La digitalizzazione è il processo di conversione che, applicato alla misurazione di un fenomeno fisico, ne determina il passaggio dal campo dei valori continui a quello dei valori discreti. Tale processo viene oggi comunemente sintetizzato nei termini di passaggio dall’analogico al digitale nell’audio, video, immagini e testo.

La misurazione della temperatura tramite un termometro o la rappresentazione di un suono tramite il tracciamento di onde sono esempi di grandezze di tipo analogico, in quanto i valori che possono essere assunti sono infiniti. L’operazione comporta una perdita di informazioni, che però in alcuni casi è accettabile in quanto si guadagna in semplicità di rappresentazione o in altri casi non è comunque percepita.

Nel campo dell’informatica e dell’elettronica, con digitalizzazione si intende il processo di trasformazione di un’immagine, di un suono, di un documento in un formato digitale, interpretabile da un computer, dove per formato digitale si intende un codice binario in cui tutto è rappresentato da combinazioni di zero o uno, quindi da stati del tipo acceso/spento. Un disco in vinile su cui è registrata una canzone rappresenta un esempio di riproduzione analogica di un suono; la stessa canzone riprodotta tramite un computer ne rappresenta il formato digitale.

Nel campo delle telecomunicazioni invece il termine indica il passaggio dalle tecnologie a trasmissione analogica a quelle a trasmissione digitale.

Storia

L’obiettivo del fondo, identificato da alcune avanguardie della ricerca fin dagli anni trenta del secolo trascorso, è quello di riorganizzare la conoscenza in modo sempre più efficiente, semplificando la selezione delle notizie in un mondo sommerso dalle informazioni.

In una estrema opera di semplificazione del processo, si potrebbe affermare che quell’obiettivo utopistico ha generato gli ipertesti, il PC, Internet.

Si è dovuto attendere l’invenzione del chip, dei primi computer e della rete Internet perché il bit diventasse davvero una rivoluzione. Rivoluzione spinta e alimentata dagli interessi congiunti dell’industria militare (negli anni cinquanta) e dei mondializzati commerci contemporanei.

Il bit è stato allo stesso tempo causa e conseguenza del fenomeno della mondializzazione. Da una parte il progresso tecnologico ha dischiuso potenzialità impensabili sia dal punto di vista dell’accrescersi dell’intelligenza delle macchine, sia dal punto di vista della trasformazione, elaborazione e trasmissione delle informazioni.

Dall’altra le esigenze dei governi e delle grandi aziende hanno liberato fondi ingenti per la ricerca e la sperimentazione di queste tecnologie.

Fino a ieri erano i militari a finanziare le ricerche di punta: caschi per la realtà virtuale o sistemi avanzati per l’addestramento dei piloti.

Oggi è cambiato tutto: è l’industria dell’entertainment a finanziare i settori più avanzati. Le ragioni di questa tendenza sono evidenti.

L’industria del divertimento può sperimentare in tempi rapidi sempre nuove applicazioni su una platea di giovanissimi, che sono certamente i più adatti ad apprendere tecniche avanzate. I videogiochi diventano così uno strumento di sperimentazione di massa di tecniche di interazione uomo-macchina, che poi possono essere riutilizzate in altri settori: dall’istruzione a distanza al commercio elettronico.

La rivoluzione delle comunicazioni segue quella industriale e modifica il corpo stesso del suo essere: negli anni ottanta e novanta, si assiste così al passaggio da un’interfaccia statica ad un’interfaccia multimediale dell’informazione.

Il sistema mediale ingloba e subisce, al tempo stesso, le nuove acquisizioni digitali, ridefinendo sé stesso in virtù delle incredibili potenzialità tecniche dischiuse. In effetti, quelli introdotti dalle ICT’s, possono essere considerati “nuovi” media: fatta eccezione per Internet, si è in presenza di un’evoluzione e di una ridefinizione dei vecchi mezzi di comunicazione, in parte digitalizzati.

I media “primitivi” come la stampa, la radio, la TV potevano solo “essere visti”. Il broadcasting non consente interazione con i contenuti né tanto meno con la loro fonte, quindi può solo offrire una fruizione passiva dell’atto comunicativo. Resta impossibile produrre informazioni, essere all’interno del media, interagire, essere visti.

L’architettura logico-tecnica many to many di Internet, consente all’utente di avere pieno controllo sulla comunicazione telematica, trasformandolo da spettatore a produttore di informazione. Internet viene incontro al bisogno di visibilità delle persone perché conferisce ad essi la piena autonomia della fruizione del mezzo stesso.

Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione stanno modificando radicalmente anche il rapporto di interazione tra producer e consumer. Esse non si configurano più solo come strumenti per rendere più efficienti attività definite e quasi immutabili – le procedure, i flussi di lavoro – ma rappresentano prima di tutto delle opportunità, dei fattori abilitanti che rendono possibili il cambiamento dei tradizionali modi di produrre, di distribuire, di organizzarsi, di scambiare e condividere il sapere, di cooperare: ciò che Levy ha chiamato intelligenza collettiva nel 1996.

