In base all’articolo 18 del Codice doganale dell’Unione (CDU), il rappresentante doganale può espletare le formalità doganali per conto dei suoi clienti mediante due modalità: la rappresentanza diretta o indiretta. Indipendentemente dal tipo di rappresentanza che gli è stata conferita, il contratto di rappresentanza rimane sostanzialmente un contratto di mandato il quale, nel caso della rappresentanza diretta, integra una procura all’intermediario doganale che lo autorizza ad agire spendendo il nome dell’importatore..

La spendita da parte del rappresentante doganale del nome del committente nell’attività dichiarativa in dogana svolta per conto di quest’ultimo ha dei riflessi pratici in tema di responsabilità per l’adempimento dell’obbligazione doganale. Nel caso del rappresentante diretto, nonostante i suoi estremi figurino sempre all’interno della dichiarazione doganale (nelle caselle 14 e 54 del DAU), tale soggetto non è mai suscettibile di essere qualificato come “dichiarante”, ossia come persona che si considera aver presentato la dichiarazione in dogana (in base all’art. 5, punto 15 CDU) e che ai sensi dell’art. 77.3 CDU è debitrice dell’obbligazione doganale. Il fatto di essersi qualificato come rappresentante diretto all’interno della dichiarazione doganale, determina pertanto la conseguenza che gli effetti giuridici dell’attività dichiarativa da egli svolta si produrranno direttamente all’interno della sfera giuridica del committente che gli ha conferito l’incarico. Quest’ultimo, pertanto, verrà ad assumere le vesti di “dichiarante”, divenendo l’unico soggetto responsabile dell’adempimento dell’obbligazione doganale.

Esiste tuttavia un’eccezione importante che può determinare la chiamata in causa nella responsabilità per l’obbligazione doganale anche del rappresentante diretto. Essendo infatti il rappresentante doganale essenzialmente un mandatario, egli è soggetto all’art. 1710 cod. civ., il quale lo obbliga ad eseguire l’incarico conferitogli con la diligenza del buon padre di famiglia e nell’interesse del committente. La diligenza del buon padre di famiglia è un criterio di commisurazione dell’adempimento che “riassume in sé quel complesso di cure e cautele che ogni debitore deve normalmente impiegare nel soddisfare la propria obbligazione, avuto riguardo alla natura del particolare rapporto e a tutte le circostanze di fatto che concorrono a determinarlo”, come precisato nella relazione accompagnatoria al codice civile. Tale complesso di cure e cautele si giustifica innanzitutto per la natura onerosa che solitamente connota la prestazione del mandatario (tanto è vero che lo stesso art. 1710 cod.civ. precisa che qualora il mandato é gratuito, la responsabilità per colpa del mandatario va valutata con minor rigore), ma riferito al caso specifico del rappresentante doganale si traduce nell’obbligo di assumere un atteggiamento vigile nei confronti dell’operazione affidatagli, tale da eliminare qualsiasi errore evitabile durante l’effettuazione della stessa che possa determinare una mancata riscossione totale o parziale dei dazi all’importazione da parte delle dogane. Di conseguenza, tale soggetto dovrà operare con la necessaria cautela nell’adempimento delle formalità dichiarative per conto dei suoi clienti, valutando sia l’affidabilità che l’adeguatezza delle istruzioni e della documentazione fornitegli rispetto alle operazioni che deve effettuare. Ciò del resto è conforme alla dinamica del rapporto di rappresentanza in dogana, dato che il motivo per cui, il più delle volte, l’operatore commerciale si rivolge a tali intermediari è proprio quello di interporre una figura fiduciaria capace e particolarmente esperta nell’assolvimento delle formalità dichiarative in dogana che gli consenta di evitare errori e inesattezze in grado di determinare l’applicazione di sanzioni amministrative od anche penali da parte dell’amministrazione. La logica che soggiace a tale concetto è che il rappresentante doganale, in quanto mandatario, non va considerato un mero esecutore delle istruzioni fornite dal committente, ma come figura alle cui competenza e/o esperienza quest’ultimo si rimette per lo svolgimento dell’attività delegata. Ciò si evince dalla lettura dell’art. 1711 ult. comma, cod. civ., il quale attribuisce al mandatario un margine di discrezionalità nell’esecuzione dell’incarico conferitogli, che prevede addirittura la facoltà di eseguirlo discostandosi dalle istruzioni ricevute, sebbene tale possibilità venga circoscritta al solo caso in cui si sono verificate circostanze ignote al mandante e che per motivi di urgenza non potevano essergli comunicate in tempo. Questa disposizione suggerisce dunque l’opportunità che il rappresentante doganale, in quanto mandatario, informi sempre il proprio committente di ogni discrepanza rilevata tra le istruzioni fornitegli e la documentazione ricevuta che possa dare luogo ad una incorrettezza dichiarativa, salvo tali discrepanze non possano essergli comunicate in tempo, nel qual caso egli dovrà agire in base al proprio diligente giudizio, “forzando” le istruzioni nell’interesse del corretto espletamento dell’attività dichiarativa.

