Gli accordi preferenziali (free trade agreement) sono parte fondamentale del commercio internazionale, l’Unione Europea da molti anni è impegnata nello sviluppo di accordi che, con il passare del tempo, hanno raggiunto obiettivi sempre più ampi, dallo sviluppo economico a risvolti sociali e politici.

Oltre alla UE, che attualmente ha concluso oltre 40 Free Trade Agreement coinvolgento più di 90 Stati nel mondo, dobbiamo ricordare anche gli accordi ASEAN che coinvolgono i paesi emergenti dell’area del pacifico oltre a Giappone, Cina ed India oppure le varie esperienze africane che hanno contribuito allo sviluppo in particolare dell’area del Sud Africa.

Da questo risulta evidente che lo strumento è apprezzato ed è valido sia in termini economici sia in termini di sicurezza commerciale e sociale, oltre alle preferenze tariffarie infatti sempre più spesso gli accordi prevedono misure volte a garantire al sicurezza dei prodotti, regolare le procedure autorizzative ed eliminare le barriere tariffarie e normative, rafforzare la protezione della proprietà intellettuale.

Le esperienze dei vari Stati (o gruppi di Stati) sono diverse e possiamo dire che la necessità di concludere questo genere di accordi è nata, in particolare all’inizio degli anni 90, per regolare e trarre vantaggio dal crescente sviluppo del traffico internazionale di merci e servizi.

Attualmente sono in vigore nel mondo 355 Free trade agreements, suddivisi come da grafico sotto riportato [1] in particolare nell’area Europea e dell’Est Asia.

[1] WTO | Regional trade agreements – WTO Regional Trade Agreements Database.

IL PRESENTE: GIAPPONE

L’accordo JEFTA è stato uno tra i primi di “ultima generazione”: tra le principali novità si annoveravano la prova di origine solo con dichiarazione in fattura e registrazione nell’apposito elenco REX. Un sistema di dematerializzazione dei documenti, lanciato già con l’accordo Corea del Sud e con gli accordi unilaterali prima e bilaterali poi con i Paesi SPG.

L’auspicio delle parti, quando nel 2019 l’accordo è entrato in vigore, era quello di ridurre le alte barriere tariffarie e non, specialmente dei prodotti in importazione dall’Unione verso il Giappone.

Questo avrebbe portato ad un incremento della produzione dell’UE di circa l’1%.

Secondo i dati 2021, gli scambi tra i due Paesi sono in crescita, confermando un trend ormai decennale, mentre secondo uno studio della Commissione Europea[1] l’aumento previsto di esportazioni dall’Unione al Giappone e viceversa entro il 2035 sarà rispettivamente del 13.2% e del 23.5%: una grande opportunità di business per le imprese residenti nelle parti coinvolte. I settori maggiormente incentivati dall’accordo saranno il tessile, con un aumento previsto degli scambi del 280% ed il settore lattiero caseario, anche in questo caso con un aumento previsto di circa il 280%.

Grande impatto anche nei confronti del settore dei servizi, per il quale è previsto un incremento economico di 13 miliardi di euro.

IL FUTURO: NUOVA ZELANDA

Cosa ci riserva il futuro? Nuovi accordi, indubbiamente. Esistono ancora “grandi esclusi” nello scenario internazionale: Stati Uniti, Australia, Cina, Brasile. Con alcuni di questi Paesi esiste la volontà politica di concludere accordi che incentivino gli scambi commerciali. Con altri invece la strada è ancora lunga.

Tra i prossimi accordi che entreranno in vigore si trova quello con la Nuova Zelanda. Attualmente il traffico commerciale con l’Unione Europea vale circa 7.8 miliardi di euro, circa il 3% del PIL neozelandese.

L’auspicio delle parti è di incrementare ancora di più questa percentuale, facendo risparmiare alle imprese circa 140 milioni di euro di diritti doganali all’importazione.

In conclusione, gli accordi di libero scambio rappresentano uno strumento efficace di incentivi al commercio internazionale, inteso in termini di esportazioni di beni, prestazioni di servizi ed investimenti, nonché promozione e tutela dei territori.

Sarebbe auspicabile, così come suggerito dal World Trade Organization, strutturare gli accordi in modo da armonizzare le regole di origine a livello internazionale e limitare dunque il fenomeno c.d. “spaghetti bowl”.

[1] Fonte: Commissione Europea: file:///C:/Users/e.barbero/Downloads/THE%20ECONOMIC%20IMPACT%20OF%20THE%20EU-JAPAN%20ECONOMIC%20PARTNERSHIP%20AGREEMENT%20(EPA).pdf