Come noto, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) è stato istituito dalla Commissione europea con l’obiettivo di contrastare le frodi e le altre attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione europea ([1]).

Secondo il consolidato orientamento della Cassazione ([2]), in tema di tributi doganali, gli accertamenti compiuti dall’OLAF assumono piena valenza probatoria ([3]) nei procedimenti amministrativi e giudiziali ([4]) e, quindi, possono essere posti a fondamento dell’avviso di accertamento per il recupero dei dazi sui quali siano state riconosciute esenzioni o riduzioni.

Inoltre, spetta al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria in ordine alla sussistenza delle condizioni di applicabilità del regime agevolativo.

La giurisprudenza di legittimità ha altresì stabilito che gli accertamenti dell’OLAF assumono valenza probatoria limitatamente alle importazioni effettuate nel periodo temporale di riferimento dell’indagine.

Per fare un esempio, ipotizzando che in un report dell’OLAF venga accertato che determinati beni importati nelle annualità 2015 e 2016 da uno specifico fornitore hanno un’origine diversa da quella dichiarata dagli importatori, l’Agenzia delle dogane potrà rettificare detta origine determinando gli eventuali maggiori dazi.

Questa rettifica, però, potrà riguardare solamente le importazioni di quei beni da quello specifico fornitore limitatamente alle annualità oggetto di verifica da parte dell’OLAF, cioè, nell’esempio, il 2015 e il 2016.

Diversamente, detto disconoscimento non potrà trovare applicazione, in assenza di diverse e ulteriori prove, per le annualità precedenti al 2015 e successive al 2016.

In tal senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16469 del 31 luglio 2020. Nel caso sottoposto all’esame della Suprema corte è stato rigettato il ricorso proposto dall’Agenzia delle Dogane in quanto il rapporto finale predisposto dall’OLAF riguardava delle indagini relative a un periodo successivo a quello dell’importazione doganale contestata.

Nello specifico e in estrema sintesi, in forza di un’inchiesta dell’OLAF avviata il 6 ottobre 2011, veniva contestata l’origine cinese anziché indonesiana, come dichiarato dall’importatore, di alcuni prodotti in acciaio importati il 1° aprile 2011, quindi qualche mese prima rispetto al periodo oggetto d’indagine.

È interessante evidenziare che recentemente l’efficacia temporale dei report dell’OLAF è stata esaminata anche dalla giurisprudenza di merito.

La Commissione tributaria provinciale di Milano, Sez. 19, con la sentenza n. 512 del 22 febbraio 2022, accogliendo il ricorso proposto dal contribuente, ha annullato un avviso di accertamento che si fondava su un report OLAF relativo a una inchiesta relativa a un periodo temporale precedente all’importazione oggetto di contestazione ([5]).

Nella fattispecie esaminata dai giudici milanesi l’Agenzia delle Dogane contestava una importazione di tubi di acciaio inox senza saldature ritenuti di origine cinese e non, come dichiarato dall’importatore, di origine indiana. Il disconoscimento dell’origine dichiarata, che ha comportato l’accertamento di un dazio antidumping nella misura del 71,9%, si fondava su una indagine compiuta dall’OLAF relativa al periodo intercorrente tra il 1° gennaio 2015 e il 30 novembre 2017 dalla quale risultava che tutti i tubi di acciaio senza saldature esportati in Europa dalla società indiana provenivano dalla Cina e che in India non avevano subito alcuna trasformazione o, comunque, non quella trasformazione sostanziale o quell’ultima lavorazione idonea ad assicurare il trattamento doganale applicato.

I giudici, rilevando che la relazione OLAF prendeva in esame tutte le produzioni realizzate in India nel periodo compreso tra il 1° gennaio 2015 e il 30 novembre 2017, ha ritenuto che gli esiti dell’inchiesta non potevano trovare applicazione all’importazione contestata effettuata il 23 marzo 2018, quindi, avvenuta in un periodo temporale successivo a quello dell’indagine.

In un caso del tutto simile, la Commissione tributaria provinciale di Venezia, Sez. 3, con la sentenza n. 456 del 7 giugno 2021 ([6]) ha rilevato che l’indagine dell’OLAF copriva un arco temporale decorrente dal 2016 al 2018 e quindi i rilievi in essi contenuti non potevano ricomprendere una importazione avvenuta il 28 ottobre 2019, cioè in epoca successiva. Per tale ragione i giudici veneziani hanno accolto il ricorso della società importatrice.

