Aumentano le contestazioni relative ai dazi antidumping sui prodotti di acciaio e alluminio, soggetti anche a numerose indagini internazionali da parte dell’Organismo antifrode europeo (Olaf). Per le aziende che operano nel settore metallurgico cresce, pertanto, il rischio di contestazioni.

Com’è noto, i dazi antidumping assolvono una funzione non propriamente fiscale, bensì sanzionatoria e di tutela del mercato, mediante un riequilibrio del prezzo del prodotto, in quanto mirano a equiparare il prezzo del bene estero, con un dazio specifico, di importo equivalente al margine di dumping praticato. Tali misure rappresentano lo strumento più utilizzato per contrastare pratiche commerciali in grado di alterare sensibilmente i mercati interni.

Come riportato dalla relazione annuale della Commissione europea sulle attività antidumping del 19 settembre scorso, a fine 2021 erano in vigore 163 misure di difesa commerciale, di cui 109 misure antidumping definitive. Nel corso del 2021 l’UE ha avviato 88 inchieste, di cui 29 inchieste originarie e 59 riesami: lo strumento antidumping rimane, pertanto, il più utilizzato a livello unionale per la tutela del mercato interno.

Nel 2023 l’Unione europea ha adottato nuovi dazi antidumping sui prodotti di acciaio e di alluminio.

In particolare, con il Regolamento UE 2023/99, la Commissione europea ha istituito un dazio antidumping definitivo sulle ruote di alluminio originarie del Marocco, disponendo, inoltre, la riscossione definitiva del dazio provvisorio applicato su tali prodotti (previsto dal Reg. UE 2022/1221). Dal 13 gennaio 2023, le importazioni di ruote di alluminio per veicoli a motore di cui alle voci da 8701 a 8705, con o senza accessori, munite o non munite di pneumatici, classificate alle voci doganali 8708 70 10 e 8708 70 50 (codici Taric: 8708 70 10 15, 8708 70 10 50, 8708 70 50 15 e 8708 70 50 50) originarie del Marocco, sono sottoposte a un dazio antidumping dal 9 al 17,5%.

Anche le ruote di alluminio importate dalla Cina sono ora soggette a dazio antidumping. Con il Reg. UE 2023/112, l’Unione europea ha introdotto, dal 20 gennaio 2023, un dazio antidumping definitivo, pari al 22,3%, sulle importazioni di ruote di alluminio originarie della Repubblica Popolare Cinese. I prodotti interessati dal Regolamento sono quelli destinati ai veicoli a motore di cui alle voci da 8701 a 8705, con o senza accessori, muniti o non muniti di pneumatici, attualmente classificati con i codici 8708 70 10 e 8708 70 50 (codici Taric 8708 70 10 15, 8708 70 10 50, 8708 70 50 15 e 8708 70 50 50).

Istituita, inoltre, una misura antidumping provvisoria sulle importazioni di fusti, recipienti, barili, serbatoi, botti e contenitori simili, riutilizzabili, in acciaio inossidabile, generalmente noti come «fusti riutilizzabili in acciaio inossidabile», aventi corpo di forma pressoché cilindrica e parete di spessore uguale o superiore a 0,5 mm, del tipo utilizzato per materie diverse da gas liquefatti, petrolio greggio e altri prodotti petroliferi, di capacità uguale o superiore a 4,5 litri, indipendentemente dal tipo di finitura, dallo spessore o dal tipo di acciaio inossidabile, anche dotati di componenti aggiuntivi (estrattori, bocchettoni, manici e fondi o qualsiasi altro componente), anche verniciati o rivestiti di altri materiali, attualmente classificati con i codici 7310 10 00 e 7310 29 90 (codici Taric 7310 10 00 10 e 7310 29 90 10), originari della Repubblica popolare cinese. Restano, tuttavia, esclusi bocchettoni, spinoni, attacchi o rubinetti, etichette/ fascette, valvole e altri componenti importati separatamente. Tali prodotti, a partire dal 13 gennaio 2023, sono soggetti a un dazio provvisorio pari al 91%, che troverà applicazione per un periodo di sei mesi (Reg. UE 2023/100).

Aumentano anche le indagini Olaf sulle importazioni di acciaio. Com’è noto, l’Olaf (Ufficio europeo per la lotta antifrode), è un organo della Commissione europea che ha il potere di svolgere, in piena indipendenza, indagini interne o esterne, nei confronti di altri Paesi terzi. L’obiettivo dell’Organismo antifrode europeo è quello di rilevare eventuali casi di frode e corruzione o altre attività illecite, che potrebbero danneggiare gli interessi finanziari dell’Unione. Dal punto di vista doganale, assumono particolare rilievo le indagini sull’origine dei prodotti, volte ad accertare possibili elusioni o evasioni dei dazi antidumping.

Negli ultimi anni l’Olaf ha avviato un’indagine sulle importazioni di tubi di acciaio inossidabile importati dall’India. All’esito di un’inchiesta svolta sulla base di un incrocio di dati relativi alle importazioni ed esportazioni dall’India, l’Olaf è giunta a concludere che i prodotti importati da alcuni fornitori indiani avrebbero avuto origine doganale cinese, con conseguente applicazione di un dazio antidumping pari al 71,9% del valore della merce. Tale contestazione ha colpito numerose aziende importatrici, in Italia e nell’Unione europea.