Nel caso della rappresentanza indiretta, viceversa, il rappresentante doganale opera senza la spendita del nome del suo cliente, sebbene agendo pur sempre per conto e nell’interesse di quest’ultimo. Questa circostanza lo rende di conseguenza qualificabile agli occhi della dogana come la persona che ha presentato la dichiarazione in dogana: il dichiarante, appunto, in quanto tale obbligato principale dell’obbligazione doganale. L’art. 5, punto 15 del CDU precisa infatti che il dichiarante è “la persona che presenta una dichiarazione in dogana… a nome proprio”. Ora, le sole figure che possono presentare una dichiarazione “a nome proprio” sono l’importatore che trasmette la dichiarazione alle dogane senza avvalersi di alcun intermediario, o l’intermediario che presenta tale dichiarazione nel proprio nome, ossia a titolo di rappresentanza indiretta. Quest’ultimo soggetto, non agendo a nome del suo committente (come invece avviene nel caso del rappresentante diretto), vedrà pertanto ricadere le conseguenze della sua attività direttamente all’interno della propria sfera giuridica, divenendo obbligato principale dell’obbligazione doganale. A eliminare ogni dubbio è l’ultima parte dell’art. 5, punto 15 CDU, la quale precisa che in aggiunta all’importatore che presenta direttamente alle dogane la propria dichiarazione, va considerata dichiarante anche la persona “in nome della quale” la presentazione della dichiarazione doganale è effettuata.

Se dunque, come abbiamo osservato più sopra, il rappresentante diretto spende sempre il nome del committente nell’attività dichiarativa compiuta, in tale forma di rappresentanza il dichiarante rimarrà sempre il committente, in quanto persona “in nome della quale” il rappresentante diretto ha agito.

Al contrario, nel caso della rappresentanza indiretta, il fatto che l’intermediario effettui la dichiarazione a suo nome proprio (non avendo ricevuto la procura del cliente alla spendita del nome di quest’ultimo), comporta che sia la persona che esegue materialmente l’attività dichiarativa e quella “in nome della quale” questa è effettuata vengono a coincidere in un unico soggetto. Con la conseguenza che le dogane potranno rivolgersi al rappresentante indiretto come obbligato principale per il pagamento dei dazi doganali, visto che egli è dichiarante e che ai sensi dell’art. 77.3 CDU il debitore dell’obbligazione doganale è il dichiarante. L’art. 77, paragrafo 3 CDU, nell’ultimo capoverso, aggiunge che la parte che ha fornito al rappresentante i dati che hanno portato alla stesura di una dichiarazione errata e che era, o avrebbe dovuto ragionevolmente essere, a conoscenza della loro erroneità, entra in causa nella responsabilità per l’adempimento dell’obbligazione doganale, diventando “anch’essa” debitrice. Tale disposizione, pur non facendo riferimento ad un tipo specifico di rappresentanza, deve intendersi riferita unicamente alla rappresentanza indiretta. Se infatti nella rappresentanza diretta, come abbiamo visto, il rappresentante non è mai dichiarante, e quindi non risponde dell’obbligazione doganale (salvo, ai sensi del diritto interno, abbia mancato di esercitare la necessaria diligenza di cui all’’art. 1710 cod. civ.), nel caso della rappresentanza indiretta, tale figura finisce con l’identificarsi con quella del dichiarante. La possibilità che alla sua responsabilità venga ad aggiungersi quella del committente (che secondo la locuzione utilizzata nell’art. 77.3 CDU diviene parte “anch’essa” – ossia in aggiunta al dichiarante – debitrice dell’obbligazione doganale) scaturisce unicamente dal fatto che tale soggetto ha fornito dati errati al rappresentante per la stesura della dichiarazione. Inoltre, la norma precisa che il fatto che il committente lamenti di non aver avuto conoscenza di tale erroneità, non funge da esimente della sua responsabilità se questi avrebbe potuto avvedersi della stessa utilizzando un astratto criterio di ragionevolezza che spetta solo al giudice di merito di valutare. In sostanza, l’onere della prova appare invertito nelle due ipotesi: nella rappresentanza diretta è il rappresentante, al fine di sottrarsi alla responsabilità per il pagamento dei dazi sull’operazione di importazione, a dover provare di aver posto in atto uno sforzo di diligenza astrattamente idoneo ad evitare qualsiasi colpa nella produzione dell’errore dichiarativo, nonostante questo si sia prodotto lo stesso. Nella rappresentanza indiretta, è invece il committente che – a seguito dell’azione di rivalsa esercitata dal rappresentante indiretto/dichiarante – deve provare che l‘erroneità dei dati forniti per la stesura della dichiarazione è stata incolpevole, ossia non dolosa e tale non poter essere “ragionevolmente” riscontrata ponendo in atto la necessaria diligenza. Una disposizione questa di non facile applicazione nella prassi, dato che il committente, in quanto proprietario delle merci, dovrebbe presumibilmente essere sempre a conoscenza dei dati esatti da dichiarare.

