Con l’ordinanza n. 20058 dell’8.3.2023, depositata il 13 luglio scorso, la Corte di cassazione interviene in modo netto sull’illegittimità della disposizione contenuta nell’art. 303, comma 3, TULD in materia di sanzioni tributarie doganali. L’ordinanza, apparentemente emessa in tema di IVA all’importazione, in realtà riguarda l’intero impianto sanzionatorio del terzo comma art. 303 TULD. Le sanzioni ex art. 303 TULD sono infatti riferite all’omessa dichiarazione dei diritti doganali, tra cui sono compresi sia le risorse proprie tradizionali dell’Unione europea (diritti di confine come ad es. i dazi), sia l’IVA all’importazione. Nel caso sottoposto ai giudici della Corte di cassazione, a fronte di un tributo asseritamente non versato di poco superiore a 4 000 euro, era stata applicata la sanzione minima di cui alla lett. e) dell’art. 303 TULD, pari a 30 000 euro. In esito al contenzioso, la sanzione era stata ridotta dal giudice di appello ad una somma pari a circa il 10 per cento del tributo. Senza mezzi termini, la Corte di cassazione conferma la legittimità dell’operato del giudice di appello e in questa ordinanza fissa questo principio di diritto:

“le modalità di quantificazione delle sanzioni previste dall’art. 303, comma 3, lett. e) del d.P.R. n. 43 del 1973 (TULD), come sostituito dall’art. 11 del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, […], che le determinano per il diritto di confine non dichiarato in un importo minimo di 30.000 euro, eccedono il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare l’evasione di un dazio doganale non versato superiore a 4mila […], attesa la misura fissa del minimo e l’impossibilità di adeguare le sanzioni alle circostanze specifiche del singolo caso, per cui vanno disapplicate in quanto contrarie al diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte di giustizia [della UE, n.d.r.]”.

Dopo alcune recenti oscillazioni, la giurisprudenza della Corte di cassazione sembra dunque orientarsi verso un divieto generale di irrogazione delle sanzioni di cui all’art. 303, comma 3, TULD ogni volta che non sia possibile, in concreto, adeguare la sanzione alla condotta del trasgressore secondo il principio di proporzionalità. Di conseguenza, il giudice di merito è tenuto a disapplicare la norma in questione, in quanto contraria al diritto dell’Unione europea ispirato al rispetto di questo principio. Nel caso di specie, la sanzione irrogata, sia pure nel minimo, superava di oltre sei volte l’importo del tributo dovuto.

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha più volte richiamato l’attenzione dei legislatori degli Stati membri al rispetto del principio secondo cui le misure amministrative o repressive non devono eccedere i limiti di ciò che è necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti, né essere sproporzionate rispetto ai medesimi scopi. La Corte UE si è pronunciata in tal senso fin dalla sentenza 17 luglio 2014, Equoland, C-272/13 ed è significativo il fatto che la vicenda Equoland traesse origine proprio da una vertenza sorta nei confronti dell’Agenzia delle dogane italiana. Ai fini della valutazione di proporzionalità della norma è determinante la possibilità che la sanzione sia modulabile in concreto, ha detto più volte la Corte UE, per evitare che lo strumento sanzionatorio ecceda «il limite necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’imposta ed evitare l’evasione».

Ma la modulazione, aggiungiamo noi, deve essere possibile già in sede di irrogazione da parte dell’ufficio e non può essere lasciata alla determinazione del giudice al di fuori di un preciso quadro normativo di riferimento, senza con ciò violare i fondamenti dello stato di diritto che è ispirato al principio di predeterminazione delle pene. Se la modulazione della sanzione necessaria per ricondurne la misura al principio di proporzionalità non è possibile nella fase di irrogazione, allora significa che la norma è illegittima e non può essere applicata; questo è il senso e, contemporaneamente, la novità dell’ordinanza in questione.

Il punto è che la determinazione dei limiti edittali previsti nel terzo comma dell’art. 303 TULD appare del tutto avulsa da criteri di proporzionalità e ragionevolezza in relazione alle soglie di punibilità, raggiungendo i minimi, in alcun casi, importi fino al 650% del tributo; nella prassi, inoltre, il terzo comma dell’art. 303 TULD continua ad essere applicato in modo esponenziale tenendo conto della regola della dichiarazione multipla, secondo cui «quando una dichiarazione in dogana riguarda merci che rientrano in due o più articoli, si considera che le indicazioni relative alle merci che rientrano in ciascun articolo costituiscano una dichiarazione separata» (cfr. art. 190, comma 2, 194, comma 2, CDU 2013). Questo avviene nonostante la Corte di cassazione abbia ormai ammesso l’applicazione dell’illecito continuato previsto dall’art. 12, commi 1 e 2, d.lgs. n. 472/1997, anche ai fini del sistema sanzionatorio doganale (per tutte, Cass. trib. 12.11.2020, n. 25509). Nei casi di «illecito continuato», riferibili alle ipotesi di dichiarazione multipla, è possibile infatti irrogare un’unica sanzione, parametrata alla violazione più grave, aumentata dal quarto al doppio a seconda delle circostanze oggetto di valutazione. Ma anche in tali casi la misura della sanzione applicabile potrebbe risultare in concreto esorbitante ed in contrasto con i principi indicati dalla Corte UE.

