In poco più di un mese, dal 16 giugno 2022 al 27 luglio 2022, la Corte Suprema di Cassazione è intervenuta nella materia doganale e delle accise con due sentenze ed un’ordinanza interlocutoria. Questi provvedimenti sono destinati a stabilizzare la giurisprudenza di merito per alcuni anni a venire su alcuni temi importanti e delicati. L’ultimo provvedimento in ordine di tempo è la sentenza 27 luglio 2022, n. 23526, che contiene un deciso revirement della Corte in materia di responsabilità solidale del rappresentante indiretto anche ai fini IVA, nei casi di revisione dell’accertamento a valle delle importazioni.

Il principio di diritto contenuto in questa sentenza afferma che l’IVA all’importazione «non fa parte dell’obbligazione doganale definita dall’art. 5 del Regolamento UE del 9 ottobre 2013, n. 952 (istitutivo del codice doganale dell’Unione) e, pertanto, del suo mancato pagamento risponde unicamente l’importatore e non anche il suo rappresentante indiretto, in assenza di specifiche ed inequivoche disposizioni nazionali che ne prevedano la responsabilità solidale».

La Corte, invero senza esserne troppo convinta come traspare dalla motivazione, ha dovuto recepire l’interpretazione fornita autorevolmente dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza C-714/20 del 12 maggio 2022. Si tratta di un’interpretazione attesa da tempo dagli operatori doganali e dai loro difensori che in più occasioni, negli anni scorsi, hanno sottoposto ai giudici la questione. Il principio contenuto in questa sentenza dovrebbe consentire di definire in senso favorevole ai rappresentanti indiretti i contenziosi con ADM ancora aperti su questo punto. La sentenza n. 23526/22 sarà certamente oggetto di altri approfondimenti su questa Rivista, quindi non mi soffermo oltre.

Vorrei invece portare l’attenzione sugli altri due provvedimenti emessi dalla Corte di cassazione, entrambi intervenuti in materia di accise: la sentenza 16 giugno 2022, n. 19338 e l’ordinanza interlocutoria del 20 luglio 2022, n. 22677. Con il primo di questi due provvedimenti la Corte torna sul tema della qualificazione giuridica dell’indennità di mora prevista da un inciso dell’art. 3, comma 4, d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, testo unico accise (TUA (v. testo in riquadro).

In caso di ritardo si applica l’indennità di mora del 6 per cento, riducibile al 2 per cento se il pagamento avviene entro 5 giorni dalla data di scadenza, e sono, inoltre, dovuti gli interessi in misura pari al tasso stabilito per il pagamento differito dei diritti doganali. Art. 3, comma 4, TUA (estratto)

Dottrina e giurisprudenza, per decenni, si sono interrogate sulla natura dell’indennità di mora, cioè se l’indennità abbia natura sanzionatoria o risarcitoria. La questione non è di poco conto, perché nel primo caso all’indennità di mora non si potrebbero cumulare le sanzioni amministrative ex art. 13 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (trenta per cento di ogni importo non versato, con le riduzioni previste secondo la scansione temporale indicata dalla norma) solitamente applicate da ADM nel caso di ritardo nel pagamento. Il tema non è affatto semplice e la Corte, intendendo definirlo una volta per tutte compiendo anche qui un importante revirement, impiega ben 40 pagine per illustrarne la soluzione: l’indennità di mora di cui all’art. 3, comma 4, TUA non ha natura sanzionatoria, bensì risarcitoria; pertanto le sanzioni amministrative previste per il ritardo nel pagamento dall’art. 13 cit. possono cumularsi ad essa.

La Corte giunge a questo risultato passando in rassegna larga parte della sua precedente giurisprudenza, in particolar modo rimeditando l’orientamento favorevole al contribuente che si era manifestato a partire dalla sentenza n. 30034 del 21 novembre 2018 e che aveva concluso per la natura sanzionatoria dell’indennità di mora. La Corte riprende il proprio orientamento tradizionale, che nega la natura sanzionatoria dell’indennità e lo fa esaminando una nutrita serie di indicatori normativi, non ultima la collocazione dell’indennità di mora nell’architettura dell’intero TUA in una parte «lontana» da quella dedicata nel testo unico alle sanzioni per irregolarità nell’applicazione dell’intera disciplina.

Se all’indennità di mora dovesse riconoscersi natura sanzionatoria – sostiene la Corte – stante la ridotta aliquota degli interessi di mora previsti per il ritardo nel pagamento delle accise, rispetto all’aliquota applicabile per il ritardo nel versamento dei tributi diversi dall’accisa, il contribuente accise si troverebbe in una ingiustificata posizione di favore rispetto al contribuente ordinario. Secondo la Corte il riferimento contenuto nell’art. 3, comma 4, TUA al tasso di interesse previsto per il pagamento differito dei diritti doganali rappresenterebbe un «costo minimo» indicato dal legislatore, insufficiente a ristorare il danno da ritardo nel pagamento delle accise.

