La tutela della salute pubblica costituisce uno degli obiettivi prioritari dell’Unione doganale e viene perseguita attraverso minuziosi controlli effettuati dalle varie amministrazioni nelle diverse fasi: dalla produzione alla immissione sul mercato dei prodotti. Vengono controllate piante, prodotti vegetali, animali e prodotti alimentari, altri materiali che vengono a contatto con gli alimenti.
Se estraiamo dalle farraginose e copiose norme alcuni principi fissati nei vari regolamenti comunitari, le intenzioni sono buone.
Il Codice Doganale dell’Unione europea e alcuni regolamenti specifici del settore sanitario sono chiari in tal senso: i controlli devono essere effettuati nello stesso luogo e nello stesso momento e soprattutto non devono costituire un intralcio al flusso delle merci, non produrre costi aggiuntivi e devono essere effettuati entro un tempo ragionevole. Una serie di “petizioni di principio” che non trovano applicazione nella realtà, determinando barriere amministrative nonché costi più onerosi dei dazi.
Va evidenziata, innanzitutto, la carenza di organico lamentata dagli addetti ma se analizziamo in profondità la questione sanitaria, vi sono altre motivazioni che influiscono sui controlli sanitari ad onta dell’impegno e della buona volontà del personale addetto; questi infatti sono costretti ad eseguire spesso disposizioni, dettate da interpretazioni restrittive, burocratiche, di norme contraddittorie e non aderenti alla realtà ed all’evoluzione delle tecniche e delle modalità di trasporto.
Ci sono voluti vari regolamenti dell’Unione, ispirati dalla competente commissione per stabilire che le merci, imballate ed ermeticamente chiuse, conservate a temperatura ambiente sono a zero o basso rischio di contaminazione e pertanto possono essere controllate in un luogo qualsiasi, magazzino del destinatario, in dogana e non devono essere trasferite ad un punto, posto di controllo frontaliero (PCF) per la verifica. Il trasferimento al PCF produce costi e dilata i tempi dei controlli sanitari e doganali oltre che congestionare i terminals portuali.
Se si devono controllare questi prodotti, si deve allestire “una struttura” adeguata, utilizzando gli uffici già esistenti che spesso distano pochi metri dai luoghi in cui sbarca la merce.
Le banchine portuali peraltro sono gestite in regime di temporanea custodia e controllate quindi da dogana e guardia di finanza.
Sono stati necessari diversi regolamenti con rinvii e richiami vari per stabilire il significato di “prodotto composto” al fine di indicare che i prodotti possono essere controllati nel punto di arrivo, cioè la banchina portuale, senza essere trasferiti al PCF.
Naturalmente molti controlli devono essere effettuati alla frontiera per evitare che l’eventuale contagio o contaminazione possa espandersi sul territorio attraversato.
Ma la Commissione competente sa che viviamo nel terzo millennio ed ai carri trainati da animali sono subentrati contenitori chiusi e sigillati che possono benissimo, senza alcun pericolo, arrivare a “destino”.
La commissione sa che esiste un “trasporto intermodale” e che al “trasbordo” da nave a nave, disciplinato da un apposito regolamento, è subentrato il passaggio da nave a treno e che pertanto dei contenitori sbarcati per esempio a Gioia Tauro possono proseguire sotto vincolo doganale ad un PCF sito a Napoli porto o ad un interporto – Nola senza alcun adempimento, come d’altraparte è previsto nel caso del “trasbordo tradizionale”.
Perché la commissione non ha considerato questa possibilità e non ha modificato il provvedimento con una nota? Naturalmente si sceglie la strada più difficile, una serie di prescrizioni che scoraggiano l’iniziativa o quantomeno ne rendono più difficile ed onerosa l’attuazione.
Come fanno i porti del N-E che trattano milioni di contenitori a far proseguire le merci senza alcun controllo sul porto di “Milano”: forse hanno interpretato la norma considerando il trasbordo da nave a treno alla stessa stregua del trasbordo da nave a nave che prevede in questi casi una giacenza di 30 giorni senza alcun controllo, salvo la notifica in caso la sosta ecceda il termine previsto dall’art. 13 del Reg. 2021/1703, oppure si avvalgono di qualche norma indicata nei vari regolamenti pubblicati negli anni o, ancora, interpretano correttamente le disposizioni previste per i Moca e per gli altri prodotti esentati dai controlli ufficiali ai PCF, primo posto di controllo frontaliero.
Giovanni De Mari è nato a Napoli il 18 gennaio 1940. È spedizioniere doganale ed amministratore della società di consulenza e spedizioni internazionali “Gio-vanni De Mari & C. srl”.
È stato presidente del Consiglio nazionale degli spedizionieri doganali dal 1995 al 2019 e presidente della Commissione Customs and Trade Facilitation della Camera di Commercio Internazionale di cui è membro.