Sul tema della proporzionalità delle sanzioni tributarie è intervenuta, in generale, anche la Corte costituzionale con la sentenza n. 46 del 17 marzo 2023. In questa sentenza la Corte ha richiamato l’attenzione dei giudici tributari sulla possibilità di ridurre del 50% la sanzione irrogata oggetto di impugnazione, ai sensi dell’art. 7, comma 4, d.lgs. n. 546/1992 che reca la disciplina del processo tributario; questa possibilità consentirebbe, in extremis, di ricondurre ai principi sopra delineati la sanzione amministrativa che fosse esorbitante e sproporzionata. Tuttavia, nel caso del terzo comma dell’art. 303 TULD anche la riduzione del 50% della sanzione potrebbe non essere sufficiente allo scopo, in relazione all’ammontare del tributo asseritamente non dichiarato: a fronte di un recupero diritti di 4000 euro, sarebbe sempre irrogabile una sanzione pari nel minimo a 15 000 euro, quasi quattro volte il tributo.

Nel caso di specie il giudice di appello aveva determinato nel 10% del tributo la sanzione irrogabile (circa 400 euro) ritenendo di poter far ricorso all’applicazione analogica della disciplina sanzionatoria prevista da una legge speciale in materia di mercato dell’oro; la merce oggetto di contestazione, infatti, consisteva in monete d’oro introdotte nel territorio dell’Unione europea a seguito viaggiatore. Il contribuente non ha proposto ricorso incidentale davanti alla Corte di cassazione ed è rimasto inerte di fronte al ricorso proposto dall’ufficio, che è stato respinto con l’ordinanza in questione. L’ordinanza non avrebbe potuto avere altro contenuto poiché si è potuta pronunciare soltanto sui motivi di ricorso dell’ufficio. Tuttavia, anche la pur encomiabile decisione del giudice di appello si sarebbe prestata ad alcuni approfondimenti critici, primo fra tutti l’aver utilizzato il principio dell’analogia nella materia sanzionatoria e l’aver applicato in via analogica una sanzione prevista da una legge speciale che sanziona la mancata dichiarazione alle autorità competenti di operazioni di trasferimento o commercio di oro, non già la minor dichiarazione del valore della merce dichiarata in dogana, come era invece avvenuto nel caso di specie.

Il disegno di legge delega presentato nel corso dell’attuale legislatura per la riforma fiscale, pendente al Senato con AS 797 ([1]), prevede all’art. 11 la «revisione della disciplina doganale», in particolare procedendo «al riassetto del quadro normativo in materia doganale attraverso l’aggiornamento o l’abrogazione delle disposizioni attualmente vigenti, in conformità al diritto dell’Unione europea in materia doganale». Questa sarà l’ultima occasione per il legislatore italiano per evitare l’instaurazione di una procedura di infrazione da parte della Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana, per la mancata ed improcrastinabile conformazione al diritto dell’Unione europea del sistema sanzionatorio di cui all’art. 303 TULD e non solo, che affonda le sue radici nelle normative doganali italiane di fine ‘800.

Avvocato, patrocinante in Cassazione e alle altre giurisdizioni superiori. Studia il diritto doganale dal 1980 ed ha acquisito una particolare esperienza anche nel relativo contenzioso. In questa materia collabora come docente a contratto con i Dipartimenti di Scienze Giuridiche e di Economia Aziendale dell’Università di Verona, e con alcune associazioni imprenditoriali e professionali. Partner e fondatore dal 2000 dello Studio legale Bellante & La Lumia, in Verona, è presidente del Consiglio di Disciplina per il Veneto e Trentino Alto Adige presso il Consiglio Territoriale degli Spedizionieri Doganali del Veneto. E’ componente del consiglio direttivo della Camera degli avvocati tributaristi del Veneto, aderente all’Unione Nazionale delle Camere Avvocati Tributaristi (UNCAT) e svolge funzioni di coordinatore della Commissione fiscale e tributaria del Consiglio dell'Ordine Avvocati di Verona nell'attuale consiliatura.