Con le sentenze 27 maggio 2022, n. 17235 e 16 maggio 2022, n. 15540, la Suprema Corte è intervenuta nuovamente sul delicato e attuale tema della determinazione del valore della merce in Dogana.

Come noto, il valore in Dogana è il valore delle merci all’atto dell’importazione e rappresenta uno degli elementi fondamentali per la liquidazione e la riscossione dei diritti Doganali; per tale ragione è determinante individuare la corretta procedura di valutazione dell’operazione e del relativo potere dell’Ufficio di rideterminare il valore dichiarato.

Le norme relative al valore doganale delle merci sono contenute nel Reg. Ue 9 ottobre 2013, n. 952, agli artt. 70–74 (Codice doganale unione – c.d.u.) e nel Reg. Ue 24 novembre 2015, n. 2447 (Regolamento di esecuzione – r.e.) agli artt. 140– 146.

Sul punto, rappresentano principi fermi e intangibili le norme contenute nell’Accordo Gatt sul valore doganale, il quale stabilisce che “il valore doganale della merce importata deve essere il valore di transazione, il quale è costituito dal prezzo effettivamente pagato o da pagare per la merce, quando è venduta per essere esportata nel paese di importazione” (art. 1, Parte I – Regole della valutazione doganale WTO).

In attuazione delle regole internazionali stabilite in ambito WTO, il codice doganale dell’unione sancisce, quale principio generale, che “la base primaria per il valore in Dogana delle merci è il valore di transazione, cioè il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci quando sono vendute per l’esportazione verso il territorio doganale dell’Unione, eventualmente adeguato” (art. 70, Reg. 952 del 2013, c.d.u.).

Il valore in Dogana, pertanto, è rappresentato dal prezzo di acquisto del prodotto praticato dal fornitore estero all’acquirente nazionale e documentato anche dalla fattura di acquisto del bene importato.

Il valore di transazione, quale criterio legale di riferimento, può essere posto in discussione esclusivamente qualora le Autorità Doganali nutrano motivati e fondati dubbi in ordine al corrispettivo indicato.

In tale ipotesi, le norme comunitarie prevedono una specifica e dettagliata procedura di eventuale rideterminazione del prezzo dichiarato dalle parti: l’art. 140 r.e., infatti, impone un preciso onere della prova a carico della Dogana nello smentire le risultanze documentali e la necessità del contraddittorio con l’importatore.

Ai sensi di tale norma, se la Dogana nutre fondati dubbi sul prezzo indicato, è tenuta a chiedere all’importatore informazioni complementari; ottenute tali informazioni, se i motivati dubbi della Dogana persistono, essa deve avvertire il dichiarante del perdurare delle ragioni di sospetto, concedendo un termine a difesa prima dell’emanazione dell’atto di accertamento doganale.

L’onere probatorio in capo al dichiarante, previsto dall’art. 140 r.e., deve infatti ritenersi adempiuto con la produzione della documentazione richiesta dalla Dogana atta a provare il valore di transazione.

Qualora l’Ufficio riesca a provare l’inattendibilità dell’apparato documentale presentato dal contribuente, dimostrandone l’incompletezza, l’irregolarità o la falsità, potrà ricorrere ai criteri alternativi di stima, fondati sulla collaborazione (consultation) tra Dogana e importatore in relazione a dati concreti e non su elementi indiziari basati su una mera elaborazione statistica.

L’art. 74 c.d.u. prevede che “quando il valore in Dogana non può essere determinato ai sensi dell’art. 70 c.d.u.”, e dunque quando non si ritiene corretto il prezzo dichiarato dalle parti della transazione commerciale, operano criteri alternativi secondari (il valore di transazione di merci identiche; il valore di transazione di merci similari; il valore fondato sui prezzi unitari; il valore calcolato sulla base dei costi di produzione; il valore determinato sulla base dei dati disponibili nel territorio dell’Unione), da utilizzarsi, per la determinazione del valore in Dogana, rigorosamente in ordine gerarchico.

Il riferimento al necessario rispetto di tali principi e disposizioni comporta che, anche qualora sia utilizzato il criterio residuale, il valore determinato deve sempre essere reale, non potendo, al contrario, utilizzarsi valori meramente arbitrari o astratti, svincolati dalla fattispecie concreta.

