Il D.L. 2 marzo 2012 n. 16, convertito con modificazioni con la legge 26 aprile 2012 n. 44, ha previsto un sostanziale aumento delle sanzioni previste dall’articolo 303 del TULD.

Nel merito l’art. 303 sanziona in via amministrativa “la dichiarazione risultata infedele per negligenza, ignoranza o grossolana malizia nella indicazione della quantità, qualità e valore delle merci” ipotesi cioè in cui il soggetto tenuto al pagamento dei diritti doganali indica erroneamente uno o più degli elementi della dichiarazione per semplice ignoranza, negligenza o, comunque, in modo grossolano e, quindi, facilmente riscontrabile in sede di verifica.

Tale modifica prevede delle sanzioni che violano il principio fondamentale enunciato dalla Convenzione Internazionale per la semplificazione e l’Armonizzazione dei regimi doganali, meglio nota come convenzione riveduta di Kioto: (Standard 23 dell’allegato specifico H, capitolo I) che recita così: la gravità o l’importo delle sanzioni applicate nell’ambito di un regolamento amministrativo di una infrazione doganale dipende dalla gravità o dalla importanza della infrazione doganale commessa e dai precedenti della persona interessata.

Le linee guida applicative del suddetto allegato ribadiscono l’obbligo di osservare un criterio di proporzionalità nell’applicazione delle sanzioni legate all’inosservanza della legislazione doganale, che pertanto devono essere commisurate alla entità e gravità delle infrazioni, nonché al grado di colpevolezza del soggetto che le commette.

Inoltre l’accordo OMC sulla facilitazione del commercio introduce un principio di responsabilità “soggettiva”, secondo il quale le sanzioni possono essere comminate solo ai responsabili della violazione, in modo da escludere casi di responsabilità oggettiva.

Alcuni principi sono stati ripresi nella riforma del “sistema sanzionatorio”, attuata con i decreti legislativi 471/472/473 del  18 dicembre 1997 che hanno caratterizzato il passaggio dalla disciplina penale a quella amministrativa, sia pure mutuandone alcuni principi in ordine alla commisurazione della “sanzione amministrativa” ed alla individuazione del soggetto.

L’indirizzo della Commissione europea, coerente con quello della citata convenzione, è stato sintetizzato nell’articolo 42 del codice doganale europeo che recita: “ciascuno Stato membro prevede sanzioni applicabili in caso di violazioni della normativa doganale. Tali sanzioni devono essere effettive, proporzionali e dissuasive”.

Il problema delle sanzioni doganali è stato attentamente monitorato dalla Commissione europea  consapevole che, una non uniforme applicazione sia in ordine alla entità, alla configurazione penale  ed alla applicazione più o meno benevola delle esimenti, potesse costituire un fattore di distorsione  dei traffici (vedasi la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio Com (2013) 884 del 13 dicembre 2013).

Dallo schema delle sanzioni allegato appare palese la violazione dei principi enunciati dalle organizzazioni mondiali proposte allo sviluppo del commercio estero e della commissione europea ed appare evidente che la riforma fu ispirata dal legislatore italiano all’incremento del gettito fiscale attraverso le irrogazioni di sanzioni amministrative sproporzionate.

Le organizzazioni di categoria Confcommercio, Confindustria, Confetra e il Consiglio Nazionale degli spedizionieri doganali in una serie di riunioni rappresentarono all’Agenzia delle dogane il proprio disappunto e chiedevano che venissero apportate delle modifiche radicali.

In quelle riunioni emerse chiaramente che l’ostacolo era rappresentato dalla Ragioneria dello Stato,        motivazione che confermava la validità delle impressioni che il provvedimento perseguisse obiettivi di “cassa” e non di equità e giustizia.

L’ADM si adoperò, nei limiti delle sue possibilità, per apportare alcune modifiche che però non permisero il conseguimento degli obiettivi di semplificazione ed applicazione uniforme sul territorio nazionale.

Il mancato coordinamento delle modifiche intervenute nel tempo, l’applicazione non sempre uniforme sul territorio nazionale, l’interpretazione restrittive ed ostative dettate da orientamenti personali e discrezionali, giustificati dai funzionari con timori dei rilievi della Corte dei Conti, che coinvolgessero la loro responsabilità, rende necessario un intervento del legislatore che tenda alla commisurazione delle sanzioni in maniera proporzionale e tenga conto delle responsabilità e dei precedenti dell’obbligato.

Non risulta infatti che i funzionari abbiano mai tenuto conto delle possibilità previste dall’articolo 4 del DL 473/1997 di applicare delle sanzioni con riduzione fino alla metà nei casi previsti, magari con riguardo ai precedenti del soggetto.

Numerosi sono poi i dubbi ed i criteri per l’applicazione del cumulo giuridico previsto dal successivo articolo 12.

Il “ravvedimento operoso” in vigore dal 1° febbraio 2011, prevede una procedura articolata che non viene seguita in maniera uniforme sul territorio nazionale, che spesso ne pretende l’applicazione.