Alla luce della giurisprudenza di legittimità e di merito richiamata, si può affermare che ogniqualvolta vengano notificati degli avvisi di accertamento che si fondano su dei report dell’OLAF è bene verificare a quale periodo temporale l’inchiesta si riferisce ([7]).

Nel caso in cui l’indagine si riferisca a un intervallo temporale antecedente o successivo all’importazione oggetto di contestazione, l’importatore, qualora intenda impugnare l’atto impositivo innanzi alla Commissione tributaria, dovrà tempestivamente contestarlo con il ricorso affinché il giudice possa esaminare ed eventualmente accogliere detta doglianza e annullare la pretesa impositiva e sanzionatoria dell’Amministrazione.

[1] Per quanto riguarda le funzioni e le competenze dell’OLAF, si veda BELLANTE P., Il sistema doganale, 2020; ARMELLA S., Diritto doganale, Egea, 2015, p. 289; VENEGONI A., Le indagini doganali: funzioni e competenze dell’OLAF, in Diritto doganale, delle accise e dei tributi ambientali a cura di SCUFFI M., ALBENZIO G. E MICCINESI M., Ipsoa, 2014, p. 481.

[2] V., tra le tante, Cass., Ord. 31 luglio 2020 n. 16469; Cass., Sez. V, Sent. 11/05/2018 n. 11441 e Cass., Sez. V, Sent. 11/08/2016 n. 16962.

[3] Appare opportuno precisare che il rapporto dell’OLAF “assume un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati” (cfr. Cass., sent. 28 febbraio 2019, n. 5930). La sentenza citata distingue tre livelli di attendibilità “a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese;

  1. b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni;
  2. c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore”.

[4] L’art. 11, par. 2 del Reg. Ue 883/2013 stabilisce che i rapporti dell’OLAF costituiscono elementi di prova nei procedimenti amministrativi e giudiziari e hanno la medesima valenza probatoria delle relazioni amministrative che vengono redatte dai verificatori nazionali quali, per esempio, l’Agenzia delle Dogane.

[5] Per essere precisi la sentenza affronta la contestazione di due bollette doganali. Tuttavia, una di queste, si riferiva a una importazione avvenuta nel periodo di tempo oggetto di indagine da parte dell’OLAF. In questo caso i giudici hanno accolto il ricorso dell’importatore in quanto nell’atto impugnato non venivano adeguatamente esposte le argomentazioni che hanno condotto l’organismo antifrode comunitario a formulare le conclusioni alle quali è giunto.

[6] In questo caso la Commissione tributaria si è pronunciata in relazione a due ricorsi riuniti. Uno è stato accolto per le ragioni suindicate, ovverosia in quanto l’importazione contestata era stata posta in essere in un periodo successivo a quello oggetto dell’indagine OLAF. L’altro ricorso, invece, si riferiva a una importazione che astrattamente rientrava nell’ambito dell’indagine dell’Ufficio antifrode. Tuttavia i giudici hanno accolto il ricorso in quanto il rapporto dell’OLAF appariva generico e incompleto e pertanto la pretesa impositiva e sanzionatoria dell’Agenzia delle Dogane non poteva essere condivisa per mancanza di prove.

[7] Le verifiche dell’OLAF, chiaramente, possono essere contestate anche sotto altri profili. Per esempio, la giurisprudenza di legittimità ha affermato che i documenti redatti dall’OLAF devono essere dettagliati e devono riferirsi direttamente alla merce importata (cfr. Cass., sent. 28 febbraio 2019, n. 5930). Per fare un altro esempio, si richiamano le sentenze della CTP di Milano del 2 ottobre 2015, nn. 7774, 7775 e 7776 secondo le quali “il semplice richiamo alle risultanze di un’indagine Olaf senza che la relativa documentazione e la relazione conclusiva siano allegati al provvedimento impositivo, non legittima l’Amministrazione alla rettifica dell’accertamento”. Sul punto si veda ARMELLA S., MANNARINO L., Ufficio europeo per la lotta antifrode, Il Doganalista 1/2016, pag. 19 e ss. Per quanto attiene l’importanza di conoscere i propri fornitori e recuperare i documenti relativi alle importazioni, v. TOSCANO A., Il Doganalista 5/2021, pag. 35.

Dottore commercialista specializzato in contenzioso doganale e tributario. Ph.D. Tax Litigation - Associate RQR & Partners