La giurisprudenza di merito, con due recenti pronunce favorevoli all’operatore economico, è tornata ad affrontare l’annosa questione dell’illegittima determinazione delle sanzioni irrogate dall’Agenzia delle dogane per mancato rispetto del principio comunitario di proporzionalità.

Con la sentenza 28 luglio 2022, n. 638, la Commissione tributaria regionale della Liguria si è espressa in merito a una controversia avente a oggetto tre atti di contestazione delle sanzioni per erronea indicazione della sottovoce doganale utilizzata in importazione. L’Ufficio, in particolare, a fronte di maggiori diritti contestati nella misura di circa 3.900 euro per atto, ha irrogato una sanzione complessiva di 45.000 euro, ossia pari, per ogni provvedimento sanzionatorio, al 383% dei maggiori diritti pretesi.

Con la sentenza 28 luglio 2022, n. 229, invece, la Commissione tributaria provinciale di La Spezia ha riconosciuto l’illegittimità della modalità di definizione delle sanzioni inflitte dalla Dogana, la quale, nell’accertare i maggiori dazi dovuti in relazione a una dichiarazione di importazione costituita da più “singoli”, ha ritenuto che, ai fini del calcolo delle sanzioni, ogni singolo dovesse essere considerato come una dichiarazione a sé stante, asserendo l’applicabilità dell’art. 198 del Reg. CEE n. 2454 del 1993 (DAC)[1]. Ne è conseguita l’irrogazione di una sanzione addirittura pari a 25 volte la maggior pretesa daziaria, in palese violazione dell’art. 42 CDU[2].

Il principio di proporzionalità delle sanzioni nella recente giurisprudenza nazionale

L’attuale formulazione dell’art. 303 Tuld[3] prevede, al terzo comma, un regime sanzionatorio strutturato su una suddivisione per scaglioni, con limiti edittali fissi commisurati all’ammontare complessivo dei diritti di confine evasi, applicabile nel caso in cui la differenza tra quanto accertato e quanto dichiarato superi la soglia del 5%.

In particolare “[…] la sanzione amministrativa, qualora il fatto non costituisca più grave reato, è applicata come segue:

  1. a)  per diritti fino a 500 euro si applica la sanzione amministrativa da 103 a 500 euro;
  2. b) per i diritti da 500,1 a 1.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 1.000 a 5.000 euro;
  3. c) per i diritti da 1000,1 a 2.000 euro, si applica la sanzione amministrativa da 5.000 a 15.000 euro;
  4. d) per i diritti da 2.000,1 a 3.999,99 euro, si applica la sanzione amministrativa da 15.000 a 30.000 euro;
  5. e) oltre 4.000, si applica la sanzione amministrativa da 30.000 euro a dieci volte l’importo dei diritti.

Al riguardo, la Commissione tributaria regionale della Liguria, con la sentenza in commento, ha evidenziato che la stessa formulazione astratta di tale disposizione pone problemi di compatibilità con il principio di proporzionalità, il cui necessario rispetto è stato più volte ribadito dalla Corte di Giustizia[4].

Nel nostro ordinamento l’osservanza di tale principio è stata recepita dai giudici di legittimità[5], i quali hanno precisato che il giudice di merito è tenuto a verificare, in concreto, la congruità della sanzione irrogata dalla Dogana rispetto al disvalore dell’illecito commesso.

Recentemente, in ambito doganale, la Suprema Corte, con la sentenza 11 maggio 2022, n. 14908, in un caso simile a quello in esame, nel ritenere infondato il motivo di appello con cui l’Agenzia lamentava che la stessa Commissione tributaria regionale della Liguria avesse ridotto la sanzione per adeguarsi al principio di proporzionalità, non riconoscendo tuttavia che l’art. 303, terzo comma, Tuld prevede dei limiti edittali che consentono al giudice di gradare la sanzione nel rispetto del principio di proporzionalità, ha osservato che quanto obiettato dall’Agenzia non tiene conto della rigidità della sanzione minima.

In tal senso si è pronunciata anche la recente giurisprudenza di merito. In particolare, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza 28 novembre 2018, n. 5129, ha affermato che l’art. 303 Tuld prevede sanzioni non rispondenti al principio di proporzionalità, e, pertanto, deve essere disapplicato per il calcolo delle stesse.

