tra loro distinti e indipendenti, uno relativo alla cessione del marchio (tra licenziante e licenziataria) e l’altro inerente la produzione delle merci (tra licenziataria e fornitore estero).
A seguito di una scrupolosa disamina dei rapporti contrattuali, la sentenza in commento ha escluso l’esistenza di un potere di indirizzo, di fatto o di diritto, della licenziante nei confronti dell’impresa produttrice estera, non essendo sufficiente a tale fine che venga esercitato un semplice presidio di qualità sui prodotti importati dalla licenziataria. Tale tipologia di clausole contrattuali persegue esclusivamente la finalità di tutelare la reputazione sociale della titolare del segno distintivo, non comportando alcuna influenza e orientamento, “di fatto o di diritto”, sullo svolgimento dell’attività del produttore.
La Commissione di La Spezia ha, pertanto, escluso la sussistenza dei presupposti di daziabilità dei corrispettivi di licenza, affermando che essi non devono essere inclusi nel valore in dogana della merce, aprendo anche lo spazio per azioni di rimborso dei diritti già assolti nei tre anni precedenti.
Laureato presso l’Università di Parma, ha conseguito un Master in Diritto Tributario e un Master di specializzazione dall’accertamento al processo tributario presso la Scuola di Formazione Ipsoa. È iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano dal 2009. Nel 2011 entra nel team dello Studio Armella & Associati, di cui è socio dal gennaio 2020.
Settori di attività: contenzioso doganale, diritto tributario e commercio internazionale. Esperto di diritto doganale, con particolare riferimento alle tecniche di commercio internazionale, assiste grandi aziende e multinazionali con particolare riferimento alla consulenza e alla pianificazione doganale, all’implementazione delle procedure relative al commercio internazionale e alle certificazioni AEO.
È autore di numerosi articoli e pubblicazioni e collabora con associazioni di categoria in attività seminariali e congressuali.