È illegittima la contestazione dell’Agenzia sul valore doganale se l’accertamento si fonda su un sistema di rilevazione statistica, come la banca dati M.E.R.C.E. A stabilirlo è, ancora una volta, la Corte di Cassazione che, con la sentenza 24 luglio 2023, n. 22200 ribadisce un principio ormai più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità.

Com’è noto, secondo la normativa doganale, l’unico valore rilevante ai fini dell’obbligazione doganale è il prezzo di transazione, ossia il costo effettivamente pagato per i prodotti importati (art. 29 Codice doganale comunitario, vigente ratione temporis, Reg. CE 2913/1992, ora sostituito dall’art. 70 Cdu, Reg. UE 952/2013). Il prezzo di transazione rappresenta quindi il criterio primario per la determinazione del valore doganale, da cui è possibile discostarsi soltanto in ipotesi eccezionali e rispettando una serie di limiti chiaramente individuati dal legislatore unionale.

Il Codice doganale dell’Unione europea mira, infatti, a stabilire un sistema equo, uniforme e neutro, che esclude l’impiego di valori in Dogana arbitrari o fittizi (Corte di Giustizia, 20 dicembre 2017, C-529/16, Hammamatsu Photonics Deutschland GmbH). Il valore in Dogana deve pertanto riflettere il costo economico reale della merce importata, tenendo conto di tutti gli elementi che contribuiscono alla sua determinazione. Soltanto nel caso in cui non sia possibile individuare il prezzo di transazione della merce, infatti, è ammesso il ricorso ai criteri alternativi di stima dei beni importati individuati dalla normativa doganale, da utilizzarsi in rigoroso ordine gerarchico.

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione, tornando su un argomento di grande interesse per gli operatori, ha ribadito che in caso di fondati dubbi sulla veridicità del valore dichiarato, è onere della Dogana dimostrare di aver applicato, in sede di rettifica, i metodi immediatamente sussidiari stabiliti dal Codice doganale, secondo la rigida sequenza prevista, dovendo eventualmente dar conto delle ragioni per cui l’applicazione dei precedenti criteri non sia stata possibile.

Deve pertanto ritenersi illegittima la rettifica dell’Ufficio, nel caso in cui l’accertamento sia fondato unicamente su una rilevazione di dati statistici relativa al valore medio di merci similari.

In particolare, nel caso esaminato dalla Suprema Corte, l’Agenzia delle dogane aveva rideterminato il valore dichiarato una società, per l’importazione di alcune ciabatte in plastica “da giardino”. Secondo la Dogana, il prezzo dichiarato sarebbe stato inferiore rispetto a quello di merci similari. I “fondati dubbi” dell’Ufficio erano sorti dal confronto del valore dichiarato rispetto ai valori medi di prodotti simili estrapolati dalla banca dati M.E.R.C.E.

I giudici di merito avevano dichiarato illegittima la pretesa dell’Agenzia, evidenziando che i prodotti importati erano realizzati con materiali di scarsa qualità ed erano privi di marchi o loghi che ne incrementassero l’appetibilità commerciale. Le ciabatte oggetto di contestazione erano, inoltre, destinate a essere rivendute a grossisti della grande distribuzione del settore low cost.

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza resa dai giudici di merito, rilevando che non è possibile contestare il valore dichiarato all’importazione riferendosi a rilevazioni puramente statistiche. Il valore doganale deve coincidere, infatti, con il prezzo reale del prodotto, tenendo conto delle sue caratteristiche.

In particolare, la Suprema Corte ha ricordato che la normativa prevista dal Codice doganale impone all’Agenzia delle dogane un preciso onere procedimentale per superare il prezzo indicato dall’operatore nei documenti allegati alla dichiarazione doganale.

In primo luogo, ai sensi dell’art. 181 bis Reg. CEE 2454/1993 (ora sostituito dall’art. 140 Reg. UE 2447/2015), il valore dichiarato in sede di importazione può essere oggetto di revisione soltanto quando le Autorità doganali nutrano motivati e fondati dubbi in ordine al corrispettivo indicato, a seguito di uno speciale contraddittorio preventivo, previsto come obbligatorio.

Al riguardo, la Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha precisato che ove emergano fondati sospetti che il valore dichiarato all’importazione non corrisponda a quello effettivo dei beni, l’autorità doganale è obbligata a “chiedere informazioni complementari e sollecitare il contraddittorio prima di decidere di non determinare il valore in dogana delle merci importate in base alla regola generale” (nello stesso senso, Cass., sez. V, 16 maggio 2022, n. 15540; Cass., sez. V, 17 gennaio 2019, nn. 1114 e 1115).