Recentemente, l’Olaf ha avviato una nuova indagine sui tubi senza saldatura di ferro (derivanti dalla ghisa) o di acciaio (diversi dall’acciaio inossidabile) importati dalla Thailandia. Anche in questo caso, la tesi dell’Ufficio antifrode europeo è che i prodotti realizzati dal fornitore thailandese non avrebbero subito una lavorazione sufficiente a determinare l’origine doganale thailandese. L’indagine dell’Olaf interessa numerose aziende italiane che hanno acquistato tubi di acciaio e ghisa dal fornitore sottoposto a indagine. L’Agenzia delle dogane sta, pertanto, avviando un’attività di accertamento, volta a contestare l’origine dichiarata all’importazione. Anche in questo caso, i prodotti importati avrebbero, secondo l’Ufficio, origine cinese, con conseguente applicazione di un dazio antidumping pari al 54,9% del valore della merce.

Dal punto di vista probatorio, assume fondamentale rilievo il certificato di origine non preferenziale. Tale documento è rilasciato dalle autorità competenti del Paese terzo da cui provengono i prodotti, in genere dalla Camera di Commercio. I certificati di origine sono redatti sulla base del formulario approvato dal legislatore europeo con tutte le indicazioni per l’identificazione della merce cui si riferiscono e sono rilasciati dalle autorità pubbliche competenti, all’esito di una specifica valutazione e prima che i prodotti siano dichiarati per l’esportazione verso il Paese terzo (all. 22-14 e art. 57, par. 3, Reg. 2447/2015, RE).

Per evitare di incorrere in una contestazione doganale è essenziale un’attenta e accurata ricerca dei propri fornitori. Verificare che il produttore rispetti gli standard previsti dalla normativa internazionale e che sia dotato di certificazioni rilasciate da enti certificatori indipendenti che ne attestino la capacità produttiva rappresenta uno strumento indispensabile per gli importatori.

Se l’Agenzia delle Dogane ha “fondati dubbi” sull’esattezza delle informazioni in esso contenute, deve attivare una richiesta di cooperazione amministrativa ai sensi dell’art. 59 RE, chiedendo alle autorità competenti di verificare se l’origine dichiarata sia stata stabilita correttamente. La certificazione, pertanto, dimostra che i prodotti importati hanno subito una lavorazione idonea ad attribuire l’origine non preferenziale.

Nei casi in cui il fornitore abbia regolarmente richiesto, dando piena garanzia dell’origine della merce da esportare, e ottenuto, all’esito positivo delle verifiche previste dalla normativa vigente, regolari certificati di origine della merce dalla Camera di Commercio, la pretesa dell’Agenzia delle Dogane è stata dichiarata illegittima (Corte Giust. trib. 23 novembre 2022, n. 1361; Comm. trib. prov. La Spezia, 24 maggio 2022, nn. 149 e 150; Comm. trib. prov. La Spezia, 29 giugno 2021, n. 130; Comm. trib. prov. Venezia, 7 giugno 2021, nn. 456 e 457). Grava, infatti, sull’Amministrazione doganale l’onere di dimostrare l’invalidità del certificato di origine non preferenziale, come chiaramente espresso dalla fondamentale sentenza della Corte di Giustizia 9 marzo 2006, C-293/04, Beemsterboer Coldstore Services BV.

Come riconosciuto dalla Corte di Cassazione, l’onere probatorio in merito alla distinta origine non può ritenersi assolto nell’ipotesi in cui l’Amministrazione doganale si limiti a richiamare un report Olaf, se tale segnalazione non è supportata da ulteriori elementi che dimostrino l’irregolarità dell’operazione, poiché spetta all’Amministrazione finanziaria, nel quadro dei principi generali che governano l’onere della prova, dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della maggior pretesa tributaria (Cass., sez. V, 31 luglio 2020, n. 16469; Cass., sez. V, ord. 24 luglio 2020, n. 15864; Cass., sez. V, ord. 29 aprile 2020, n. 8337).

In applicazione di tali principi, l’Amministrazione doganale, al fine di contestare l’origine certificata, deve porre in essere una puntuale e completa istruttoria per confutarne la veridicità e per dimostrare la diversa provenienza dei prodotti, individuando, ad esempio, gli stabilimenti dove ipotizza essere avvenuta la produzione o il percorso seguito dai beni prima dell’importazione, attraverso i codici identificativi della merce e dei container che li trasportavano.

Laureato presso l’Università di Parma, ha conseguito un Master in Diritto Tributario e un Master di specializzazione dall’accertamento al processo tributario presso la Scuola di Formazione Ipsoa. È iscritto all’Ordine degli Avvocati di Milano dal 2009. Nel 2011 entra nel team dello Studio Armella & Associati, di cui è socio dal gennaio 2020.

Settori di attività: contenzioso doganale, diritto tributario e commercio internazionale. Esperto di diritto doganale, con particolare riferimento alle tecniche di commercio internazionale, assiste grandi aziende e multinazionali con particolare riferimento alla consulenza e alla pianificazione doganale, all’implementazione delle procedure relative al commercio internazionale e alle certificazioni AEO.

È autore di numerosi articoli e pubblicazioni e collabora con associazioni di categoria in attività seminariali e congressuali.