In linea generale non si pongono particolari problemi nell’individuazione delle competenze funzionali delle Amministrazioni finanziarie.

Per esempio, l’art. 62 del D.Lgs. 300/1999 attribuisce all’Agenzia delle Entrate il potere di accertare i tributi erariali quali l’Irpef e l’Ires.

In materia doganale, l’indagine deve necessariamente partire dalla disciplina unionale.

L’art. 5 del Codice Doganale dell’Unione (CDU) attribuisce alle autorità doganali la competenza ad accertare e riscuotere i dazi doganali.

Tuttavia, nell’ambito del nostro ordinamento giuridico, l’art. 63 del D.Lgs. 300/1999 prevede che l’Agenzia delle Dogane è competente ad accertare e riscuotere non solo i dazi doganali, ma i diritti doganali e della fiscalità interna negli scambi internazionali nonché le accise ([1]).

Inoltre, l’art. 34 del Dpr 43/1973 specifica che l’Agenzia delle Dogane è competente nella riscossione dei “diritti doganali” ([2]) che ricomprendono anche i “diritti di confine” ([3]) e quindi vengono fatti rientrare anche l’Iva all’importazione e le accise ([4]).

Infine, l’art. 50 bis, c. 5 del D.L. 331/1993 prevede, specificatamente per i depositi Iva ([5]), che il loro controllo è demandato all’ufficio doganale o alla Guardia di finanza ovvero, per quanto attiene l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di deposito Iva, all’ufficio dell’Agenzia delle Entrate.

Sulla base della normativa suesposta appare pacifico che l’Agenzia delle Dogane sia munita della competenza funzionale nell’accertamento e riscossione dei dazi doganali e delle accise.

Diversamente, per quanto attiene l’Iva all’importazione, si pone il problema di distinguere i casi in cui è competente l’Agenzia delle Dogane o l’Agenzia delle Entrate.

In questi ultimi anni la Suprema Corte si è pronunciata con diverse sentenze in merito alla sussistenza o meno della competenza funzionale dell’Agenzia delle entrate a verificare il corretto adempimento degli obblighi di assolvimento dell’Iva su merci pervenute nel territorio nazionale da Paesi extra UE e collocate, dopo la immissione in libera pratica e senza il contestuale versamento dell’Iva all’importazione, presso un deposito fiscale dal quale vengono successivamente estratte con assolvimento dell’Iva con la modalità del reverse charge.

La Corte di Cassazione, con due recenti sentenze, la n. 34223 del 15 novembre 2021 e la n. 21692 del 29 luglio 2021, vertenti sull’indebito utilizzo virtuale dei depositi Iva ([6]), hanno ritenuto di dare continuità alle precedenti pronunce ([7]) con le quali è stato stabilito che:

  1. l’Agenzia delle Dogane è competente ad accertare l’Iva all’importazione quanto l’immissione in libera pratica e l’immissione in consumo coincidono, come nel caso dell’Iva all’importazione riscossa nel momento dell’ingresso delle merci in dogana;
  2. l’Agenzia delle Entrate è competente ad accertare l’Iva all’importazione quando l’immissione in libera pratica precede l’immissione in consumo.

Quest’ultima circostanza si verifica, per esempio, quando viene assolta l’Iva all’atto dell’estrazione delle merci dal deposito Iva mediante reverse charge.

Difatti, l’estrazione delle merci dal deposito Iva avviene in un momento successivo e autonomo rispetto all’assolvimento dell’obbligazione doganale.

Inoltre, è stato osservato come la riscossione dell’Iva al di fuori degli spazi doganali non afferisce alla “fiscalità interna negli scambi internazionali” prevista dall’art. 63, D.Lgs. 300/1999 ([8]).

Tra l’altro, è bene precisarlo, la Cassazione ha specificato che la competenza ad accertare la regolarità dell’operazione e il corretto assolvimento dell’Iva spetta all’Agenzia delle Entrate ogniqualvolta venga estratta della merce dal deposito Iva, a prescindere dal fatto che ciò sia venuto legittimamente o in modo virtuale e fraudolento.

