Con l’ordinanza 11 maggio 2023, n. 12925, la Cassazione: Con l’ordinanza 11 maggio 2023, n. 12925, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli che censurava… ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli che censurava una sentenza di secondo grado della Commissione tributaria regionale di Genova, la quale aveva affermato il diritto del contribuente ad usufruire del dazio antidumping agevolato, previsto dal Reg. Ue 1389/2011, anche se la merce non era stata acquistata dall’importatore direttamente dal produttore asiatico, ma da un intermediario di quest’ultimo.

La vicenda trae origine da un’importazione dalla Cina di composti chimici acquistati da un produttore cinese, previsto dall’allegato del regolamento quale soggetto beneficiario di un’aliquota agevolata, che esportava le proprie merci tramite un intermediario.

L’Agenzia delle dogane e dei monopoli ha contestato a posteriori all’importatore un utilizzo irregolare del codice addizionale Taric per ottenere il dazio antidumping privilegiato, giacché la merce, pur essendo prodotta da un soggetto avente diritto all’agevolazione, veniva acquistata tramite un intermediario e non direttamente dal produttore.

I giudici di merito sia in primo, che in secondo grado hanno riconosciuto il diritto all’agevolazione dell’importatore; in particolare le corti di merito hanno ritenuto che il contribuente avesse adeguatamente documentato, tramite la produzione del certificato di origine e della fattura commerciale con l’apposita dichiarazione prevista dal Reg. 1389/2011, il diritto all’aliquota daziaria agevolata.

La Suprema Corte, con la decisione dell’11 maggio 2023, ha preliminarmente ribadito la natura dei dazi antidumping, affermando che gli stessi “sono quelli che mirano a scoraggiare la pratica del dumping, ovvero l’esportazione di beni a un prezzo inferiore rispetto a quello praticato nel Paese di origine e sono misure che hanno lo scopo di evitare turbative nella concorrenza derivanti dall’immissione nel mercato europeo di merci a un prezzo ritenuto eccessivamente basso rispetto a quello praticato nelle normali transazioni all’interno di tale mercato (Cass., 14 novembre 2019, n. 29649)”.

Entrando nel merito della vicenda, la Corte si è soffermata sul Reg. 1389 del 2011, che ha istituito un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di acido tricloroisocianurico, menzionando le aliquote da applicare alle diverse società produttrici elencate nell’allegato del regolamento.

E invero, il citato regolamento prevede che, al fine di beneficiare delle aliquote agevolate, sulla fattura commerciale all’esportazione debba figurare una dichiarazione firmata da un responsabile del soggetto giuridico che l’ha emessa, dotata di puntuali requisiti. In particolare, il responsabile del soggetto giuridico deve specificare “il sottoscritto certifica che il quantitativo di (volume) di acido tricoloroisocianurico venduto per l’esportazione nell’Unione europea e coperto dalla presente fattura è stato fabbricato da (nome e indirizzo della società) (codice addizionale taric) in (Paese). Il sottoscritto dichiara che le informazioni contenute nella presente fattura sono complete e esatte. Data e firma”.

La Suprema Corte ha rilevato che, sulla base delle prove fornite dall’importatore, la merce oggetto di accertamento era stata prodotta da uno dei produttori elencati nell’allegato del regolamento, anche se era stata acquistata da una società intermediaria, che la società produttrice utilizzava per la vendita e la fatturazione dei suoi prodotti. E invero, agli atti risultavano due fatture: quella dell’intermediario, che era quella di effettiva vendita e quella del produttore, che era una fattura pro forma, uguale nella lista dei prodotti e nei prezzi, volta esclusivamente a indicare chi era l’effettivo produttore della merce e a dimostrare che la società intermediaria non ricaricava nulla sul prezzo del prodotto concordato con il produttore.

I giudici di legittimità hanno ritenuto tale operazione conforme alla normativa antidumping, precisando che quest’ultima non ha natura sanzionatoria, ma ha lo scopo di evitare turbative nella concorrenza derivanti dall’immissione nel mercato europeo di merci a un prezzo ritenuto eccessivamente basso rispetto a quello praticato nelle normali transazioni all’interno di tale mercato.

La Corte ha pertanto ritenuto che “la sentenza impugnata, nella parte in cui ha ritenuto che l’agevolazione sussistesse anche nella fattispecie di vendita attuata da un soggetto diverso dal produttore/fabbricante della merce, in presenza di documentazione attestante che il produttore della merce medesima era un soggetto elencato nell’art. 1, Reg. Ue 1389/2011 e che rilevava, ai fini del riconoscimento del trattamento agevolato, la fattura emessa dalla società intermediaria/agente (oltre che la fattura pro forma emessa dalla società produttrice), ritenendola elemento idoneo a individuare la merce oggetto di vendita e ad attestare la produzione della merce, appare conforme ai principi sopra esposti, dovendosi precisare che peraltro la stessa agenzia ricorrente riconosce che non rilevava chi fosse il venditore, poiché il dazio antidumping si riferiva ai prodotti fabbricati dalle società inserite nell’elenco”.

Tale sentenza costituisce un’importante conferma della tendenza della Suprema Corte ad affermare la prevalenza della sostanza sulla forma, per cui una mera irregolarità di carattere formale, non può condurre al disconoscimento della sostanza giuridica della fattispecie impositiva, laddove i requisiti di effettività e certezza siano soddisfatti.

Anche la Corte di Giustizia ha affermato che una mera irregolarità di carattere formale non può condurre all’applicazione di un regime impositivo diverso da quello spettante sul presupposto della fattispecie sostanziale e ha riconosciuto, in una fattispecie analoga, che è legittimo presentare “successivamente alla dichiarazione in dogana, una fattura commerciale valida, ai fini della fissazione di un dazio antidumping definitivo, quando tutti gli altri presupposti necessari all’ottenimento di un’aliquota di dazio antidumping specifica per l’impresa sono soddisfatti e il rispetto della corretta applicazione dei dazi antidumping è garantito” (Corte Giust., 12 ottobre 2017, n. 156; Corte Giustizia, C-418/14; Corte Giustizia, C-516/14).

Laureata con lode all'Università di Genova con una tesi di Diritto Privato Internazionale, è iscritta all'Albo degli avvocati dal 1999 e all'Albo speciale dei patrocinatori davanti alla Corte di Cassazione dal 2014.

Ha collaborato dal 2001 al 2007 con lo Studio De André, importante studio genovese specializzato in diritto societario e commerciale, e in seguito con un noto studio legale specializzato in diritto tributario (nazionale e internazionale) e in diritto doganale.

Nel 2014 ha fondato con l'avv. Zunino lo Studio legale Zunino - Picco, specializzato in diritto tributario e doganale.

Dal 2016 è socio ordinario dell'Associazione Nazionale Tributaristi Italiani (ANTI).

Laureata all’Università di Genova, è iscritta all’Albo degli Avvocati dal 2001 e all’Albo speciale dei patrocinatori davanti alla Corte di Cassazione dal 2014.
Principali settori di attività: contenzioso tributario, diritto tributario nazionale e internazionale, diritto doganale.
Ha approfondito le problematiche doganali connesse alla realtà degli operatori del settore, ponendo quesiti, avanzando interpelli presso le Autorità competenti e impugnando presso le competenti sedi i provvedimenti delle Agenzie fiscali.
Dal 2016 è socio dell'Associazione Nazionale Tributaristi Italiani (ANTI).
Dal 2017 è componente del Consiglio di disciplina territoriale degli spedizionieri doganali della Liguria.