D’altronde, in virtù della primazia del diritto di derivazione europea e alla luce di una giurisprudenza consolidata, laddove le sanzioni irrogate ai sensi dell’art. 303, terzo comma, Tuld fossero chiaramente contrastanti con i principi di effettività, proporzionalità e dissuasività, il giudice è legittimato a disapplicare la disposizione nazionale, trovando diretta applicazione la norma europea[6].

Al riguardo, la Commissione tributaria regionale della Liguria, con la sentenza in commento, ha rilevato come non sia in discussione il potere discrezionale del legislatore di determinare l’entità di una sanzione attraverso l’individuazione di scaglioni rapportati all’ammontare dei maggiori diritti di confine accertati, quanto piuttosto la previsione di limiti edittali fissi troppo elevati, suscettibili di renderla sproporzionata.

In particolare, i giudici di secondo grado hanno affermato che “la norma, così come strutturata, pone evidenti questioni di compatibilità sia con i principi generali interni che con il principio comunitario di proporzionalità, più volte ribadito dalla Corte di Giustizia ed applicabile all’importatore italiano […], per cui la sanzione non deve e non può risultare eccessiva rispetto all’entità della violazione”.

E invero, anche se l’art. 303, terzo comma, Tuld risponde all’intento di imprimere maggiore effettività alla norma sanzionatoria per le violazioni relative alla dichiarazione di valore, è innegabile, nel caso di specie, l’irragionevole sproporzionalità della sanzione inflitta, dal momento che il valore complessivo dei diritti pretesi è addirittura inferiore al minimo edittale applicabile per ogni singolo atto.

La Commissione adita, pertanto, ha rideterminato le sanzioni in misura pari ai maggiori diritti dovuti, disapplicando[7] la disposizione nazionale per violazione dell’art. 42 CDU.

Un quadro sanzionatorio meno afflittivo per i “singoli”

L’Agenzia delle dogane, in caso di rettifica di una dichiarazione contenente più singoli, applica, come noto, una sanzione per ciascun “singolo” riqualificato, in virtù dell’art. 198 del Reg. CEE n. 2454 del 1993 (DAC)[8].

Tale modalità applicativa consegue alla nota 9 febbraio 2015, n. 16407/RU, con cui l’Agenzia delle dogane, in risposta ad alcune Direzioni regionali che avevano chiesto un parere circa il corretto uso dell’art. 303, terzo comma, Tuld aveva precisato come la difformità tra il dichiarato e l’accertato riscontrata in più singoli dovesse essere risolta nel senso della riferibilità della sanzione a ciascun singolo contenuto nella dichiarazione. A mente dell’Amministrazione, in particolare, operare diversamente, oltreché contrario al disposto di cui all’art. 198 DAC, comporterebbe un’indebita differenziazione tra operazioni economiche analoghe, trattando più favorevolmente l’operatore che abbia preferito formulare una dichiarazione contenente più singoli rispetto a un altro che, invece, abbia scelto di sdoganare le medesime partite di merci con più dichiarazioni diverse. Ad avviso dell’Agenzia, pertanto, il principio di indifferenza tra le due modalità dichiarative costituirebbe la ratio della norma comunitaria, che imporrebbe di considerare ogni singolo quale autonoma dichiarazione.

Una siffatta interpretazione, tuttavia, comporta l’irrogazione di sanzioni fortemente sproporzionate e si pone in contrasto con il chiaro dettato dell’art. 303, terzo comma Tuld, secondo cui queste devono essere applicate muovendo da una valutazione complessiva dei maggiori diritti accertati.

