In sede di accertamento, l’Agenzia delle dogane ha l’onere di provare che la classificazione doganale dichiarata all’importazione non è corretta. È quanto affermato dalla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, 7 febbraio 2023, n. 487, la quale ha chiarito che spetta alla Dogana dimostrare quali sono le caratteristiche tecniche del prodotto che legittimano l’applicazione di una diversa voce doganale e, di conseguenza, della maggiore pretesa daziaria, non essendo possibile rettificare “a tavolino” la voce doganale utilizzata dall’importatore.

Come è noto, la classificazione doganale rappresenta un criterio oggettivo fondamentale per inquadrare correttamente le caratteristiche essenziali dei prodotti importati. La classifica individua, infatti, attraverso un codice numerico di otto/dieci cifre, le caratteristiche e proprietà oggettive della merce e la sua specifica funzione (Corte di Giustizia, 17 luglio 2014, C-472/12, Panasonic; Corte di Giustizia 23 aprile 2015, C-635/13, SC Alka co srl).

La necessità di definire e catalogare le merci sulla base di una nomenclatura predefinita sorge, in primo luogo, per consentire l’individuazione dei singoli prodotti che attraversano le frontiere doganali e per identificare tutti gli adempimenti connessi al passaggio della merce in Dogana. Attribuire a ogni bene un preciso codice doganale, internazionalmente riconosciuto, riveste, pertanto, un ruolo fondamentale per la fluidità degli scambi commerciali.

L’attività e la preparazione dei doganalisti sono fondamentali per le imprese. Individuare la corretta voce doganale di un prodotto è indispensabile non soltanto per determinare la fiscalità doganale, ma svolge anche un ruolo decisivo nell’identificare eventuali restrizioni, all’import o all’export, come embarghi, autorizzazioni dual use, licenze di importazione, misure sanzionatorie o contingenti doganali. Inquadrare correttamente i prodotti oggetto di importazione permette anche di verificare quali sono le regole di origine applicabili e se vi sono agevolazioni o esenzioni daziarie previste da un accordo di libero scambio.

Occorre ricordare, inoltre, che solo attraverso un’uniforme applicazione della classificazione doganale è possibile dare attuazione alla normativa doganale UE nel rispetto del principio di eguaglianza e di non discriminazione. Ciascun bene ha, infatti, diritto a vedersi applicato lo stesso codice numerico in ogni Stato membro dell’Unione europea.

La voce doganale rappresenta pertanto un vero e proprio “passaporto” del prodotto, che ne identifica caratteristiche e proprietà fondamentali.

Le imprese spesso tralasciano di considerare che, secondo la normativa doganale vigente, il compito di determinare la corretta classificazione doganale delle merci è demandato alla responsabilità degli importatori, i quali devono indicare, al momento della dichiarazione, il codice di classificazione della merce importata.

Secondo quanto chiarito ormai dalla giurisprudenza, non è sufficiente affidarsi all’inquadramento previsto dal fornitore estero e non vi è esonero da responsabilità se ci si è appiattiti su quanto un altro operatore privato ha indicato, nella fattura o nei contratti di vendita. Se in alcuni casi, stabilire la classifica di un prodotto è un’operazione relativamente semplice, in molti casi, invece, la complessità intrinseca del bene può generare dubbi circa il codice da attribuire al prodotto. Molto spesso, infatti, inquadrare il prodotto in una delle 20.000 voci doganali esistenti rappresenta un’operazione giuridica e tecnica estremamente complessa. Tali situazioni possono dar luogo a una contestazione sulla voce doganale dichiarata all’importazione. Per le aziende si rende pertanto necessaria un’attenta due diligence sulle caratteristiche e sulla funzione dei prodotti importati, con l’ausilio di un doganalista.

Anche l’Agenzia delle dogane deve prestare particolare attenzione alle proprietà e alla funzione della merce. In sede di accertamento, infatti, anche la Dogana deve valutare le condizioni oggettive del prodotto che giustificano l’attribuzione di un determinato codice doganale.

Con la sentenza in commento, la Corte milanese ha ribadito che esistono precisi limiti all’attività di accertamento della Dogana: l’Agenzia, infatti, non può limitarsi a ipotizzare un diverso uso possibile del prodotto e non può applicare una diversa voce doganale, senza aver dimostrato quali sono le caratteristiche fisiche del bene che giustificano la rettifica.

Nel caso sottoposto alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, una società importatrice di pannelli indicatori aveva dichiarato la voce doganale 8531 2020 90. L’Agenzia delle dogane sosteneva, al contrario, che tali prodotti dovessero essere classificati con la voce doganale 8529 9092 99, senza però precisare quali erano le ragioni tecniche poste a fondamento della rettifica.

Il giudice milanese ha chiarito che, in base al principio dell’onere della prova, compete all’Agenzia delle dogane dimostrare la sussistenza dei presupposti che legittimano l’applicazione di un diverso codice tariffario e, di conseguenza, la maggiore pretesa impositiva.

Tale pronuncia stabilisce un principio fondamentale: l’Agenzia delle dogane non può contestare “a tavolino” la voce doganale dichiarata all’importazione, essendo necessario un attento esame delle caratteristiche del prodotto. Un principio che fa corretta applicazione del nuovo art. 7, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, introdotto dalla riforma della giustizia tributaria. Tale norma prevede espressamente che è onere dell’Amministrazione provare in giudizio la pretesa fiscale contestata. La legge 31 agosto 2022, n. 130 introducendo il comma 5-bis all’art. 7, d.lgs. n. 546/1992, ha, infatti, stabilito che, nei giudizi di impugnazione nei confronti dei provvedimenti impositivi, la Corte di Giustizia tributaria deve verificare che l’Amministrazione abbia assolto l’onere della prova. Se gli elementi di prova alla base dell’accertamento risultano carenti, contraddittori o insufficienti a dare “supporto circostanziato e puntuale” alla pretesa, l’atto emesso dalla Dogana deve annullato.

Nel caso esaminato, i giudici lombardi hanno pertanto ritenuto illegittima la pretesa della Dogana, dal momento che l’Ufficio, in sede di rettifica, non aveva dimostrato le differenti caratteristiche che avrebbero giustificato una classificazione doganale diversa e la conseguente applicazione di un dazio all’importazione più elevato.

Inoltre, come correttamente rilevato dalla Corte, la società aveva effettuato numerose importazioni dello stesso prodotto negli anni precedenti, senza che l’Agenzia delle dogane, a seguito di ripetute verifiche fisiche della merce, avesse mai sollevato alcuna contestazione circa la classificazione doganale dichiarata all’importazione.

Laureato presso l’Università di Parma, ha conseguito un Master in Diritto Tributario e un Master di specializzazione dall’accertamento al processo tributario presso la Scuola di Formazione Ipsoa. È iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano dal 2009. Nel 2011 entra nel team dello Studio Armella & Associati, di cui è socio dal gennaio 2020.

Settori di attività: contenzioso doganale, diritto tributario e commercio internazionale. Esperto di diritto doganale, con particolare riferimento alle tecniche di commercio internazionale, assiste grandi aziende e multinazionali con particolare riferimento alla consulenza e alla pianificazione doganale, all’implementazione delle procedure relative al commercio internazionale e alle certificazioni AEO.

È autore di numerosi articoli e pubblicazioni e collabora con associazioni di categoria in attività seminariali e congressuali.