Per integrare questo costo minimo il legislatore avrebbe altresì introdotto, con funzione risarcitoria del danno da ritardo, l’istituto dell’indennità di mora al 6% (seppure ridotto al 2% per il versamento effettuato entro il quinto giorno). Conclusione che porta la Corte a ritenere cumulabile con l’indennità di more le sanzioni ex art. 13 d.lgs. n. 471/97. La Corte, in questa sentenza, prende posizione anche su un’altra importante questione: quella del grado di diligenza esigibile dal rappresentante fiscale accise, quale operatore qualificato, nell’esecuzione del mandato affidatogli per la corretta gestione dei documenti di accompagnamento (DAA, all’epoca dei fatti contestati). I rigorosi criteri previsti dall’art. 1176, comma 2, c.c. (valutazione della diligenza secondo la natura dell’attività esercitata) costituiscono ancora una volta il punto di riferimento per la valutazione del comportamento del professionista ed affermarne la responsabilità nel caso di specie ai fini sanzionatori.

Il terzo intervento della Corte di cassazione è contenuto nell’ordinanza interlocutoria 20 luglio 2022, n 22677. Con questa ordinanza la Corte ha richiesto alla Corte di giustizia dell’Unione europea di pronunciarsi in via pregiudiziale interpretativa sulla compatibilità della previsione contenuta nell’art. 4, comma 1, TUA con il diritto dell’Unione europea. Questa norma disciplina l’abbuono di imposta nel caso di perdita irrimediabile di merce soggetta ad accisa avvenuta per caso fortuito o forza maggiore. Fatta eccezione per i tabacchi lavorati, la norma equipara al caso fortuito i fatti imputabili «a titolo di colpa non grave» a terzi o allo stesso soggetto passivo» (v. testo in riquadro).

In caso di perdita irrimediabile o distruzione totale di prodotti che si trovano in regime sospensivo, è concesso l’abbuono della relativa imposta qualora il soggetto obbligato provi, in un modo ritenuto soddisfacente dell’Amministrazione finanziaria, che la perdita o la distruzione dei prodotti è avvenuta per caso fortuito o per forza maggiore. Fatta eccezione per i tabacchi lavorati, i fatti imputabili a titolo di colpa non grave, a terzi o allo stesso soggetto passivo, sono equiparati al caso fortuito ed alla forza maggiore. Art. 4, comma 1, TUA

La Corte passa in rassegna sia la propria giurisprudenza, sia quella della Corte UE che si è occupata di delimitare le nozioni di caso fortuito e di forza maggiore. In particolare, la nozione di caso fortuito elaborata dalla giurisprudenza di entrambe le corti presupporrebbe, da una parte, l’esistenza di circostanze anomale ed imprevedibili, estranee al soggetto che invoca il caso fortuito; dall’altra, l’onere per l’interessato di dimostrare di aver diligentemente adottato iniziative idonee per evitare le conseguenze di un eventuale evento anomalo.

L’equiparazione della colpa lieve al caso fortuito prevista dall’art. 4, comma 1, TUA sembrerebbe fare invece riferimento ad una ulteriore valutazione soggettiva (sul grado di diligenza dell’agente) che non sarebbe prevista dall’art. 7, comma 4, della direttiva 2008/118/CEE sul regime generale delle accise; l’art. 7 cit., infatti, limita al caso fortuito e alla forza maggiore le ipotesi di immissioni in consumo non rilevanti ai fini dell’imposta. La Corte di cassazione non ha rinvenuto precedenti interpretativi della Corte UE su questo punto e pertanto ha disposto il rinvio della questione in sede pregiudiziale. Non resta che attendere la decisione della Corte UE, per sapere se l’equiparazione della colpa lieve al caso fortuito, ai fini della richiesta di abbuono di imposta per perdita irrimediabile di prodotto soggetto ad accisa, avrà o meno ancora cittadinanza nell’ordinamento italiano.

Avvocato, patrocinante in Cassazione e alle altre giurisdizioni superiori. Studia il diritto doganale dal 1980 ed ha acquisito una particolare esperienza anche nel relativo contenzioso. In questa materia collabora come docente a contratto con i Dipartimenti di Scienze Giuridiche e di Economia Aziendale dell’Università di Verona, e con alcune associazioni imprenditoriali e professionali. Partner e fondatore dal 2000 dello Studio legale Bellante & La Lumia, in Verona, è presidente del Consiglio di Disciplina per il Veneto e Trentino Alto Adige presso il Consiglio Territoriale degli Spedizionieri Doganali del Veneto. E’ componente del consiglio direttivo della Camera degli avvocati tributaristi del Veneto, aderente all’Unione Nazionale delle Camere Avvocati Tributaristi (UNCAT) e svolge funzioni di coordinatore della Commissione fiscale e tributaria del Consiglio dell'Ordine Avvocati di Verona nell'attuale consiliatura.