La cultura della comunicazione, sconvolta dall’apparire di Internet, si ristruttura sulla base di tre elementi fondamentali che informano l’agire sociale e la trasmissione della conoscenza: multimedialità, ipertestualità e interattività.

Il link diviene la metafora del nostro quotidiano rapporto con la realtà. L’avvento delle ICT’s fa registrare fenomeni di cambiamento nei processi comunicativi e nell’industria culturale.

La digitalizzazione si è imposta come sistema dominante perché da un lato rende più economica la produzione industriale delle informazioni e, allo stesso tempo, espande i mercati e i confini della loro fruizione.

L’era analogica era caratterizzata da spazi confinati all’interno dei limiti imposti dai singoli mezzi di comunicazione e dai costi di produzione e di trasmissione. Quella digitale scopre i mercati globali e li raggiunge attraverso percorsi rizomatici.

Le vecchie agenzie dell’informazione si trasformano anche in versioni digitali, entrando per di più in competizione con il consumer della Rete. Si scontrano globalizzazione e segmentazione estrema dell’informazione: le reti satellitari consentono una fruizione planetaria dello stesso segnale trasmesso, ma se guardiamo ad esempio alla TV digitale ci si rende subito conto dell’estrema tematizzazione dei contenuti veicolati: continuità e discontinuità, unificazione e targettizzazione, comunità virtuali e pay-per-view isolazionista.

Come afferma Thompson (1998), pur non riferendosi esplicitamente alle nuove tecnologie, si è in presenza di un duplice fenomeno: da una parte, si assiste ad una globalizzazione delle telecomunicazioni, dall’altra ad una localizzazione ed individualizzazione della fruizione dei contenuti. Solo la discontinuità del digitale rende possibile la creazione di mondi collegati: la continuità della cultura contemporanea nasce dalla trasmissione discreta delle sequenze informatiche binarie. Con la nascita delle grandi rete di fibre ottiche l’informazione di massa diventa il suo opposto, cioè informazione personalizzata.

L’estensione della interattività e l’unificazione del medium (il pc-tv e la tv-pc), ovvero ciò che da più parti viene definita come “convergenza”, completano il quadro e insieme fanno saltare in aria il tradizionale sistema dei media. All’interno della società della connessione, l’uomo digitale riesce a far convivere codici e linguaggi diversi all’interno della stessa macchina. Sempre la stessa, ma di volta in volta capace di implementare funzioni e utilità differenti. L’etica della discontinuità viene a configurarsi come causa e conseguenza del linkage quotidiano che l’uomo ha adottato come suo schema di pensiero. La traduzione di questa nuova struttura cognitiva è la convergenza di informazioni diverse sullo stesso supporto nonché l’alimentazione di diversi supporti attraverso le medesime informazioni. E così ritroviamo il frigorifero nel computer e quest’ultimo nella lavatrice, così come, l’industria del telefono in quella delle canzonette: il sogno fatto carne di Negroponte.

Stiamo infatti già assistendo all’estensione della interattività e all’unificazione del medium: processi che completano il quadro e insieme ridefiniscono il tradizionale sistema dei media e delle reciproche relazioni che la storia delle comunicazioni ha ciclicamente attraversato.

Siamo dunque di fronte a un vero e proprio rimescolamento, molto più rilevante in quanto investe simultaneamente molti aspetti: le forme di comunicazione, i linguaggi, la mentalità corrente. Un unico mezzo per infinite funzioni, il concetto di multimedialità o meglio ipermedialità si estende anche agli oggetti fisici, non più solo al diverso approccio verso l’organizzazione dei contenuti.

Con le modalità di trasmissione analogiche, diversi tipi d’informazione non potevano viaggiare insieme sullo stesso supporto ed essere decodificati dal medesimo terminale. Il segnale radio di un televisore era infatti totalmente diverso da quello di un telefono mobile e, per essere tradotto in immagini, aveva bisogno di circuiti dedicati assenti in un telefono.

L’adozione di una rappresentazione digitale in luogo di quella analogica, nel video, nella musica, nella stampa e nelle telecomunicazioni in generale, potenzialmente trasforma qualunque forma di attività umana di tipo simbolico in software, e cioè in istruzioni modificabili per descrivere e controllare il comportamento di una macchina.

L’utente di fine secolo, la cosiddetta generazione Napster, trova la cifra della propria formazione culturale e della propria interazione con la realtà circostante nell’interfaccia e nell’ipertesto.

Si tratta di due elementi che hanno cambiato radicalmente il nostro modo di rapportarci all’informazione generando un coinvolgimento continuo da parte dello spettatore, tanto da rendere questa parola desueta.

Chi utilizza Internet è un utente che modifica l’enorme flusso d’informazione, secondo le sue esigenze, per il semplice fatto che se le costruisce attingendo da un archivio comune e spesso gratuito.

Questo è il risultato dell’incontro tra arte e scienza, della formazione di una nuova cultura che ha carattere popolare e si basa sulle conseguenze di una tecnologia che ha invaso il nostro ambiente culturale e promuove un processo di sviluppo automatico sostenuto dalle stesse innovazioni tecnologiche e da un permanente desiderio di cambiamento.

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