Per concludere, da un punto di vista operativo, ogniqualvolta venga emesso un atto di revisione dell’accertamento da parte dell’Agenzia delle Dogane o un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate in materia di Iva all’importazione, è bene verificare se l’atto impositivo sia stato emesso dall’Amministrazione finanziaria munita della competenza funzionale.

Nel caso in cui sussista il difetto di competenza funzionale, per esempio perché l’Agenzia delle Dogane ha emesso un atto di revisione dell’accertamento in relazione a dei beni estratti da un deposito Iva, il difensore tributario del soggetto destinatario dell’atto potrà presentare ricorso richiedendone l’annullamento.

In questo esempio, se i giudici tributari dovessero condividere l’orientamento giurisprudenziale summenzionato, dovrebbero accogliere il ricorso annullando l’atto di revisione dell’accertamento.

[1] V. BELLANTE P., Il sistema doganale, Giappichelli,2020, p. 208 per quanto attiene l’articolazione delle strutture dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli.

[2] In dottrina, per quanto attiene i diritti doganali e i diritti di confine, si v. CERIONI F., Gli elementi caratteristici dell’obbligazione doganale, in SCUFFI M., ALBENZIO G., MICCINESI M., Diritto doganale, delle accise e dei tributi ambientali, Ipsoa, 2014, p. 180.

[3] È risaputo che in seno alla giurisprudenza di legittimità vi sono due orientamenti contrastanti per quanto attiene l’equiparazione dell’Iva all’importazione a un diritto di confine. Sebbene non si possa affrontare il tema in questa sede, si ricorda che detta distinzione assume un importante rilievo in materia penale. Difatti, sostenere che l’Iva all’importazione sia un diritto di confine comporta che l’evasione di questo tributo possa configurare il reato di contrabbando ai sensi dell’art. 292 del Dpr 43/1973. Sul punto si veda la Cass. pen. 22.6.2015 n. 26202 proprio in relazione a un uso ritenuto fraudolento del deposito Iva.

Comunque, recentemente la Cassazione ha più volte affermato che l’Iva all’importazione appartiene al novero dei tributi interni (v. Cass. 29 luglio 2021, n. 21692; Cass., sent. 18501/2017).

[4] Per quanto riguarda la distinzione tra immissione in libera pratica e in consumo si v. ARMELLA S., Diritto doganale, Egea, 2015, p. 40.

[5] Ai sensi dell’art. 50 bis del D.L. 331/1993 i depositi Iva, si ricorda, “sono dei luoghi fisici situati nel territorio dello Stato italiano che consentono, mediante l’introduzione della merce negli stessi, che, per determinate operazioni, l’Iva, ove dovuta, sia assolta dall’acquirente finale solo al momento dell’estrazione dei beni, con il meccanismo dell’inversione contabile” (v. Cass. n. 16459 del 5 agosto 2016). Sull’argomento si veda anche Cass. 11 agosto 2020, n. 16900 e Cass., 20 dicembre 2017 n. 3028.

In materia di depositi fiscali si veda, in questa rivista, PICCO V. – ZUNINO C., Depositi Iva estrazione a pagamento, in Il Doganalista, n. 6/2016.

[6] Cfr, sull’argomento, MIELE D., Novità sui depositi Iva: virtuale no!, in Bollettino tributario d’informazioni, n. 17/2015.

[7] Cfr, tra le tante, Cass., sent. 24 settembre 2019, n. 23674; Cass., sent. 5 agosto 2016, n. 16459.

[8] V. Cass., sentenza n. 16464 del 5 agosto 2016 la quale ha affermato che “spettano alla competenza dell’Agenzia delle entrate e non già a quella dell’Agenzia delle dogane l’accertamento e la riscossione dell’Iv intracomunitaria al di fuori degli spazi doganali, in particolare dell’Iva da assolvere all’atto dell’estrazione della merce dai depositi fiscali iva mediante il meccanismo dell’inversione contabile”.

Dottore commercialista specializzato in contenzioso doganale e tributario. Ph.D. Tax Litigation - Associate RQR & Partners