Tratto da “La Dogana nella Storia” Profili storici di politica doganale e commerciale in Europa e nel mondo.

Dazio e dogana sono termini spesso usati ancora oggi indifferentemente.

Per tutto il Medioevo e per gran parte dell’età moderna i due istituti si sono confusi e per lo più identificati.

Mentre il termine dazio aveva un significato vastissimo, trovandosi in molti casi usato per designare ogni forma d’imposta, sia diretta che indiretta, il termine dogana, invece, di uso assai più recente, ha avuto dapprima un significato assai più ristretto, che veniva a poco a poco allargandosi, nell’età comunale, fino ad assumere il significato attuale.

D’origine araba (da diwan “libro dei conti, luogo dove stanno gli impiegati che tengono i registri delle finanze”), il nome dogana – dohana – s’incontra dapprima nei paesi dell’occidente soggetti alla dominazione musulmana: Spagna, Portogallo e Sicilia, e più tardi, intorno al sec. XII, nelle città marittime, che avevano avuto più frequenti rapporti col mondo arabo; ed è usato nel senso di fondaco o magazzino, nel quale i mercanti forestieri dovevano depositare le merci importate e dove, alla loro uscita, si pagavano i diritti fiscali gravanti sulle merci stesse.

Il nuovo nome viene così ad identificarsi con l’istituto dei “vectigalia”, che gravavano sul commercio fin dall’età romana e che non erano scomparsi con la caduta dell’Impero. Un altro termine essenziale nella terminologia doganale: ”tariffa”, è di origine araba, essa deriva da Tarifa – Gibilterra – località covo di pirati che imponevano tributi alle navi che transitavano per lo stretto.

Le molteplici imposte, che nell’Alto Medioevo e nell’età comunale colpivano il commercio, si possono raggruppare in due categorie: imposte sul mercato ed imposte di transito. Le prime hanno in prevalenza il carattere di imposta sugli scambi (curatura, siliquaticum, foraticum, plateaticum), di tasse per l’uso delle “stationes”, dei pesi e delle misure pubbliche; le se- conde, designate più spesso col nome di “telonei” e riscosse alle porte – portaticum – agli approdi sui fiumi, sui laghi o sul mare – ripaticum – a un ponte – pontaticum – possono avere talvolta il carattere della tassa per un servizio pubblico, ma più spesso quello di una vera e propria imposta sul transito delle merci, dei carri, delle navi – tractattica, pedatica…

Tali imposte, d’origine romana, si mantennero anche nel periodo del Regno Franco e furono introdotte anche in quelle regioni che non avevano fatto parte dell’impero romano.

Dal VI secolo la loro percezione fu affidata ai conti – comites – ed ai loro telonari. La documentazione non dice nulla sull’entità delle tassazioni, è probabile che essa non fosse uniforme. Il pedaggio regio prelevato al tempo di Carlo Magno al passaggio delle Alpi era del 10%, e si trattava di una tariffa eccezionalmente elevata. Tali imposte erano generalmente pagate in moneta, tranne per alcuni prodotti che erano trasportati e venduti in gran quantità come il sale.

Questi dazi rivestivano una notevole importanza come dimostrano l’interesse manifestato dalle fondazioni ecclesiastiche e da alcune categorie di laici per avere il privilegio dell’esenzione dal loro pagamento ed i gravi con- flitti che sorgevano tra i beneficiari della riscossione riguardo alla ripartizione dei guadagni. Già dall’epoca merovingia i re franchi si erano riserva- ti i profitti di alcune stazioni del teloneo, sottraendole alla competenza dei conti; come a Marsiglia e Fos – alla foce del Rodano – nel VII secolo.

La percezione di questi diritti fu allora affidata ad agenti speciali.

L’origine delle dogane moderne, dei dazi cioè sull’entrata o sull’uscita delle merci dai confini dello Stato, più che nelle imposte sui mercati, si dovrebbe vedere appunto nei pedaggi, nei portatici ed in altre imposte di transito. Nella realtà le due categorie d’imposta tendono a confondersi; molti documenti parlano di un “teloneo” del mercato o della città, o anche, quando il mercato si tenga sulla riva di un fiume, di un “ripatico” del mercato; e la confusione è agevolata dal fatto che tutte queste imposte, considerate costantemente come una regalia, formano, dall’età carolingia in poi, uno degli oggetti più frequenti delle concessioni reali e imperiali a signori feudali, vescovi, capitoli e monasteri e finalmente alle città. Tolte poche eccezioni, riguardanti esclusivamente i pedaggi ed il tran­si­to dei fiumi, il luogo preferito, anzi la sede naturale per l’esazione di tutti questi diritti, diventa la città, dov’essi si pagano alle porte oppure il mercato. Il teloneo medioevale, pur rifacendosi ai pedaggi romani – telonium – il cui fine era quello di procurarsi dei mezzi destinati al mantenimento di strade o ponti determinati, il più delle volte era la vessatoria sopravvivenza di una tassa che aveva perduto la sua primitiva destinazione pubblica.