La scelta della modalità di rappresentanza assume particolare rilevanza con riferimento a quei casi in cui l’importatore si comporta in maniera illecita facendo perdere le proprie tracce (es. chiudendo la propria attività e sparendo dalla circolazione) o divenendo insolvente (ad es., a causa dell’apertura di una procedura fallimentare nei suoi confronti). In tali ipotesi, le dogane vengono di fatto a trovarsi come unico referente il rappresentante doganale, essendo il committente venuto meno o caduto in stato di dissesto finanziario. Se tuttavia il rappresentante doganale ha agito in rappresentanza diretta, non avendo assunto le vesti di dichiarante, la dogana non potrà richiedergli il pagamento dei dazi. Tuttavia l’amministrazione potrà sempre contestargli il fatto di aver omesso di esercitare una vigilanza diligente sul committente al fine di saggiare l’affidabilità e la genuinità dell’operazione affidatagli. In questo senso, esiste una tendenza oramai in atto da tempo a livello internazionale a considerare gli spedizionieri doganali responsabili per le operazioni doganali effettuate per conto di importatori falsi o agenti come prestanome di organizzazioni criminali. Già affermatasi negli Stati Uniti, tale tendenza è stata recentemente recepita dalla sezione di Bombay del Customs, Excise and Service Tax Appellate Tribunal indiano, il CESTAT, che nella decisione A/85489 del 20 maggio 2022 ha affermato che qualora lo spedizioniere doganale ometta di condurre una due diligence adeguata sui suoi clienti in grado da scongiurare il rischio che falsi importatori operino sul mercato, tale negligenza comporta la revoca della licenza. La motivazione addotta dalla Corte è che la ragion d’essere della professione di spedizioniere doganale non è solo quella di facilitare l’espletamento delle operazioni di commercio estero, ma anche quella di offrire alle dogane un intermediario in grado di salvaguardarne gli interessi, a fronte di un bacino di imprese che non sempre operano correttamente e con scrupolo.

Diverso è il caso del rappresentante indiretto, che si vedrà richiedere il pagamento dei dazi doganali da parte dell’amministrazione in virtù del suo legame di solidarietà con il committente sancito dall’art. 77.3 CDU. Per quanto riguarda l’IVA all’importazione, tale responsabilità invece non è affatto scontata. Una recente decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea (sentenza del 12 maggio 2022, pronunciata nella causa C-714/20), chiarisce che la solidarietà del rappresentante indiretto con il committente in materia di IVA all’importazione scaturisce solo se espressamente prevista dalle norme interne dello Stato. La vicenda esaminata, avente ad oggetto una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Commissione tributaria provinciale di Venezia, riguardava il caso un rappresentante doganale italiano che aveva agito in qualità di rappresentante indiretto di alcuni importatori (uno dei quali successivamente assoggettato a procedura fallimentare), che si era visto recapitare due avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli in rettifica di diverse dichiarazioni di importazione facenti capo ai suddetti importatori. Secondo la tesi dell’Agenzia, l’intermediario in questione, avendo agito in rappresentanza indiretta, andava considerato responsabile in solido con gli importatori – oltre che del pagamento dei dazi doganali – anche dell’IVA all’importazione. Di diverso parere invece era la difesa del rappresentante doganale, la quale sosteneva che non essendovi nella normativa doganale europea alcuna norma che prevede tale estensione di responsabilità con riferimento all’IVA all’importazione, occorreva ricercare l’esistenza, nell’ordinamento giuridico italiano, di eventuali disposizioni che prevedevano espressamente la responsabilità del rappresentante indiretto anche con riferimento al pagamento dell’IVA all’importazione. Disposizioni che a suo avviso non esistono. A tale proposito veniva citato l’art. 201 della direttiva 2006/112/CE sul sistema comune IVA, la quale attribuisce agli Stati membri il compito di designare o riconoscere “la persona o le persone” debitrici dell’IVA all’importazione.

La Corte di giustizia, nell’accogliere la tesi del rappresentante indiretto, ha rilanciato la palla al giudice del rinvio, stabilendo che spetta a quest’ultimo, e non ad essa, il compito di accertare se tale responsabilità è prevista dall’ordinamento italiano, non potendo questa essere dedotta dall’esame della normativa doganale europea. Di conseguenza, la responsabilità solidale del rappresentante doganale indiretto con l’importatore per il pagamento dell’IVA all’importazione può variare da Stato membro a Stato membro, in quanto ciascun paese dell’UE è libero di stabilirla o meno. A fronte del vacuum legis del diritto doganale dell’UE, va dunque condotta una ricerca negli ordinamenti dei singoli Stati membri, mediante una ricostruzione sistematica del loro diritto interno, sull’eventuale esistenza di disposizioni integrative a livello nazionale inequivocabili, ossia sufficientemente chiare e precise, che stabiliscono tale legame di solidarietà anche in caso di IVA all’importazione.

Direttore, è esperto in regolamentazione doganale e del commercio estero con più di 20 anni di esperienza nei settori della facilitazione del commercio, modernizzazione doganale, gestione integrata delle frontiere, commercio internazionale e promozione delle esportazioni. Autore di molte pubblicazioni in materia doganale