Al riguardo, si evidenzia che quanto la Dogana intenda applicare il primo criterio sussidiario, ossia il valore di transazione di merci identiche, deve utilizzare quale parametro di riferimento il valore di merci prodotte nello stesso Paese e uguali sotto tutti gli aspetti, ivi comprese le caratteristiche fisiche, la qualità e la rinomanza.

Solo ove non sia possibile determinare il valore attraverso questo primo metodo, alternativo al valore di transazione, si deve avere riguardo al metodo cd. di “sostituzione”, ossia al valore di transazione di merci similari.

Per merci similari si devono intendere le merci prodotte nello stesso Paese e dallo stesso produttore, che, pur non essendo uguali sotto tutti gli aspetti, presentano caratteristiche analoghe e sono composte da materiali analoghi, tanto da poter svolgere le stesse funzioni e da essere intercambiabili sul piano commerciale.

Il Regolamento di esecuzione n. 2447 del 2015 prescrive che, nell’applicazione di tale criterio, la Dogana deve esaminare vendite di merci simili rispetto alle merci da valutare, effettuate allo stesso livello di commercializzazione, che si riferiscano alla stessa quantità della vendita da valutare e che sono prodotte dallo stesso soggetto che ha prodotto le merci oggetto della valutazione (art. 141, reg. es. 2447 del 2015).

In altri termini, la Dogana non può assumere un valore determinato secondo criteri propri, ma deve rigorosamente attenersi a precisi canoni normativi, di guisa che sia garantita l’effettiva coerenza del valore praticato dalle parti rispetto a quello stabilito a posteriori.

Al fine di ottenere tale scopo, la legge doganale prescrive che la merce in esame abbia in comune con quella oggetto di comparazione:

1) lo stesso produttore; 2) lo stesso stadio di commercializzazione; 3) la stessa quantità oggetto delle due compravendite in comparazione.

L’applicazione congiunta di tali elementi consente l’individuazione di un valore non astratto né ipotetico, bensì quanto più vicino possibile, per plurimi requisiti oggettivi, a quello reale.

Qualora l’Ufficio ritenga di dover operare delle correzioni, ogni variazione deve, tuttavia, essere motivata dettagliatamente ed effettuata sulla base di rigorosi elementi di prova; in caso contrario la determinazione del valore in Dogana secondo queste procedure “non è adeguata” (fair).

Con la recente sentenza la Suprema Corte, richiamando il proprio orientamento in materia, ha affermato che “l’Amministrazione – dopo la richiesta di informazioni complementari e dopo aver fornito all’interessato una ragionevole possibilità di far valere il proprio punto di vista riguardo ai motivi sui quali siano fondati i dubbi dell’Ufficio – è tenuta a dimostrare, con onere probatorio a proprio carico, di aver applicato, nella rideterminazione del valore in Dogana, i metodi immediatamente sussidiari di cui agli artt. 30 e 31 c.d.c. secondo la rigida sequenza ivi prevista in successione ovvero è tenuta a dar conto delle ragioni per cui il rispetto di detto ordine non sia stato possibile. Di conseguenza le banche dati che individuano, sulla base del valore di transazione di merci similari, un valore medio statistico per i beni importati, possono essere utilizzate dall’Amministrazione doganale a condizione che abbia fatto ricorso, in primo luogo, ai metodi di valutazione immediatamente precedenti” (Cass., 16 maggio 2022, n. 15540; nello stesso senso, 27 maggio 2022, n. 17235; Cass., 13 novembre 2020, n. 25724; Cass., 20 ottobre 2020, n. 22818; Cass., 25 gennaio 2019, n. 2214; Cass., 23 gennaio 2019, n. 1787; Cass., 17 gennaio 2019, n. 1114).