Per i membri della classe aristocratica – laica e religiosa – i prelevamenti fiscali su tutte le attività commerciali rappresentano una fonte di reddito tanto remunerativa quanto parassitaria. Il più calzante esempio si ricava dal famoso “tonlieu d’Arras”, pervenutoci sotto forma di due tariffe corrispondenti a due fasi di regolamentazione e di adattamento all’accelerazione degli scambi.

Il primo è degli inizi del secolo XI, il secondo del principio del XII. Il beneficiario di queste tariffe è l’Abate di Saint-Vaast in Normandia.

Esse comprendono una tassa sulle mercanzie, pagata sia dal venditore che dal compratore, un diritto d’esposizione per avere un posto al mercato, un diritto di peso e misura con impiego obbligatorio dei pesi e delle misure del- 1’abate, un’imposta sul trasporto. Il pagamento avviene parte in denaro, parte in natura per gli oggetti non prodotti dall’abbazia – sale, ferro, manufatti in ferro.

Il teloneo medioevale, usurpato dai principi territoriali, era ormai diventato un diritto fiscale che gravava pesantemente sul commercio così come i diritti del signore pesavano sulla terra.

Si capisce, quindi, come una delle prime rivendicazioni delle nascenti città sia stata di reclamarne l’abolizione a favore dei borghesi, così come, prima di esse, l’avevano ottenuto tante abbazie, appellandosi alla devozione dei principi.

Per quanto frequenti pos-sano essere state le esenzioni, i pedaggi continuavano a pesare gravemente sul commercio.

L’importanza del controllo delle vie di comunicazione era ben presente fra i principi renani e danubiani, i quali cercavano di istituire un rigido controllo del commercio che avveniva attraverso questi due fiumi: l’imposizione o l’esenzione dai pedaggi assumeva la forma di politica economica internazionale, regolabile attraverso trattati.

Dal 950 al 984 i vescovi del medio Reno, da Strasburgo a Coblenza, ottenevano la franchigia doganale per i loro sudditi sul territorio delle loro città. Il Reno inferiore rimanevà però sotto il controllo degli ufficiali dominiali.

Venivano concessi dei privilegi, secondo le esigenze della politica, a comunità scelte dal principe. Per esempio i monaci di Saint-Germain-des- Prés godevano della libertà di traffico a Wijkbei-Duurstede.

All’alba del X secolo, alla luce dell’inchiesta doganale detta di “Raffelstetten”, risultava che il Danubio avesse già assunto quel ruolo di tramite, fra paesi di diverse civiltà, che contribuirà a creare la forza del sacro romano Impero.

Intorno al 900 il commercio fluviale e parafluviale, da Pas- savia alla Morava, si era sufficientemente sviluppato per risvegliare l’interesse dei poteri temporali e spirituali preoccupati di assumersi la protezione dei loro mercanti nelle Marche orientali.

Vi si dedicavano l’alto clero di Salisburgo e Passavia, i conti ed i marchesi di Traungau e dell’Ostmark, che chiedevano a Ludovico il Fanciullo di provvedere il “teloneum” di Raffelstetten di un tariffario doganale.

La regolamentazione degli scambi e l’imposizione tariffaria su di essi, la classificazione dei mercanti, l’esenzione da diritti a favore degli esportatori bavari, già pubblicate, vennero fatte cadere dopo l’invasione degli Ungari; tuttavia non fini con ciò il commercio sul Medio Danubio dal momento che intorno al 960 risulta ancora fremente di attività secondo una relazione diviaggio dell’epoca.

Tale commercio sarà oggetto di un attentissimo controllo da parte dei principi viennesi nei secoli XII e XIII, che, intorno al 1192-1221, applicheranno una rigida legislazione monopolistica denominata “diritto di tappa”, con il quale proibivano ai commercianti altotedeschi il traffico diretto con l’Ungheria.

L’importanza dello sviluppo dei traffici era ben presente anche ad un Imperatore di mentalità “cavalleresca” quale Federico Barbarossa”, il quale nel 1152 estese il concetto di delitto pubblico ad atti di natura economica, quali l’instaurazione di nuovi pedaggi, misura che nel 1155 fu integrata con una revisione generale e riduzione degli stessi.

Lo stesso Federico Barbarossa, nella famosa Constitutio de regalibus, tentò anche di rivendicare all’Impero i “ripatica et vectigalia quae vulgo dicuntur telonea”; Federico II” andrà molto più in là e nella sua riforma doganale tenterà di sopprimere i numerosissimi dazi interni e di creare invece un’unica dogana di confine.

Questi tentativi erano destinati ad infrangersi contro l’irresistibile tendenza all’autonomia delle città e degli altri poteri locali, ciascuno dei quali aveva un proprio sistema doganale. È soprattutto nelle città e principalmente nelle maggiori città mercantili, che si sviluppa del sec. XII in poi un vero sistema doganale mentre sopravvivono e si sviluppano, specializzandosi, tutti i vecchi diritti di mercato nelle forme di tasse di posteggio, d’imposta su pesi e misure, e così via.

