Premessa

In un mercato sempre più sensibile all’impatto ambientale di alcuni prodotti inquinanti e inciso dalla situazione geopolitica russa, la filiera siderurgica è certamente tra i comparti produttivi maggiormente interessati dalle nuove misure unionali, che pongono a carico degli operatori complessi obblighi dichiarativi e divieti relativi all’importazione, determinando un ampliamento della sfera di controllo dello spedizioniere doganale e la conseguente necessità di delimitarne contrattualmente la responsabilità.

CBAM: verso la decarbonizzazione, ma con gravosi adempimenti anche per gli spedizionieri

Lo scorso 1° ottobre, com’è noto, è entrato in vigore il periodo transitorio previsto dal Reg. UE 956 del 2023, il quale ha istituito il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM), con l’obiettivo di prevenire il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di gas a effetto serra verso paesi extra-Ue con standard green meno rigorosi. A tal fine, infatti, il prezzo delle emissioni di Co2 incorporate nei beni immessi sul mercato UE sarà equiparato a quello delle emissioni rilasciate dalla produzione europea, in modo da evitare il “dumping ecologico”.

La nuova carbon tax alla frontiera colpisce, in particolare, le merci, originarie di paesi terzi[1], la cui produzione è ad alta intensità di carbonio, ovvero i prodotti trasformati a partire da tali merci risultanti dal regime di perfezionamento attivo di cui all’art. 256, Reg. UE 952 del 2013 (CDU), al momento della loro importazione nel territorio doganale dell’UE.

Al momento, tra i prodotti interessati da questa nuova ambiziosa misura e indentificati nell’allegato I al Reg. UE 956 del 2023 con i relativi codici NC, rientrano il cemento, l’energia elettrica, i concimi, le sostanze chimiche, ghisa, ferro, acciaio e alluminio.

Durante il periodo transitorio – in vigore fino al 31 dicembre 2025 – non sono previsti oneri finanziari, ma obblighi di rendicontazione trimestrali, attraverso la presentazione della c.d. Relazione CBAM.

Con riferimento ai soggetti tenuti agli obblighi comunicativi, il Regolamento precisa che, qualora l’importatore sia stabilito in uno Stato membro e designi un rappresentante doganale indiretto conformemente all’art. 18, Reg. UE 952 del 2013, l’obbligo di presentazione della Relazione CBAM si applica al rappresentante doganale indiretto laddove lo stesso sia d’accordo.

Qualora, invece, l’importatore non sia stabilito in uno Stato membro, gli obblighi di comunicazione si applicano, necessariamente, al rappresentante doganale indiretto.

L’assunzione della qualifica di dichiarante CBAM, pertanto, può essere assunta dal rappresentante doganale indiretto su base volontaria (nel caso di rappresentanza di un soggetto unionale) o obbligatoriamente (nel caso di rappresentanza di un soggetto extraunionale).

In entrambi i casi, occorre tenere presente che la Relazione CBAM deve contenere, per i prodotti importati durante un determinato trimestre di un anno civile, dettagliate informazioni relative alla quantità totale delle merci importate, al totale delle emissioni incorporate effettive[2], al totale delle emissioni indirette e al prezzo del carbonio dovuto nel paese di origine per le emissioni incorporate in tali merci[3].

Si tratta, con tutta evidenza, di informazioni di natura tecnica che non sono nella disponibilità del rappresentante doganale indiretto, né dallo stesso verificabili, e che devono necessariamente essere richieste dall’importatore al soggetto responsabile della produzione delle merci, ossia al gestore dell’impianto di produzione extraunionale.

A tal fine, la Commissione europea ha predisposto un modulo di raccolta dati in formato Excel, nonché le relative istruzioni di compilazione in lingua inglese, raccomandandone l’utilizzo per la raccolta delle informazioni necessarie alla compilazione della Relazione CBAM.

Stante l’approssimarsi della prima scadenza degli obblighi comunicativi – la prima Relazione CBAM,

per le merci importate durante il quarto trimestre 2023 dovrà essere presentata, attraverso il Registro Transitorio CBAM[4], entro il 31 gennaio 2024 – numerosi importatori si rivolgeranno ai propri rappresentanti in Dogana per delegare tale funzione.

Alla luce delle criticità rilevate, relative all’estraneità ai rapporti commerciali con i fornitori extra-UE e alla difficoltà (se non impossibilità) di verificare la veridicità e completezza dei dati da inserire nella Relazione, unitamente alla previsione, già nel periodo transitorio, di sanzioni[5] irrogabili nel caso in cui la Relazione non sia stata presentata, sia inesatta o incompleta, emerge con evidenza la necessità per il rappresentante indiretto di tutelarsi rispetto a possibili contestazioni connesse alla normativa CBAM.