Anche la giurisprudenza di merito ha affermato che “in conclusione la sentenza impugnata deve essere riformata e l’appello accolto in quanto: 1) non risulta censurato dai primi giudici l’operato della Dogana che non ha adottato il primo tra i criteri alternativi sussidiari, ossia il valore di transazione di merci identiche di cui all’art. 30 lett. a) c.d.c., illegittimamente utilizzando, senza darne adeguato conto, l’ultimo criterio ossia quello del valore calcolato previsto dall’art. 30, lett. d) c.d.c., “saltando” i criteri intermedi; 2) non risulta ulteriormente censurato che la Dogana ha rideterminato il valore delle merci in argomento (ombrelli) operando un confronto tra il prezzo dichiarato dall’importatore e il valore ricostruito sulla base di elementi non equiparabili alla fattispecie concreta” (Comm. trib. reg. Genova, 16 settembre 2021, n. 695; Comm. trib. reg. Genova, 17 aprile 2019, n. 478; Comm. trib. prov. Spezia, 23 aprile 2018, n. 133).

Nelle fattispecie concrete accade sovente che l’Ufficio, invece di utilizzare il valore delle merci importate con merci identiche o simili importate nello stesso periodo con la stessa origine, utilizzi i dati estratti da sistemi informatici in possesso della Dogana (ad esempio Cognos, Theseus), giungendo ad attribuire alle merci importate dei valori astratti, avulsi dalla realtà.

E invero, tali banche dati, oltre a non essere accessibili agli operatori, sono insufficienti a provare che il valore dichiarato all’importazione è inadeguato, giacchè le elaborazioni statistiche patiscono un grado variabile di aleatorietà.

Anche la Corte di Giustizia si è pronunciata al riguardo, affermando che “il valore in Dogana deve riflettere il valore economico reale di una merce importata e, pertanto, tener conto di tutti gli elementi di tale merce che presentano un valore economico (…) tenuto conto, dell’ampia definizione della nozione di merci similari (…) è necessario prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti quali la composizione, la loro sostituibilità quanto ai loro effetti e alla lora intercambiabilità sul piano commerciale. L’Amministrazione doganale nazionale competente deve quindi procedere a una valutazione di fatto, tenendo conto di qualunque elemento che possa incidere sul valore economico reale, inclusa la posizione sul mercato del prodotto importato e del suo fabbricante. Alla luce di quanto precede l’art. 30, par. 2, lett. b [ora art. 74 c.d.u.] deve essere interpretato nel senso che, laddove il valore in Dogana di merci sia calcolato applicando il metodo, l’Amministrazione doganale nazionale competente deve, per identificare “merci similari”, prendere in considerazione tutti gli elementi rilevanti, quali la composizione di tali merci, la loro sostituibilità, la loro intercambiabilità sul piano commerciale, procedendo quindi a una valutazione di fatto tenendo conto di qualunque elemento che possa incidere sul valore economico reale di dette merci, inclusa la posizione sul mercato e il suo suo fabbricante” (Corte Giust., 20 giugno 2019, n. 1/18).

Tale orientamento appare pienamente condivisibile, giacchè ha censurato l’automatismo dell’operato dell’Agenzia delle dogane del tutto in contrasto con la normativa europea in ambito doganale.

Laureata con lode all'Università di Genova con una tesi di Diritto Privato Internazionale, è iscritta all'Albo degli avvocati dal 1999 e all'Albo speciale dei patrocinatori davanti alla Corte di Cassazione dal 2014.

Ha collaborato dal 2001 al 2007 con lo Studio De André, importante studio genovese specializzato in diritto societario e commerciale, e in seguito con un noto studio legale specializzato in diritto tributario (nazionale e internazionale) e in diritto doganale.

Nel 2014 ha fondato con l'avv. Zunino lo Studio legale Zunino - Picco, specializzato in diritto tributario e doganale.

Dal 2016 è socio ordinario dell'Associazione Nazionale Tributaristi Italiani (ANTI).

Laureata all’Università di Genova, è iscritta all’Albo degli Avvocati dal 2001 e all’Albo speciale dei patrocinatori davanti alla Corte di Cassazione dal 2014.
Principali settori di attività: contenzioso tributario, diritto tributario nazionale e internazionale, diritto doganale.
Ha approfondito le problematiche doganali connesse alla realtà degli operatori del settore, ponendo quesiti, avanzando interpelli presso le Autorità competenti e impugnando presso le competenti sedi i provvedimenti delle Agenzie fiscali.
Dal 2016 è socio dell'Associazione Nazionale Tributaristi Italiani (ANTI).
Dal 2017 è componente del Consiglio di disciplina territoriale degli spedizionieri doganali della Liguria.