Accanto ad essi, nelle città marittime e fluviali, prendono una fisionomia ben distinta tutti i diritti portuali, che si pagano in rapporto alla portata delle navi. Questi ultimi si distinguevano nettamente dai dazi d’entrata e d’uscita delle merci, che si riscuotevano in una o più località della città, dove necessariamente dovevano affluire tutte le merci importate o destinate all’esportazione. Località che, in alcune maggiori città mercantili, variavano col variare della provenienza, della destinazione, del genere delle merci, o della nazionalità dei mercanti – a Venezia si distingue la tavola dei Lombardi, il fondaco del frumento, il fondaco dei Tedeschi…

La chiave di volta del moderno sistema doganale si ebbe con l’istituzione del manifesto di bordo, di cui è menzione in alcuni Statuti delle Repubbliche Marinare, e dopo che furono istituite nuove imposte, delle quali ci dà l’elencazione Andrea da Isernia nel “Ritus super universis dohanarum ed aliarum Regni Siciliae gabellarum”.

Così nacque lo “ius plateaticum” o dohana, che fu una specie di imposta sull’entrata, trasformatasi solo più tardi in un vero e proprio dazio, che Ruggiero II di Sicilia prescrisse doversi pagare all’uscita dai fondachi, che erano istituiti specialmente dalle numerose compagni di mercanti. Accanto ad esso esistevano altri diritti quali lo ius passuun, lo ius portuus, lo ius falangagi, lo ius anchoragii…

Essi erano diritti sovrani, che si vendevano, s’impegnavano, si riscattavano da parte dei governanti.

Con l’intensificarsi ed il moltiplicarsi dei rapporti commerciali, si differenziavano le varie imposte sul commercio e si andava raffinando il metodo d’esazione dei dazi d’entrata e d’uscita.

Accanto alla forma più antica di un generico dazio “ad valorem”, che anche nella misura, variante per lo più da 1/80 ad 1/40, rivelava la sua derivazione da dazi antichissimi, cominciavano a comparire per alcuni prodotti, come ad esempio per le stoffe di lana, i dazi specifici, in misura diversa secondo la qualità e provenienza della merce. D’altra parte il moltiplicarsi delle dogane cittadine, dei diritti di pedaggio e di ripatico, nonostante la relativa mitezza di ciascuno di essi, avrebbe reso assolutamente impossibile il commercio fra regioni lontane, qualora ad attenuarne la gravità non si fosse provveduto coi trattati e con la franchigia delle fiere.

Dei primi vi sono numerosi esempi: nel 992 il doge Pietro II Orseolo aveva ottenuto dagli Imperatori d’oriente Basilio e Costantino una crisobolla che dispensava le navi veneziane dal pagamento dei dazi, che fino allora avevano dovuto versare alla dogana d’Abido; nel 1121 una crisobolla di Baldovino II, re di Gerusalemme, concedeva particolari riduzioni di dazio ai veneziani, che si recavano a portare le loro mercanzie ai mercati annuali in tutte le città più importanti del Medio Oriente.

Venezia stessa concesse identici vantaggi ai mercanti, che dalle Fiandre transitavano i loro prodotti in quel porto per inviarli ai più importanti centri commerciali del bacino del Mediterraneo.

Riguardo alle franchigie delle fiere periodiche va evidenziato che i re ed i grandi signori feudali compresero i benefici che derivavano da un fiorente commercio e s’indussero, a poco a poco, ad offrire protezione a questa sorgente di ricchezza, conferendo, per certi periodi, a chi conveniva in determinate località, particolari privilegi e libertà speciali, comprese l’esenzione o l’attenuazione di dazi, diritti di transito…

Tali fiere periodiche di cui le più famose furono quelle della Champagne, si tenevano in tutta Europa, nella Russia – Niznij Novgorod – nell’Oriente: alla Mecca, a Teheran, a Hardwar – Indostan – a Tanta – Egitto. Ovunque avvenissero, esse erano caratterizzate dalle franchigie doganali.

Per avere un’idea più precisa di quelle che erano le condizioni cui doveva sottostare il commercio medioevale e, quindi, di quale importanza rivestivano le esenzioni concesse alle fiere, basta avere presente che, ancora alla fine del Trecento, si contavano 64 dogane lungo il Reno, 35 sull’Elba e 74 sul Danubio, nel solo tratto in cui attraversa la Bassa Austria.

Le fiere franche, distribuite a breve distanza di spazio e di tempo l’una dall’altra, permettevano ai mercanti che le frequentavano di sottrarsi, almeno per un certo periodo dell’anno, al pagamento di molti di quei tributi.

Le maggiori città mercantili riuscivano ad evitare i gravami sulle loro merci con trattati di commercio, che esse stipulavano con altre città o con principi di paesi vicini o lontani, ottenendo libero transito per merci e mercanti, riduzioni o esenzioni dai dazi, sulla base, per lo più, della reciprocità, ed includendo talvolta nel trattato la clausola della nazione più favorita.

Antonio Nicali

Giuseppe Favale

Istituzioni e politica doganale

 

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