Al riguardo, la Corte di Cassazione, con la sentenza 12 novembre 2020, n. 25509, nel ricostruire i differenti ambiti applicativi delle norme citate, ha osservato come l’art. 198 DAC attenga all’aspetto genetico della violazione, mentre l’art. 303 Tuld alla “dosimetria della sanzione da irrogare[9].I giudici di legittimità hanno, infatti, statuito il principio di diritto secondo cui la sanzione deve essere applicata assumendo una nozione “unitaria” dei maggiori diritti accertati.Di conseguenza, la Suprema Corte, dichiarando illegittima la prassi adottata dall’Agenzia delle dogane, ha chiaramente affermato che considerare ogni singolo come una dichiarazione a sé stante determinerebbe “un ingiustificato aggravamento del carico sanzionatorio, stante l’elevato importo delle sanzioni astrattamente irrogabili ex art. 303 comma 3 TULD”.In tal senso si è espressa anche la giurisprudenza di merito[10], la quale ha correttamente sottolineato come il richiamo all’art. 198 DAC da parte dell’Ufficio sia improprio, dal momento che la repressione delle violazioni doganali, per espressa delega del legislatore europeo, è demandata alla disciplina dei singoli Stati membri.In particolare, la Commissione provinciale di La Spezia, con la sentenza in esame, ha rilevato, in maniera chiara e strutturata, una violazione dell’art. 303, terzo comma, Tuld per illegittima determinazione delle sanzioni sulla base dell’art. 198 DAC, la cui applicazione “è subordinata a quanto disposto con la normativa nazionale dettata dall’art. 303, terzo comma, secondo cui, al fine dell’applicazione degli scaglioni sanzionatori previsti, è necessario valutare l’ammontare dei diritti di confine complessivamente dovuti in base all’accertamento”.

La Commissione adita ha altresì ravvisato una violazione dell’art. 42 CDU, richiamando al riguardo sia la giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale ha più volte precisato che le sanzioni irrogate dalla Dogana devono rispettare il principio di proporzionalità, sia quella della Corte di Cassazione, secondo cui i giudici di merito, oltre a dover valutare la compatibilità della sanzione comminata con il diritto dell’UE, devono anche accertare se l’applicazione della stessa sia proporzionata, in concreto, alla violazione commessa.

I giudici di primo grado, pertanto, hanno ricalcolato il quantum dovuto applicando il minimo edittale dello scaglione corrispondente all’ammontare complessivo dei maggiori diritti di confine pretesi.

[1] Tale norma è stata trasposta nell’art. 222 del Regolamento di esecuzione UE 2447 del 2015.

[2] L’art. 42 CDU stabilisce che “Ciascuno Stato membro prevede sanzioni applicabili in caso di violazione della normativa doganale. Tali sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive”.

[3] Come modificato dal d.l. 2 marzo 2012, n. 16, convertito con la l. 26 aprile 2012, n. 44.

[4] Nella giurisprudenza dell’UE v., ex plurimis, Corte Giust., 26 aprile 2018, C-81/17, Zabrus Siret; Corte Giust., 17 luglio 2014, C-272/13, Equoland; Corte Giust., 12 luglio 2012, C-284/11, EMS-Bulgaria Transport; Corte Giust., 22 dicembre 2010, C-438/09, Dankowski.

[5] Cfr. Cass., sez. trib., 21 gennaio 2015, n. 996.

[6] In tal senso, si veda anche Comm. trib. reg. Lombardia, sez. VII, 14 maggio 2018, n. 2129.

[7] In forza dell’art. 5 TFUE, il quale prevede che “In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Le istituzioni dell’Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al protocollo sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità”.

[8] L’art. 198 DAC dispone che “qualora una dichiarazione in dogana comporti più articoli le indicazioni relative a ciascun articolo sono considerate una dichiarazione separata”.

[9] Sul punto, la Direzione generale dipartimento dogane, con la circolare 18 dicembre 1993, n. 308, aveva già avuto modo di chiarire che il Regolamento CE n. 2454 del 1993 disciplina esclusivamente la procedura di presentazione in dogana, mentre per quanto attiene gli aspetti sanzionatori si deve fare riferimento alle norme contenute nel Tuld. A sostegno di ciò, il Compartimento di Genova, con la successiva nota 20 aprile 1994, n. 4421, aveva precisato che il richiamo alle norme nazionali deve essere inteso “non soltanto per il quantum della pena, ma anche per tutti elementi costitutivi della fattispecie che sono parte integrante della norma sanzionatoria”.

[10] Comm. trib. prov. Milano, sez. III, 10 giugno 2015, n. 5180.

Customs Lawyer presso LCA Studio Legale