Non sono daziabili le royalties versate al titolare del marchio apposto alle merci importate, ove questo si limiti a effettuare un controllo di qualità sui beni del fornitore estero. Ad affermarlo è la Commissione tributaria provinciale di La Spezia con le sentenze 4 aprile 2022, n. 147 e 28 luglio 2022, n. 230.

Come è noto, il codice doganale dell’Unione europea (art. 71, Reg. n. 952/2013) prevede che le royalties concorrano alla determinazione del valore doganale delle merci importate soltanto se il compratore è tenuto a pagarle, direttamente o indirettamente, come “condizione della vendita” e ove non siano già incluse nel prezzo e si riferiscano alle merci oggetto della valutazione.

Secondo la normativa doganale europea di diretta applicazione, il requisito della “condizione di vendita” è soddisfatto quando il titolare del diritto di licenza sul marchio esercita un controllo sul fornitore, ossia nel caso in cui il licenziante è in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un “potere di costrizione o di orientamento” sul produttore extra-UE. È in tale quadro che si inseriscono le recenti sentenze della Commissione tributaria provinciale di La Spezia 4 aprile 2022, n. 147 e 28 luglio 2022, n. 230, secondo cui le royalties non devono essere incluse nel valore doganale se il controllo del titolare del marchio concerne unicamente la qualità del prodotto. Le pronunce confermano l’indirizzo già espresso dalla medesima Commissione con la sentenza del 22 febbraio 2022, n. 52 e sottolineano l’importante principio secondo cui la verifica di qualità effettuata sui prodotti importati dall’impresa titolare del marchio non è idonea a integrare il qualificato legame di controllo tra il licenziante e i fornitori extra-UE, non configurando, pertanto, i presupposti richiesti per la daziabilità delle royalties.

Nelle pronunce citate, in particolare, i giudici di primo grado riconoscono che non è possibile operare nessun automatismo in ordine alla daziabilità delle royalties.

È invece necessario verificare, volta per volta, se ricorrano i presupposti individuati dal codice doganale, prestando particolare attenzione ai singoli rapporti contrattuali intercorsi tra le parti, così come indicato anche dalla giurisprudenza unionale con la sentenza della Corte di Giustizia Europea 9 luglio 2020, C-76/19, Curtis Balkan.

Nelle sentenze in esame, in particolare, è stato espressamente riconosciuto che tale controllo non può essere ritenuto sussistente ove siano presenti due rapporti contrattuali tra loro distinti: uno inerente l’utilizzo del marchio a scopo commerciale (tra licenziante e licenziataria) e l’altro concernente la produzione delle merci (tra licenziataria e fornitore estero).

La disamina dei rapporti contrattuali ha, pertanto, escluso la sussistenza di un potere di indirizzo, di fatto o di diritto, da parte della licenziante verso l’impresa fornitrice, non essendo a tale fine sufficiente un semplice controllo di qualità sui prodotti importati dalla licenziataria.

La Commissione tributaria provinciale di La Spezia, con le sentenze in esame, ha riconosciuto che non sussistono i presupposti di daziabilità dei corrispettivi di licenza in caso di semplice controllo qualità da parte della licenziante. Queste si inseriscono in un complesso quadro giurisprudenziale, sia a livello unionale che nazionale, che ha dato vita a diverse interpretazioni sulla definizione di controllo sul produttore.

Inizialmente, infatti, la Suprema Corte aveva aderito a una nozione particolarmente ampia del requisito del “controllo”, sino a comprendervi anche determinate clausole del contratto di licenza, collegate unicamente alla protezione del marchio commerciale. La condizione del “controllo” sul fornitore estero, secondo tale orientamento, è soddisfatta nelle situazioni in cui la licenziante imponga determinate regole di produzione, anche se al solo fine di tutelare la qualità dei prodotti contraddistinti dal marchio oggetto di licenza o di garantire il rispetto dei codici etici. Secondo un successivo e più recente indirizzo interpretativo espresso dalla Corte di Cassazione[1], al quale aderiscono da ultimo i giudici spezzini, occorre, invece, tenere distinti i concetti di controllo sul produttore, indice della condizione di vendita richiesta dalla normativa UE, dal semplice controllo sul prodotto, il quale, al contrario, non determina la daziabilità delle royalties.

Tali previsioni, in particolare, sono inserite nei contratti di licenza con l’obiettivo di assicurare che il produttore rispetti gli standard internazionali di sicurezza e di rispetto dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente, a tutela della reputazione commerciale (c.d. codici etici).

La differenza tra i due concetti di controllo si fonda, in particolare, sulla presenza di una serie di indici oggettivi, rivelatori di un concreto potere di “controllo” e di orientamento del licenziante sui fornitori esteri.

In particolare, la Suprema Corte ha affermato che non sussiste un controllo della licenziante sui produttori nell’ipotesi in cui questi ultimi non siano imposti dall’impresa titolare del marchio, non siano legati a esso da un rapporto contrattuale e non siano soggetti a approfondite verifiche sulla produzione, sulla logistica o sulla consegna delle merci. Analogamente, tale condizione non può ritenersi sussistente quando al licenziante non venga riconosciuto un potere di interdizione sulla produzione o sulla consegna dei beni all’importatore (Cass., sez. V, 9 ottobre 2020, n. 21775; Cass., sez. V, 5 giugno 2020, n. 10687).

In continuità con tale recente orientamento della Corte di Cassazione, la Commissione tributaria provinciale di La Spezia ha, pertanto, annullato gli atti di accertamento della Dogana, affermando l’irrilevanza del semplice controllo di qualità dei prodotti ai fini dell’inclusione delle royalties nel valore doganale.

[1] Sentenze 21 gennaio 2021, n. 1041, 9 ottobre 2020, n. 21775 e 16 ottobre 2020, n. 22480

Laureato presso l’Università di Parma, ha conseguito un Master in Diritto Tributario e un Master di specializzazione dall’accertamento al processo tributario presso la Scuola di Formazione Ipsoa. È iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano dal 2009. Nel 2011 entra nel team dello Studio Armella & Associati, di cui è socio dal gennaio 2020.

Settori di attività: contenzioso doganale, diritto tributario e commercio internazionale. Esperto di diritto doganale, con particolare riferimento alle tecniche di commercio internazionale, assiste grandi aziende e multinazionali con particolare riferimento alla consulenza e alla pianificazione doganale, all’implementazione delle procedure relative al commercio internazionale e alle certificazioni AEO.

È autore di numerosi articoli e pubblicazioni e collabora con associazioni di categoria in attività seminariali e congressuali.