È necessario, anzitutto, sensibilizzare adeguatamente i propri clienti in ordine ai nuovi adempimenti e alle connesse responsabilità derivanti dalla normativa unionale, affinché possano, a loro volta, informare i fornitori esteri in ordine alla necessità di comunicare, in modo esatto, completo e tempestivo, i dati necessari.

In caso di assunzione – volontaria o obbligatoria – della funzione di dichiarante CBAM, è indispensabile formalizzare contrattualmente con il cliente i rispettivi obblighi e responsabilità, stipulando un apposito contratto di mandato in rappresentanza indiretta o inserendo nello stesso una specifica clausola CBAM che imponga al mandante l’obbligo di fornire tutte le informazioni e i documenti necessari per la compilazione della Relazione, garantendone la correttezza e completezza, e che manlevi lo spedizioniere da ogni eventuale sanzione derivante da contestazioni in merito ai dati fedelmente inseriti nella Dichiarazione CBAM.

Nuovo divieto dell’UE sulle importazioni di siderurgici incorporanti fattori produttivi russi

Con specifico riferimento all’importazione di prodotti siderurgici, agli obblighi comunicativi derivanti dalla normativa CBAM si affiancano, altresì, nuove restrizioni all’import derivanti dalla normativa sanzionatoria imposta dall’Unione europea alla Russia.

Com’è noto, a partire dal 30 settembre 2023, ai sensi del novellato art. 3-octies, par. 1, lett. d), Reg. UE 833 del 2014 (come modificato dal Reg. UE 1214 del 2023), è fatto divieto agli operatori unionali di importare o acquistare, direttamente o indirettamente, i prodotti siderurgici elencati nell’allegato XVII, laddove sottoposti a trasformazione in un paese terzo e incorporanti altri prodotti siderurgici originari della Russia. Per i prodotti listati nell’allegato XVII che sono sottoposti a trasformazione in un paese terzo e incorporano prodotti siderurgici originari della Russia di cui al codice NC 7207 11, ovvero di cui ai codici NC 7207 12 10 e 7224 90, invece, il divieto entrerà in vigore, rispettivamente, il 1° aprile 2024 e il 1° ottobre 2024.

All’atto dell’importazione, in particolare, l’importatore deve disporre di uno dei documenti di prova individuati dall’Agenzia delle dogane con avviso del 22 settembre[6] idonei ad attestare il paese di origine dei fattori produttivi siderurgici impiegati per la trasformazione del prodotto in un paese terzo, in quanto tale prova potrebbe essere richiesta dall’Ufficio in caso di controllo documentale, controllo scanner o visita merci, e la responsabilità di natura penale per l’eventuale violazione della misura restrittiva graverà sullo stesso importatore.

A dover agire con la massima diligenza esigibile, tuttavia, non sono soltanto gli importatori, ma anche gli spedizionieri. E invero, sebbene i divieti all’importazione e all’esportazione previsti dai diversi “pacchetti sanzioni” alla Russia – e la responsabilità penale conseguente alla violazione di tali divieti – riguardino, principalmente, i proprietari delle merci, in questo caso l’importatore, la responsabilità dello spedizioniere doganale che pone in essere l’operazione di import interessata dal divieto unionale

potrebbe non essere esclusa, trattandosi di un soggetto direttamente ricompreso nell’applicazione del sistema sanzionatorio.

L’art. 10, Reg. UE 833 del 2014, infatti, prevede che “Le azioni compiute da persone fisiche o giuridiche, entità o organismi non comportano alcun genere di responsabilità a loro carico se non sapevano, e non avevano alcun motivo ragionevole di sospettare, che le loro azioni avrebbero violato le misure previste dal presente regolamento”.

Il successivo art. 12, inoltre, vieta di partecipare, consapevolmente e intenzionalmente, ad attività aventi l’obiettivo o l’effetto di eludere i divieti di cui ai regolamenti unionali.

La responsabilità dell’operatore doganale implica, pertanto, l’obbligo di vigilare, con diligenza da ragguagliare, ex art. 1176, secondo comma, c.c., alla natura dell’attività esercitata e all’esattezza delle informazioni ricevute, non essendo di fatto sufficiente a integrare la buona fede l’inconsapevolezza della violazione posta in essere dal proprietario delle merci.

Sotto un profilo concreto, è dunque necessario effettuare una preliminare e accurata attività di due diligence sui prodotti da importare, così da verificarne la rispondenza o meno alle voci merceologiche vietate ai sensi dell’art. 3-octies, Reg. UE 833 del 2014. Lo spedizioniere doganale, inoltre, prima di inserire il codice Y824 nella dichiarazione doganale di libera import, a comprova dell’esistenza di un documento attestante il paese di origine del ferro o dell’acciaio utilizzati, dovrà farsi rilasciare una dichiarazione sostitutiva di atto notorio dell’importatore che attesti l’origine non russa delle materie prime e/o dei sottocomponenti importati.