Per disattendere il valore di transazione della merce è necessario, pertanto, che: i) l’Agenzia delle dogane abbia fondati dubbi sull’attendibilità del prezzo dichiarato e ii) che tali dubbi persistano anche dopo una richiesta di ulteriori informazioni e di documentazione e dopo aver fornito all’interessato la possibilità di presentare le proprie osservazioni difensive.

Secondo la Corte di Cassazione, i “fondati dubbi” dell’Agenzia non possono basarsi esclusivamente sui dati estrapolati dalla banca dati M.E.R.C.E. Si tratta, infatti, di uno strumento di rilevazione statistica a cui si può fare riferimento soltanto in via residuale. Tale meccanismo era già stato dichiarato illegittimo dalla Corte di Cassazione, la quale aveva chiarito che deve ritenersi illegittima la pretesa della Dogana nell’ipotesi in cui la rettifica sia avvenuta traendo dal “datawarehouse M.E.R.C.E” i valori successivamente posti a base dell’accertamento (Cass., sez. V, 17 gennaio 2019, n. 1115).

L’Agenzia delle dogane, inoltre, non può limitarsi a informare il contribuente del suo diritto al contraddittorio, ma deve attivarsi per realizzare un confronto effettivo, allo scopo di rideterminare, in via “condivisa” il valore doganale dei beni importati.

Da segnalare che il mancato rispetto del diritto al contraddittorio dell’importatore comporta l’illegittimità del provvedimento impugnato, poiché, come precisato dalla Suprema Corte, “l’obbligo di sollecitare il contraddittorio ha carattere generale e deve essere sempre ottemperato” (Cass., sez. V, 13 novembre 2020, n. 25724; Cass., sez. V, 27 settembre 2018, nn. 23244, 23245, 23246).

In secondo luogo, la rettifica del valore deve rispettare non soltanto i criteri di determinazione previsti dal Codice doganale, ma anche il loro ordine di applicazione. Secondo il principio di diritto affermato dalla sentenza in commento, infatti, la Dogana, infatti, è tenuta a dimostrare, con onere probatorio a proprio carico, di avere applicato, nella rideterminazione del valore in dogana, i metodi immediatamente sussidiari di cui agli artt. 30 e 31 del Codice doganale, secondo la rigida sequenza ivi prevista in successione ovvero è tenuta a dare conto delle ragioni per cui il rispetto del detto ordine previsto dal Codice doganale comunitario non sia stato possibile.

La Suprema Corte ha pertanto dichiarato illegittimo l’accertamento dell’Agenzia delle dogane, la quale aveva impiegato un metodo di rideterminazione non immediatamente sussidiario rispetto a quello del prezzo di transazione, facendo ricorso al valore medio di merci similari, senza dimostrare per quale ragione non era stato possibile rispettare la precisa sequenza dei metodi individuati dal Codice doganale, utilizzando il criterio fondato sul valore di transazione di merci identiche.

Tali banche dati, infatti, non sono riconosciute e previste da nessuna fonte normativa e non sono accessibili o conoscibili dagli operatori. Sono pertanto del tutto ignoti il numero e la tipologia delle importazioni registrate, così come le metodologie di calcolo attraverso cui è elaborato un prezzo medio statistico per le voci doganali delle merci importate, nonché le oscillazioni entro le quali tale importo può eventualmente variare. È, pertanto, impossibile verificare la corrispondenza tra i prodotti presi a campione e i prodotti importati, anche in ragione del fatto che in ciascuna categoria merceologica sono ricomprese diverse tipologie di beni, con differenti caratteristiche qualitative e, conseguentemente, con un diverso valore unitario.

Laureato presso l’Università di Parma, ha conseguito un Master in Diritto Tributario e un Master di specializzazione dall’accertamento al processo tributario presso la Scuola di Formazione Ipsoa. È iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano dal 2009. Nel 2011 entra nel team dello Studio Armella & Associati, di cui è socio dal gennaio 2020.

Settori di attività: contenzioso doganale, diritto tributario e commercio internazionale. Esperto di diritto doganale, con particolare riferimento alle tecniche di commercio internazionale, assiste grandi aziende e multinazionali con particolare riferimento alla consulenza e alla pianificazione doganale, all’implementazione delle procedure relative al commercio internazionale e alle certificazioni AEO.

È autore di numerosi articoli e pubblicazioni e collabora con associazioni di categoria in attività seminariali e congressuali.