Infatti, soltanto nel caso in cui lo spedizioniere doganale dimostri di aver operato con il più alto livello di diligenza, e che in nessun modo avrebbe potuto accorgersi della violazione, potrà essergli imputata alcuna responsabilità, anche perché, nel caso opposto, si configurerebbe un’ipotesi di responsabilità oggettiva, di per sé lesiva dei principi unionali di certezza del diritto e di proporzionalità.

Restrizioni dell’UE anche sull’import di microplastiche

A completare il quadro dell’ampliata sfera di controllo a carico del rappresentante in dogana si pongono anche le misure adottate, lo scorso 17 ottobre, dal Reg. UE 2023/2055, il quale ha apportato modifiche significative al Reg. CE 1907/2006 (c.d. REACH), relative all’elenco delle sostanze vietate di cui all’allegato XVII.

È stato introdotto, in particolare, il divieto di immissione in consumo di alcune tipologie di prodotti contenenti microparticelle di polimeri sintetici (microplastiche) non biodegradabili e non solubili, allo scopo di ridurne le emissioni intenzionali. A decorrere da tale data, pertanto, è vietato introdurre nell’UE le microplastiche, in quanto tali o come componenti di miscele di una concentrazione pari o superiore allo 0,01% in peso, ove presenti per conferirvi una caratteristica ricercata.

Tra i vari prodotti inibiti, l’Agenzia delle dogane ha richiamato l’attenzione al “glitter”, il quale ricade nel perimetro applicativo del REACH, ad eccezione dei casi in cui costituisca parte integrante di un bene non soggetto a restrizione: si tratta, nello specifico, degli articoli per cui il glitter assolve a una funzione decorativa meramente secondaria (come avviene in caso di abbigliamento, scarpe o tende glitterati). Ulteriori delucidazioni sono state fornite dalla Commissione europea, la quale ha chiarito che i glitter possono essere considerati parte integrante di un articolo a condizione che non si stacchino durante il loro normale utilizzo finale: in caso contrario, l’intero articolo glitterato verrà considerato come l’insieme di un prodotto e di una miscela vietata, con la conseguenza di non poter essere venduto (è il caso, ad esempio, di decorazioni natalizie o cappelli da festa).

Ad essere colpiti sono quindi i settori della cosmetica, della moda, degli addobbi, degli articoli per feste et similia. La nuova disciplina è complessa e la Commissione europea, a oggi, non è in grado di suggerire un test per verificare quando i glitter si stacchino durante il loro normale utilizzo.

Anche in tal caso, poiché la responsabilità di verificare e decidere se un prodotto ricada o meno nel perimetro di tale restrizione è posta in capo all’importatore, alla luce della materiale impossibilità di svolgere tale controllo, occorrerà ottenere dal proprio cliente un’autocertificazione, che dimostri la conformità al REACH del prodotto da importare.

[1] Le merci sono considerate originarie di paesi terzi conformemente alle norme di origine non preferenziale di cui all’art. 59 CDU. Sono esclusi dall’ambito applicativo del Reg. UE 956 del 2023: Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svizzera e i territori di Busingen, Helgoland, Livigno, Ceuta e Melilla.

[2] Ossia le emissioni dirette rilasciate durante la produzione di merci e le emissioni indirette derivanti dalla produzione di energia elettrica consumata durante i processi di produzione, calcolate secondo i metodi di cui all’allegato IV e ulteriormente specificate negli atti di esecuzione adottati a norma dell’art. 7, paragrafo 7.

[3] Ai fini della Relazione CBAM, gli obblighi di comunicazione sono specificati nella Tabella 2, allegato I, Regolamento di esecuzione UE 2023/1773 (RE).

[4] Il punto di accesso per il Registro transitorio è il Portale CBAM, a cui, come chiarisce il par. 3.1. dell’Application User Manual pubblicato sul sito della Commissione UE, potranno accedere soltanto gli importatori e i rappresentanti doganali indiretti che si siano registrati nell’UUM&DS e abbiano ottenuto il profilo CBAM Reporting Declarant Business.

[5] Di importo variabile da 10 a 50 euro per tonnellata di emissioni non comunicate, modulabile a seconda della gravità delle violazioni riscontrate.

[6] L’Amministrazione finanziaria, in particolare, ha chiarito che oltre ai Mill Test Certificate (MTC), devono considerarsi quali documenti di prova idonei ad attestare la non incorporazione di prodotti siderurgici originari della Russia nei prodotti da importare, anche le fatture, le bolle di consegna, i certificati di qualità, le dichiarazioni dei fornitori a lungo termine, i documenti di calcolo e di produzione, i documenti doganali del paese esportatore, la corrispondenza commerciale, le descrizioni di produzione così come le dichiarazioni del produttore o le clausole di esclusione nei contratti di vendita che dimostrano l’origine non russa dei prodotti siderurgici in questione.

Lucilla Raffetto